Saggi Storici
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Edizioni don Giulio Gabanelli, stampa Carminati Stampatore, Almè - Zogno

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Storia della roggia Traini

(n.5, ottobre 1995)
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(Nota preliminare: questo saggio storico è stato raccolto nel volume dello stesso autore “Le Rogge di Zogno”, capitolo: Roggia Traini)

Come è abbastanza noto la seconda metà del XVIII secolo segna un periodo di grave crisi economica per la Repubblica Veneta essendo diminuiti di molto i commerci di sale, cuoio, pellami in genere, spezie e olio di oliva che dal Mar Nero (Russia Meridionale), dall'Ungheria, dal Medio Oriente e dall'Italia del Sud giungevano a Venezia e da qui venivano dirottati in tutta l'Italia settentrionale e in parte verso la Svizzera e la Germania.
Tali commerci in questo periodo provenivano per la maggior parte da Genova e da Nizza dove giungevano, attraverso la tappa intermedia di Lisbona, dall'America meridionale. La provincia bergamasca che in tempi precedenti era stata attraversata dalla corrente commerciale diretta da Venezia a Coira attraverso il lago di Como, la Valcamonica e, in misura modesta, la valle Brembana, vide scemare notevolmente tutti i commerci e le attività artigianali ad essi legate. Anche la valle Brembana risentì di questo influsso negativo (1). Ne sono una testimonianza diretta le vicende non certo esaltanti cui andarono incontro quasi tutti gli  opifici  della  roggia Traini in questo periodo.
Ad esempio il 29 febbraio 1744 (2) i fratelli Bernardino e Bortolo Pesenti fu Giovanni detto Molena per coprire i debiti che avevano in parte a causa del pagamento dei legati esistenti sulla cartiera e sulla segheria (3), in parte per l'andamento non buono degli affari, si videro costretti a vendere la cartiera a Giovan Battista Volpi fu Pietro di Zogno al prezzo di 21.000 lire (circa 3.000 scudi) alle due seguenti condizioni: innanzitutto poter continuare a svolgere il lavoro di cartai e vendere la carta nella bottega annessa come gestori in affitto alle dipendenze del Volpi; in secondo luogo avere il diritto, prima di chiunque, di ricomperare la cartiera comunicandone l'intenzione alcuni mesi prima della scadenza dell'affitto.
Questa clausola di riscatto venne prorogata un paio di volte dai fratelli Pesenti finchè il 6 settembre 1762 (4) essi cedettero definitivamente l'immobile al Volpi al prezzo fissato nel 1744 e quindi assai stracciato. Infatti oltre alla cartiera essi furono costretti a cedere la casa di abitazione, la bottega di vendita della carta e due stalle dove alloggiavano vari muli e cavalli con cui si trasportavano le "balle di carta" a Bergamo, comprese le bestie stesse. Al posto di Bortolo Pesenti, seriamente ammalato, l'atto fu firmato dal figlio Carlo.
Giovan Battista Volpi, che aveva un'abitazione anche a Bergamo in Città Alta nella contrada di S. Agata, non era però un imprenditore, era un mediatore. Egli acquistò questi immobili con la speranza di rivenderli al più presto e non favorì lo sviluppo della cartiera, anzi per certi versi l'abbandonò poichè risulta che nel 1768 la cartiera di Zogno funzionava con una sola tina (5). In effetti egli vendette il tutto nel 1766 a un altro mediatore, Andrea Locatelli del borgo di S. Leonardo in Bergamo, il quale dapprima affittò la cartiera a Bernardo Traini nel 1772 e poi gliela vendette nel 1779 come già spiegato (6). La segheria posta all'inizio della roggia, essendo pure di proprietà dei fratelli Pesenti, seguì le sorti della cartiera.
Prima di procedere sembra abbastanza importante sottolineare che le date dei vari cambiamenti di proprietà di questi edifici segnalate da Bortolo Belotti nella Storia di Zogno non corrispondono alla realtà (7). Le imprecisioni in queste date non sembrano dovute ad errori di stampa, poichè non c'è alcuna corrispondenza con quelle qui indicate, ma sembrano piuttosto dovute a notizie orali, basate sulla memoria degli anziani e quindi per forza di cose affette da un certo grado di incertezza, che il Belotti ha ritrascritto senza approfondimenti. Non a caso il Belotti a sostegno delle proprie tesi non cita alcuna fonte archivistica.
Il mulino della Misericordia, che era ancora di proprietà comunale, risentì di quei tempi difficili come difficoltà notevole a trovare una persona disponibile cui affidare la gestione. Poiché il margine tra il ricavato della macina del granoturco, frumento e miglio e l'affitto da pagare al Comune  era molto ristretto nessun abitante di Zogno aveva il coraggio e la voglia di intraprendere questa attività. Fu per questo motivo che il 7 giugno 1755 il mulino fu affittato ad un residente di Zogno, ma originario della Valtellina, certo Pietro Frigia, il quale dai documenti appare di modestissime condizioni economiche e quindi più di altri disposto a lavorare senza guadagnare nulla pur di avere qualcosa da mangiare. In effetti il contratto di affitto stabiliva che il Frigia non doveva dare nulla al Comune in contanti ma solo in natura. Tuttavia le condizioni erano ugualmente quelle di un contratto-capestro. Testualmente vi si legge: " ... egli (Pietro Frigia) pagherà la metà delle biade che macinarà et inoltre doverà dare ogni anno il giorno di Santo Martino ai signori Regenti della Misericordia quatro paia di caponi di bella qualità (N.B.!) ciouè due paia al Casiere et un paio per cadauno delli altri Regenti (presidente e vicepresidente) senza contraditione a norma di quanto si è sempre pratticato dai molinari per patto" (8).
In quell'epoca di crisi economica generalizzata non di rado i mulini di proprietà comunale o altri edifici pubblici furono venduti a privati pur di ricavare qualche profitto a favore della comunità. In altri casi i comuni, pagando, preferirono incaricare qualche privato di macinare certi quantitativi di cereali per venderli a prezzo ribassato alle famiglie più bisognose. E' ciò che avvenne per esempio per il comune di Stabello che nel 1760 potè usufruire di tanto in tanto per tali scopi " del mulino e della sariola dei signori Maffeis posti sul Brembo" (9).
Una sorte migliore toccò al follo poichè la produzione e la vendita della lana rimase sempre un'attività importante in valle. Comunque non fu esaltante considerando i vari trapassi di proprietà avvenuti in poco tempo il che rivela sempre un tentativo fallito di portare avanti un'attività imprenditoriale.
Fino al 1767 il follo era di proprietà " dell'Illustrissimo sig. Gerolamo fu l'Illustrissimo Giorgio Marconi de Maffeis cittadino originario dell'Alma citta' di Roma et di Bergamo" il quale abitava in Città Alta ma possedeva anche la stupenda villa, ancora oggi visibile, posta al confine tra gli attuali comuni di Bergamo e di Mozzo alla località Crocette, lungo la statale Briantea che per l'appunto conduce da Bergamo a Ponte S. Pietro (10). Inoltre Girolamo possedeva una casa per la residenza estiva posta in Zogno, a sud e adiacente all'attuale piazza Garibaldi, quella che ancora oggi è nota a tutti gli Zognesi come la casa della signorina Clara Marconi, morta circa 20 anni fa. Questa casa a quell'epoca era considerata a tutti gli effetti un palazzo vero e proprio, dalle origini nobili e antiche, un punto di riferimento indiscusso, insieme alla chiesa parrocchiale, per tutto il paese di Zogno. Di questo palazzo e delle molteplici attività di Girolamo Marconi si scriverà in un prossimo capitolo. Per ora basta dire che egli vendette il follo il 7 gennaio 1768 al signor Giuseppe Pasinelli fu Giuseppe abitante nella contrada Foppa di Zogno (11) e che Giuseppe Pasinelli era un mercante di merci varie con un negozio di lane e stoffe in tale contrada. Tuttavia sembra che al Pasinelli non interessasse molto la produzione della lana tanto che già il 26 febbraio 1779 questo edificio risulta di proprietà degli eredi Carrara di Zogno (12) mentre nel novembre del 1780 è di proprietà di uno solo di tali eredi: Alberto (13). Tuttavia ancora prima della fine di quel secolo il follo era passato nelle mani della famiglia Zenoni, già conosciuta, per rimanervi poi settant'anni.
Si possono definire quasi rocambolesche le vicende, ma forse si potrebbe dire le traversie, cui andò soggetto il maglio in quel difficile cinquantennio. Per la verità le cause delle sventure sono in parte d'attribuire ai proprietari che da vari documenti sembra non fossero molto capaci di gestire non tanto il buon funzionamento della fucina quanto i rapporti commerciali con la clientela.
Fino al 1740 il maglio risultava di proprietà, da lungo tempo, della famiglia Chiavaro. Il 22 agosto 1741 tuttavia Giacomo Chiavaro fu Giovan Battista a causa di debiti si vide costretto a vendere il maglio e alcuni terreni circostanti, fino alla riva del Brembo che era assai vicina, a Carlo Sonzogno fu Lorenzo e a Giovanni Fustinoni fu Giovan Antonio rispettivamente "Casiere et Maestro (presidente) della Veneranda Scola del Santissimo Crocefisso de Disciplini Neri eretta nella Parrocchiale di Zogno" al prezzo di 750 lire con la condizione però di continuare a gestire il maglio per 5 anni pagando un affitto del 3,5% annuo e con la possibilità di riscattare, cioè riacquistare, allo stesso prezzo l'edificio previa comunicazione da darsi alcuni mesi prima della scadenza di tale patto (14).
Questa speciale compravendita, che impegnava l'acquirente per un certo tempo ad affittare l'immobile al venditore e a concedergli il privilegio di poterlo riacquistare, detta "livello alla veneziana o livello more veneto" aveva come obiettivo di garantire che un'attività rimanesse il più a lungo possibile nelle mani di chi possedeva la cultura tecnica per non disperdere il patrimonio di conoscenze il quale si tramandava così di padre in figlio. Era chiaramente una legge di origini medioevali che al momento appariva superata.
E' molto difficile stabilire chi guadagnava in questo rapporto. L'acquirente infatti viveva nella speranza che il venditore non potesse pagare l'affitto stabilito o non potesse riscattare l'immobile poichè solo dopo la scadenza dell'accordo l'acquirente diventava pieno proprietario; d'altra parte il venditore consumava il ricavato della vendita nel pagare l'affitto sperando, al termine del contratto, di aver guadagnato qualche altro soldo per riacquistare gli immobili e l'attività che nel frattempo aveva continuato a svolgere. Nel caso veniva attuato il riscatto il compratore si era limitato in pratica a fare solo un prestito al venditore dal quale aveva guadagnato qualcosa giocando sul valore dell'affitto annuo. Questa clausola di riscatto spesso però faceva sì che un immobile o una qualunque attività rimanesse nelle mani di persone incapaci e quindi era un ostacolo alla libera iniziativa e al libero mercato poichè essa valeva anche in via ereditaria.
In effetti Giacomo Chiavaro riuscì a riscattare quasi per miracolo il maglio ma dovette rivenderlo quasi subito con la stessa tecnica il 15 luglio 1746 (15) a Giovan Battista Volpi, il mediatore conosciuto all'inizio del capitolo. In questo caso il Chiavaro potè rinnovare l'accordo per un paio di volte ma il 13 agosto 1761, sommerso dai debiti, dovette cedere definitivamente il maglio, la casa di abitazione e tutti i terreni annessi al Volpi (16).
Tra i creditori del Chiavaro vi erano la "Scola del Santissimo Crocefisso de Disciplini Neri di Zogno, la Fabbriceria della Parrocchiale di Stabello e i signori Maffeis pure di Stabello".  Il Volpi si impegnò a pagare la cifra di 5.100 lire in alcuni anni e, secondo il suo solito, rivendette il tutto a Giuseppe Piazzalunga fu Bartolomeo di Villa d'Almè nel 1777. Morto nel frattempo Giacomo Chiavaro e non avendo ancora saldato il Volpi l'intera cifra di 5.100 lire, il figlio Giovan Battista di Giacomo chiese ed ottenne di annullare la vendita del maglio da suo padre al Volpi del 1761 e, di conseguenza, quella del 1777 e di riacquistare per riscatto, secondo l'accordo del 1746 riconosciuto dalla legge, il maglio e tutti gli altri immobili per sè. Il che avvenne il 5 giugno 1783 (17). Tuttavia Giovan Battista Chiavaro non riacquistò l'edificio per riprendere il mestiere del padre ma per rivenderlo dopo appena un mese, il 5 luglio 1783 (18), al "molto Reverendo don Giacomo Lazzaroni figlio emancipato di Giovanni" . E' già stato illustrato come da don Giacomo Lazzaroni questo edificio sia giunto in seguito ai proprietari dell'epoca napoleonica e austriaca. E' inutile dire che in mezzo a tante vendite e rivendite l'attività del maglio risultò alquanto intermittente.
E' abbastanza interessante ora aprire una breve parentesi sulla figura di don Giacomo Lazzaroni che risulta davvero sorprendente per le sue multiformi attività pur essendo un sacerdote. Oltre ad essere uno degli autori del progetto di sopraelevazione della parrocchiale di Zogno alla fine del XVIII secolo (19) egli sollecitò, fece opera di mediazione con l'autorità publica e progettò la ricostruzione del ponte di Ambria nel 1781, crollato dopo una forte piena del Brembo nel 1755. Inoltre ottenne che il ponte fosse ricostruito materialmente dal proprio padre Giovanni, impresario edile (20). Tra il 1780 e il 1794 negli atti del notaio Giuseppe Bonetti, già menzionato, vi sono più di 20 documenti a lui intestati di compravendita di terreni e case nel centro di Zogno e nelle contrade Pernice, Monte Basso, Tiolo ed Ambria per un totale di oltre 350 pertiche. Dal 10 marzo 1788 inoltre egli era "in possesso di raggioni et azioni" delle due ditte commerciali Eredi Dario Narini ed Eredi Alessandro Suardi di Bergamo, vale a dire era un azionista e non di secondo piano (21). Infine prima dello scadere del XVIII secolo aveva acquistato l'antico mulino di Bonarè nell'allora comune di Grumello de Zanchi, sulla valle di Poscante, e altri terreni per circa 8.000 lire; la casa adiacente al maglio sulla roggia Traini, già di sua proprietà, che conteneva un antico torchio a mano per spremere viti e noci anche se era in disuso ed un altro corpo di casa, pure adiacente, in cui era presente da tempo un forno per il pane al prezzo di 3.500 lire (22). 
Dunque questo sacerdote, che era coadiutore dell'allora parroco di Zogno don Giuseppe Grigis e che era architetto, svolgeva abitualmente anche funzioni di imprenditore, azionista, mediatore in compravendite ed anche giudice di pace per le sue capacità di  mediazione. La sua figura si colloca senza dubbio in quel fenomeno detto Illuminismo che vide molte persone di cultura, tra cui vari sacerdoti, dedicarsi ad attività umanistiche e che portò alcuni religiosi a notevoli livelli di fama in campo botanico, geologico, architettonico e antropologico. Senza dubbio la figura di don Giacomo Lazzaroni meriterebbe un approccio biografico più approfondito.
Rimane ora da dire qualcosa sul torchio e sul mulino del Capo. Come appena accennato il torchio prima del 1807 non era spinto dall'acqua della roggia Traini ma era manuale, caratterizzato da una grande vite di legno senza fine fatta ruotare anche con l'aiuto di un mulo. Pertanto da questo momento non sarà più abbinato alla storia di questa roggia anche perchè era in disuso da tempo. Per quanto concerne il mulino del Capo bisogna precisare che, nonostante lunghe ed accurate ricerche, tra il 1746, anno in cui risulta di proprietà di Giandomenico Sonzogno fu Francesco detto il Capo, originario di Zogno ma residente a Venezia (23), e il 1793 anno in cui risulta di proprietà, già da qualche tempo, di Giovan Battista Rota fu Antonio di Ubiale (24) non si è trovato alcun documento. Si sa solo che il padre di Giovan Battista, Antonio pure residente a Ubiale, attorno al 1775 è proprietario di alcuni terreni nelle contrade di Inzogno e S. Bernardino (25) e quindi con probabilità anche del mulino in esame ma non si può dire nulla con certezza. In pratica vi sono quasi cinquant'anni di buio totale sulla storia di questo opificio e forse anche questo fatto è una testimonianza della durezza della vita di quei tempi.


BIBLIOGRAFIA
1) Per ulteriori approfondimenti vedi di Giuseppe Pesenti e Franco Carminati: Una Strada, Una Valle, Una Storia, pag. 217 e ss.; Ed. Archivio Storico S. Lorenzo, Zogno 1988.
2) Archivio di Stato di Bergamo. Fondo Notarile: Notaio Panizzoli Francesco fu Giovan Battista di Zogno, cartella 12399. 
3) Zogno Notizie, giugno 1995.
4) Archivio di Stato di Bergamo. Fondo Notarile: Notaio Adami Giovan Antonio fu Martino di Bergamo, cartella 10017.
5) Archivio di Stato di Venezia. Fondo: 5 Savi alla Mercanzia, busta 577. Vedi inoltre Zogno Notizie, febbraio 1986.
6) Come nota 3).
7) Bortolo Belotti: Storia di Zogno e di alcune terre vicine, pag. 120; Ed. Orobiche, Bergamo 1942.
8) Come nota 2) ma cartella 12401.
9) Archivio di Stato di Bergamo. Fondo Notarile: Notaio Marconi de Maffeis Flaminio fu Giovanni di Zogno, cartella 9009. Di questo mulino e di questa roggia sono già state pubblicate dagli stessi autori mappe catastali in Zogno Notizie, dicembre 1990, pag. 22. 
10) Archivio di Stato di Bergamo. Fondo Notarile: Notaio Franzoni Bernardino fu Bonaventura di Zogno, cartella 11231.
11) Archivio di Stato di Bergamo. Fondo Notarile: Notaio Marconi de Maffeis Flaminio fu Giovanni di Zogno, cartella 9009.
12) Archivio di Stato di Bergamo. Fondo Notarile: Notaio Locatelli Alessandro Antonio fu Annibale di Bergamo, cartella 11829.
13) Archivio di Stato di Bergamo. Fondo Notarile: Notaio Bonetti Giuseppe fu Giandomenico di Zogno, cartella 12155.
14) Come nota 2).
15) Archivio di Stato di Bergamo. Fondo Notarile: Notaio Pelliccioli Giovanni fu Agostino di Zogno, cartella 8397.
16) Archivio di Stato di Bergamo. Fondo Notarile: Notaio Bosisi Giovan Antonio fu Francesco di Bergamo, cartella 11000.
17) Archivio di Stato di Bergamo. Fondo Notarile: Notaio Rubini Vincenzo Anselmo fu Giovan Antonio di Bergamo, cartella 10699.
18) Come nota 13). 
19) Vedi la ricerca del nostro parroco D. Giulio Gabanelli su Zogno Notizie, aprile 1993.   Anche Bortolo Belotti accenna alla sopraelevazione della parrocchiale nella Storia di Zogno, pag. 162, 163, ma in modo abbastanza generico e romanzato.
20) Archivio di Stato di Venezia. Fondo: 5 Savi alla Mercanzia, busta 391. Vedi inoltre Zogno Notizie, agosto 1982.
21) Archivio di Stato di Bergamo. Fondo Notarile: Notaio Bonetti Giuseppe fu Giandomenico di Zogno, cartelle 12155, 12156.
22) Come nota 21) ma cartella 12156.
23) Come nota 2) ma cartella 12400.
24) Archivio di Stato di Venezia. Fondo: 5 Savi alla Mercanzia, busta 777, (relazione dell'ing. veneto Giovan Antonio Urbani).
25) Archivio di Stato di Bergamo. Fondo Notarile: Notaio Marconi de Maffeis Flaminio fu Giovanni di Zogno, cartella 9010.


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