Saggi Storici
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Edizioni don Giulio Gabanelli, stampa Carminati Stampatore, Almè - Zogno

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Storia della roggia Traini

(n.4, agosto 1995)
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(Nota preliminare: questo saggio storico è stato raccolto nel volume dello stesso autore “Le Rogge di Zogno”, capitolo: Roggia Traini)

Si illustreranno in questa sezione alcune vicende e caratteristiche  dei rimanenti opifici della roggia Traini, sempre per il periodo del governo austriaco. Nell'esposizione si seguirà l'ordine con cui questi edifici si incontrano dall'origine della roggia sino al suo termine.
La segheria, come si è visto la volta scorsa, fu venduta dai fratelli Traini a Giovanni Ruggeri nel 1821 e rimase di proprietà Ruggeri per vari decenni (1) prima di finire, nel breve volgere di pochi anni, nelle mani dei fratelli Paganoni conosciuti all'inizio di questa storia. Non vi sono particolari di rilievo da segnalare per questa azienda la cui vita si svolse con tranquillità e serenità nel contesto di una famiglia piccolo-borghese. C'è una nota tuttavia abbastanza interessante che la riguarda indirettamente.
Nell'atto di compravendita, come si è già scritto, è coinvolta anche una casa adiacente alla segheria da tutti chiamata da tempo immemorabile col nome di "La Dogana". Questa casa, di poco successiva come costruzione a quella della segheria e quindi anch'essa parecchio antica, era nelle vicinanze della linea di confine tra i comuni di Zogno e Poscante che correva a metà del ponte sul Brembo. In antico il comune di Poscante per importanza economica e per numero di abitanti rivaleggiava con Zogno. Si può capire dunque l'importanza di un controllo obbligato delle merci lungo la strada di comunicazione tra i due centri.
Nel periodo storico cui ci si riferisce tuttavia questa dogana non aveva più la funzione di controllare le merci di largo consumo, come potevano essere i generi alimentari o affini, essendo questo commercio notevolmente liberalizzato in epoca austriaca. Il suo scopo principale era di controllare lo smercio dei legnami da opera che potevano avere qualche interesse militare nella riparazione veloce dei carri per le salmerie, nel trasporto dei cannoni o nella costruzione rapida di ponti in legno sui fiumi. Non a caso questa dogana era adiacente a una segheria di legnami.
I tronchi di larice, abete, faggio e in parte di castagno non solo scendevano dall'alta valle lungo il Brembo e venivano "catturati" con arpioni nei pressi del ponte vecchio di Zogno, dove la corrente rallentava, ma in parte provenivano anche dall'ampia conca di Poscante, dalle pendici settentrionali del Canto Alto.
E' una testimonianza diretta di queste vicende l'affresco in parte rovinato dal tempo che ancora si intravede su un muro di questa casa. Esso risale con tutta probabilità al periodo a cavallo tra il XVIII e il XIX secolo e per quanto è stato possibile leggere ed interpretare riporta una normativa sul deposito dei tronchi da tagliare o le assi già tagliate. Esso recita: AVVISO - (QUALUNQU) E POSTA DE LEGNAMI DI QUALUNQUE (TIPO SIA) NO SARA' TENUTA A SECONDA DELL ....... A PAGARE IL CANONE CORRISPONDENTE......O ALL'AMMONTARE COME IL MEDESIMO.
Il mulino cosiddetto della Misericordia apparteneva a questa istituzione, che era pubblica, da oltre un secolo. Il responsabile dell'amministrazione per conto del comune di Zogno fu per vari decenni, nell'epoca in esame, Risi Giovanni fu Giuseppe. Il gestore materiale o "affittuale" cambiò quasi sempre ogni cinque anni circa, tale infatti era la durata media del contratto di locazione. Proprio perchè il gestore cambiava spesso, il margine di guadagno di questa azienda fu sempre limitato anche se bisogna dire che lo scopo fondamentale di questa attività non era ricavare profitti ma aiutare i cittadini meno fortunati della comunità. L'edificio era cospicuo avendo tre macine, e quindi tre ruote, spinte dall'acqua. Nel corso della prima metà del XIX secolo la Misericordia di Zogno cambiò di denominazione due volte. Per qualche tempo fu chiamata Luogo Pio Elemosiniere e infine Congregazione di Carità.
C'è da rammentare un fatto abbastanza singolare che non ha riscontri in altri paesi della valle. Poco dopo il 1850 (2) furono chiamati ad amministrare la Congregazione di Carità due religiosi: i sacerdoti Mazzoleni don Pietro fu Ambrogio e Angelini don Giuseppe fu Andrea in qualità rispettive di presidente e vice presidente, coadiuvati da Risi Giovanni fu Giuseppe, citato sopra, Belotti Bortolo fu Giovan Battista e da Santo Damiani fu Lorenzo. Non è stato possibile conoscere per quali motivi il comune di Zogno decise di mescolare il sacro con il profano affidando a religiosi due importanti cariche pubbliche comunali. Probabilmente il motivo fu la loro capacità organizzativa e la loro rettitudine morale. C'è da sottolineare infine che dopo il 1850 per vari anni il conduttore di questo mulino risultò Simone Scuri fu Valentino di Zogno, padre dei fratelli Scuri proprietari di vari opifici sulla roggia dell'Acquada (3).
Già a partire dall'anno 1800 il follo per produrre panni di lana era di proprietà di Marco Zenoni fu Michele di Zogno. Anche questo edificio aveva una struttura notevole essendo caratterizzato da tre ruote e quindi da tre impianti o telai dotati ciascuno di 15 martelli di legno che servivano a rassodare oppure a "sfibrare" la lana rendendola più morbida. Questo opificio appartenne sempre alla famiglia Zenoni fino a quando non fu ceduto all'impresario Ginoulhiac nel 1868 (4). Nel periodo di maggior sviluppo sotto la gestione Zenoni questo opificio dava lavoro a 8 persone.
Tra le vicende vissute da questa azienda è parso meritevole di segnalazione un fatto di cronaca famigliare che da un lato è una testimonianza di quanto possa essere grande l'affetto di un padre verso il figlio e dall'altro un esempio di sensibilità e intelligenza di un uomo caratterizzato da una mentalità che anticipava di molto i tempi. Forse questa vicenda può sembrare non degna di assurgere al rango di fatto storico ma è pur sempre vero che sono tanti fatti di cronaca a dar vita alla storia. Bisogna dunque sapere che Marco Zenoni nel 1815 giunto in età avanzata, ma non troppo, decise di affidare la gestione dell'azienda al figlio Francesco che era stato coadiutore, che aveva trentotto anni e che era sposato con figli piccoli. Ciò fu stabilito però con un atto notarile, cioè pubblico, alle seguenti condizioni (5).
Il proprietario formale dell'azienda rimaneva il padre Marco ma l'amministratore unico con piena facoltà di decisione diventava il figlio Francesco al quale spettava da un lato il ricavato di tutte le attività, dall'altro l'obbligo di pagare le tasse. La proprietà sarebbe passata nelle mani di Francesco solo alla morte del padre. Francesco nel frattempo doveva riconoscere un giusto usufrutto al padre fino alla sua morte (una sorta di pensione dunque). Il padre per non essere di disturbo alla vita famigliare del figlio e di intralcio all'azienda si ritirava spontaneamente a vivere in due stanze in affitto, nel centro di Zogno, nella casa del signor Tommaso Volpi e cedeva al figlio il proprio appartamento, abbastanza ampio, che stava al di sopra dei locali seminterrati dove erano situati i folli. Come si vede una decisione piena di senso pratico organizzativo, di generosità e di fiducia che teneva conto con franchezza ed equità degli interessi di entrambe le parti nel rispetto reciproco senza cedere nulla ai sentimentalismi. Marco Zenoni morì nel 1822.
Trascurando la cartiera, perchè già trattata nella parte precedente, si deve parlare del maglio. Negli ultimi anni del XVIII secolo esso era di proprietà del "molto Reverendo don Giacomo Lazzaroni figlio emancipato (cioè del tutto indipendente dal punto di vista economico e giuridico) del signor Giovanni (6)". Di questo sacerdote estremamente intraprendente, autore con altri del progetto di sopraelevazione della chiesa parrocchiale di Zogno alla fine del XVIII secolo, si scriverà più avanti. Per ora si deve dire solo che il 22 febbraio 1800 (7) egli vendette il maglio e vari altri immobili al dottor Maffio Marconi che rivendette di lì a poco solo il maglio a Giovan Battista Ceroni fu Marco Antonio di Zogno. E' stato possibile scoprire nell'archivio storico del nostro comune una bella immagine di questo opificio mentre era di proprietà Ceroni. Essa risale al 1815. Dopo venti anni circa il maglio fu venduto dagli eredi Ceroni a Lucia Gervasoni maritata Giovanni Marconi nelle cui mani e in quelle del figlio Carlo rimase fin verso il 1890 quando fu venduto a Rinaldi Bortolo Luigi poco prima di essere acquisito dai fratelli Paganoni (8). 
Come già scritto nell’anticipazione di alcune delle attuali notizie (9) una nota importante da sottolineare per questo maglio è la novità tecnica, introdotta all'inizio del periodo austriaco, data dall'applicazione del principio della condotta forzata. Essa consisteva nel costruire i canali di legno, che portavano l'acqua contro le pale delle ruote, avvolgendo per buona parte le ruote stesse in maniera tale che nessun spruzzo di acqua andava perduto. In questo modo era possibile sfruttare tutto il peso dell'acqua ottenendo una maggiore forza, un movimento rotatorio più regolare ed un miglior rendimento. E' il caso di ricordare inoltre che Giovanni Marconi nel 1843, dopo lunghe controversie con gli altri utenti della roggia, fece costruire due mulini in un locale posto a valle del maglio (9), ma che egli non potè godere i frutti dei suoi sforzi poichè morì poco dopo e perchè il figlio Carlo concentrò le sue attenzioni esclusivamente sul buon andamento della fucina. 
Mentre era proprietario del maglio, Giovan Battista Ceroni concesse nel 1807 (10) a Sebastiano Damiani fu Lorenzo di Zogno di costruire nella casa a valle e adiacente all'edificio di maglio "un torchio da ollio con la masnadora (macina) ad acqua formata però da una sola ruota" e tutti i diritti annessi allo sfruttamento dell'acqua tranne però la proprietà sulla roggia, intesa come canale-acquedotto, al prezzo di lire milanesi 133,16. Più nulla è dato sapere di questo edificio dalla sua costruzione fino alla sua vendita fatta da Luigi Marconi fu Antonio ai fratelli Paganoni. E' importante qui sottolineare comunque che questo opificio prima del 1807 non esisteva.
Il cosiddetto mulino del Capo risultava di proprietà di Giovan Battista Rota fu Antonio di Ubiale già dal 1793 (11). Costui era un contadino, di modeste origini dunque, che abitava vicino alla chiesa parrocchiale di Ubiale e che negli anni si era costruito una poderosa fortuna acquistando terreni e in parte rivendendoli. Basti dire che nei primi anni del XIX secolo non solo il mulino del Capo ma anche alcune case e tutte le piane di S. Bernardino, della contrada Cornelle, della contrada Inzogno e numerosi fondi posti nella conca cosidetta Foppa, lungo la mulattiera per Carubbo, e nella stessa contrada di Carubbo erano di sua proprietà. Inoltre egli possedeva o aveva acquistato numerosi prati e boschi a monte di Ubiale, nelle contrade Bondo e Ubione, nelle vicinanze del castello di Clanezzo, ad Almenno S. Salvatore, a Villa d'Almè, a Bruntino, alle contrade Botta e Cassettone di Sedrina e in Sedrina stessa (12).
Inoltre aveva acquistato nel 1827 un corpo di case e vasti fondi annessi per ben 45 pertiche vicino alla chiesa parrocchiale di Bruntino. Questo lotto di immobili proveniva dalla nobile casata Folgari-Rota in grave crisi economica (13). Infine nel 1828 aveva acquisito l'antica e famosa osteria della Brughiera, ad Almè, e vari terreni annessi per ben 19 pertiche (14). La sua stessa casa di abitazione in Ubiale era chiamata da tutti "la casa dominicale" per antonomasia per dire che essa era vasta, a più piani e con numerose stanze, cioè la casa di un signore-padrone. All'attività incessante di Giovan Battista Rota si deve con tutta probabilità l'aggiunta della terza macina, e quindi di una terza ruota, al già esistente mulino del Capo.  
Quando Giovan Battista Rota morì nel 1831 tutti i suoi beni immobili di Zogno per un valore di oltre 6.000 lire e un capitale liquido di oltre 11.000 lire passarono ai nipoti Giovan Battista, Beatrice e Pierina figli di Pietro Antonio, morto molto giovane, vincolati per metà dall'autorità tutoria della zia Caterina sorella di Pietro Antonio. Poichè anche Giovan Battista, nipote, morì abbastanza presto fu Beatrice, divenuta maggiorenne, ad acquisire la proprietà del mulino del Capo nel 1853 (15) mentre alla sorella Pierina rimasero una casa e buona parte delle vaste piane di S. Bernardino oltre ai terreni nella Foppa e a Carubbo con atto di divisione del 1857 (16). Le due sorelle comunque rimasero comproprietarie e usufruttuarie di altri beni posti in Ubiale e Clanezzo.
Nel frattempo Rota Pierina aveva sposato Bernardo Offredi, originario di Piazza Brembana, ed era andata ad abitare per vari anni a Poscante dove i Rota pure possedevano immobili (17). Trasferitisi a Zogno, dal loro matrimonio nacque Maria Offredi che, cresciuta, andò sposa a Cesare Belotti fu Natale, un modesto impiegato di Zogno. Da questo matrimonio nacque l'onorevole Bortolo Belotti, storico di Zogno e di Bergamo, il 26 agosto 1877. 
E' abbastanza importante osservare che Maria Offredi e i fratelli Giovan Battista e Pietro il 15 marzo 1877 firmarono l'atto di divisione definitiva dei beni rimasti in comune tra Rota Pierina, loro madre nel frattempo morta, e la zia Rota Beatrice ancora vivente anche se molto anziana (18). A Maria Offredi toccò il resto delle piane di S. Bernardino e altri terreni come compenso degli usufrutti che le spettavano. Nel complesso si trattava di ragguardevoli sostanze economiche che permisero alla famiglia Belotti di vivere in condizioni agiate. E' curioso osservare che Maria Offredi si recò a firmare questo atto notarile mentre portava in grembo il futuro onorevole Bortolo Belotti.   


BIBLIOGRAFIA
1) Archivio di Stato di Bergamo. Mappe Catastali Austriache: mappa censuaria di Zogno rettificata nel 1845; Catasto, Rubrica e Libro delle partite di Zogno relative al mappale n. 1382.
2) Archivio Notarile Distrettuale di Bergamo. Notaio Baronchelli Cesare fu Andrea di Zogno, atto del 20/11/1868, repertorio n. 1679.
3) Zogno Notizie, dicembre 1985. Zogno Notizie, aprile 1995. 
4) Zogno Notizie, aprile 1995.
5) Archivio di Stato di Bergamo. Fondo Notarile: Notaio Bonetti Giuseppe fu Giandomenico di Zogno, cartella 12159, atto del 12/5/1815. 
6) Come nota 5) ma: cartella 12155, atto del 5/7/1783.
7) Come nota 5) ma: cartella 12156, atto del 22/2/1800.
8) Come nota 2) ma: atto del 16/10/1870 repertorio n. 2615; inoltre vedi Zogno Notizie, febbraio 1995.
9) Zogno Notizie, aprile 1993.
10) Archivio di Stato di Bergamo. Fondo Notarile: Notaio Bonetti Bortolo Luigi fu Giandomenico di Zogno, cartella 12854, atto del 19/12/1807. N.B.: questo notaio era fratello del notaio citato alla nota 5).
11) Archivio di Stato di Venezia. Fondo: 5 Savi alla Mercanzia, busta 777, (relazione dell'ingegnere veneto Giovan Antonio Urbani).
12) Archivio di Stato di Bergamo. Fondo Notarile: Notaio Leffi Luigi Giuseppe fu Francesco Maria di Almenno S. Salvatore, cartella 12935 (vedi la divisione tra i fratelli e nipoti Rota avvenuta per disposizione testamentaria paterna il 10/3/1834 e ratificata definitivamente il 29/3/1837).
13) Archivio di Stato di Bergamo. Fondo Notarile: Notaio Gasparini Antonio fu Giovanni di Bruntino, cartella 12922, atto del 17/12/1827.
14) Archivio di Stato di Bergamo. Fondo Notarile: Notaio Signorelli Francesco fu Bartolomeo di Ponteranica, cartella 11937, atto del 1/9/1828.
15) Archivio di Stato di Bergamo. Registro delle Volture di Zogno, voltura n. 159 del 1853.
16) Archivio di Stato di Bergamo. Mappe Catastali Austriache: mappa censuaria di Zogno rettificata nel 1845; Catasto, Rubrica e Libro delle partite di Zogno, partite n. 1000 e n. 1001.
17) Archivio di Stato di Bergamo. Fondo Notarile: Notaio Ronzoni Pier Luigi fu Evaristo Simone di Bergamo, cartella 13470, atto del 24/11/1853.
18) Archivio Notarile Distrettuale di Bergamo. Notaio Zanchi Francesco fu Andrea di Zogno, atto del 15/3/1877, repertorio n. 3174.


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