Saggi Storici
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Edizioni don Giulio Gabanelli, stampa Carminati Stampatore, Almè - Zogno

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Storia della roggia Traini

(n.1, febbraio 1996)
7/13


(Nota preliminare: questo saggio storico è stato raccolto nel volume dello stesso autore “Le Rogge di Zogno”, capitolo: Roggia Traini)

Nel presente capitolo si vedranno alcune vicende legate agli opifici non ancora considerati nella prima metà del XVIII secolo e alcuni fatti di cronaca che condizionarono in modo abbastanza importante la vita di Zogno in quel periodo.
Come prima cosa vi è da dire che il mulino della Misericordia ebbe un'attività alquanto regolare grazie al conduttore Ambrogio Torricella trasferitosi a Zogno ancora bambino insieme al padre Dionisio originario di Concorezzo, un paese della Brianza incuneato tra Monza ed Agrate (1). Non è dato sapere perchè questa famiglia si sia stanziata a Zogno proveniendo dal milanese. Comunque si sa che già da giovane Ambrogio era stato nominato "daziario" cioè addetto a distribuire vari beni di prima necessità ad uso pubblico quali frumento, melgotto, miglio, biade in genere, pane e vino e a riscuoterne le relative tasse per tutti i paesi del vicariato della "Valle Brembana Inferiore" che aveva come capoluogo Zogno.
Quasi certamente questo artigiano aveva qualche  nozione di contabilità o forse sarebbe meglio dire, considerato il periodo storico, di semplice calcolo matematico. Questo fu il motivo principale per cui fu chiamato dai rettori di Bergamo a svolgere tale compito. La sua perizia nei calcoli commerciali si deduce anche dal fatto che Ambrogio riuscì a convincere i dirigenti della Misericordia a stipulare con lui contratti non di 3 o 5 anni, come il solito, ma di ben 9 anni. Pur pagando un canone di affitto un po’ superiore alla media, la certezza di disporre dell'opificio per 9 anni consecutivi dava al Torricella maggiori garanzie di buona riuscita dell'attività potendo impostare una politica commerciale e produttiva di lungo respiro. Per poter stabilire contratti di affitto di 9 anni la Misericordia si vide costretta a cambiare le regole dello statuto dell'istituzione il che richiese il permesso dei rettori di Bergamo che fu concesso per la prima volta, dopo ampie discussioni politiche e giuridiche, a partire dal 1681 (2).
La famiglia Torricella era impegnata per la verità in altri settori commerciali. Ambrogio infatti era proprietario anche di un negozio di drogheria nel centro di Zogno, accanto alla casa che fu dei conti Brembati, ed acquistava e smerciava "pelli secche et pelose" vale a dire trattava partite di cuoio. Un figlio di Ambrogio che si chiamava come il nonno, Dionisio, fu chiamato per alcuni anni nella prima metà del XVIII secolo a gestire come direttore la cartiera di Giovanni Pesenti detto Molena (3). La famiglia Torricella insomma, di origine milanese, si stabilì a Zogno con discreta fortuna.
Non altrettanto si può dire della famiglia Chiavaro, originaria di Fiorano in valle Seriana (4), proprietaria del maglio. Il capostipite Giacomo Esposito detto Chiavaro aveva acquistato il maglio nel lontano 1686 (5) da Pasino Pasinelli e aveva sposato anche la figlia di costui: Pasina.  Dal matrimonio  erano nati tre figli, Giovan Battista, Alberto e Giuseppe che rimasero però orfani del padre quando erano ancora ragazzini. Giunti  alla maggiore età Giovan Battista e Alberto tennero per se stessi l'opificio mentre Giuseppe decise di tentare la fortuna emigrando e sbarcando a Spalato, l'odierna Split, sulla costa jugoslava. Egli si dedicò a commerci di vario genere anche nelle vicine città di Zara, l'attuale Zadar, e Ragusa, l'odierna Dubrovnik, sulle coste dalmate in quel tempo territori della Repubblica Veneta.
Giuseppe era un emigrante per così dire pendolare. Ogni tre anni circa tornava a Zogno per rimanervi qualche tempo. Insieme ai fratelli nel 1720 egli concesse di costruire una casa di abitazione adiacente al maglio nel vasto terreno circostante, che per un terzo era di sua proprietà, a Carlo Cattaneo e a Ignazio Zanchi rispettivamente "Ministro et Casiere della Veneranda Scola del Santissimo Sacramento eretta nella parrocchiale di Zogno" (6). Questa casa nuova più tardi diventerà sede del torchio di cui si è già trattato (7). Giuseppe fece questa concessione per aiutare i fratelli che avevano accumulato alcuni debiti nella gestione del maglio. Per la giovane età e per inesperienza professionale infatti già nel 1715 Giovan Battista e Alberto si videro costretti a vendere il maglio a certo Agostino Pasquinelli di Bracca col diritto però di riscattarlo e con la condizione di rimanere a svolgere l'attività pagando un affitto allo stesso Pasquinelli secondo la norma detta del "livello alla veneziana o more veneto" (8). Questa tecnica fu applicata di nuovo dai Chiavaro nel 1722 con i fratelli Bernardo e Giuseppe fu Beltrame Maffeis di Stabello (9). Dopo questo secondo riscatto l'attività proseguì in modo migliore ma non fu mai molto brillante come è stato illustrato per il figlio di Giovan Battista Chiavaro, Giacomo con lo stesso nome del nonno, diventato unico erede di questo opificio (10).
E' abbastanza interessante ricordare che il nome originario del capostipite di questa famiglia era Giacomo Esposito. Tuttavia a causa del lavoro svolto che consisteva in prevalenza nel forgiare ferro per fare chiavi da cantiere da inserire nelle travi di legno o nei muri, egli fu sopranominato Chiavaro. Questo soprannome divenne ben presto il cognome. Infatti solo nei due atti notarili più antichi compare  l'espressione  "Giacomo Esposito  detto il Chiavaro"; in tutti gli altri, che sono la gran parte, appare sempre il nome Giacomo Chiavaro senza altre precisazioni come fatto ormai acquisito da tutti. Tra l'altro si deve precisare che egli non si stabilì definitivamente a Zogno ma continuò per così dire a fare il pendolare tra Zogno e la valle Seriana dove aveva conservato degli interessi economici.
Per quanto riguarda il mulino del Capo vi è da dire che per tutta la prima metà del XVIII secolo esso risulta di proprietà di Giandomenico Sonzogno (11) "figlio del fu il signor Francesco detto il Capo". Giandomenico fu residente a Zogno nella contrada di S. Bernardino fino al 1710 circa, poi emigrò a Venezia per aiutare e sostituire uno zio, Pietro, mercante di biade a Venezia e in Istria dal quale periodicamente riceveva partite di frumento, melgotto e miglio da macinare (12). Giandomenico era abbastanza benestante e come lo zio Pietro non era stato obbligato dalle condizioni di vita a fare l'emigrante ma aveva fatto questa scelta per motivi imprenditoriali. Dopo il 1710 infatti egli periodicamente risiedeva per tre anni circa a Venezia poi ritornava per alcuni mesi a Zogno. Durante la sua assenza il mulino risultava costantemente affittato a gente esperta del luogo tra cui bisogna ricordare il mugnaio Giacomo Sonzogno fu Antonio di Ambria titolare e conduttore con due fratelli di un torchio e di un mulino in quella contrada come è stato descritto nella storia della roggia dell'Acquada (13). Nel complesso il mulino del Capo attraversò la prima metà del XVIII secolo in modo abbastanza operoso e tranquillo tranne che in una breve parentesi durata qualche anno.
Nel dicembre del 1739 infatti una piena del Brembo forte, ma non straordinaria, invase le piane di Zogno che allora erano chiamate "le gierre". Ampi tratti della strada Priula in corrispondenza dell'attuale via Locatelli vennero divelti e l'acqua del fiume sommerse totalmente gli scantinati del mulino del Capo lasciando fuori solo il piano rialzato che ancora oggi si può vedere. La roggia, i canali che portavano l'acqua alle ruote e il porticato sull'ingresso furono semisepolti nella ghiaia e l'intero edificio rischiò di crollare. Il ponticello su cui passava la strada Priula scavalcando la roggia all'altezza del mulino fu invece spazzato via (14). Sia Giandomenico Sonzogno che il comune di Zogno dovettero lavorare parecchi mesi e spendere considerevoli somme per ripristinare rispettivamente il mulino e la strada pubblica.
Questa piena a dire il vero creò altri grossi guai alla viabilità vallare poichè anche il ponte di Ambria sul Brembo, che collegava la valle Serina con Zogno, venne seriamente danneggiato pur rimanendo in piedi. Nessuno comunque osava più passare su quel ponte specie i conduttori delle carovane di muli carichi di merce. Tale era il rischio del passaggio che il ponte fu chiuso. Per questo motivo venne adattata, quale collegamento tra Zogno e la valle Serina, la mulattiera che staccandosi dal ponte vecchio di Zogno e passando per Bonorè, Romacolo, Malpasso e Acquada giungeva nel centro di Ambria innestandosi in quella diretta a Serina. Questo tratto di mulattiera comunque non era in grado di sostenere l'andirivieni abbastanza intenso di pedoni, cavalli e muli da e per Serina. Pertanto fu più volte sistemato e rimaneggiato. Specialmente i due ponticelli a Bonorè sulla valle di Poscante e a Romacolo sulla vall'Arsa subirono particolari attenzioni essendo due punti critici.
Nel 1743 essendo questa strada alternativa diventata impraticabile, su istanza di tutti i paesi  del  "Vicariato  della  valle Brembana Superiore" cioè della valle Serina, si tenne una grandiosa e accesa assemblea nella sala del "Vicariato della valle Brembana Inferiore" a Zogno. In essa si decise ma sarebbe più giusto dire si costrinse i rappresentanti dei comuni di Zogno,  Poscante e Endenna a far riparare tempestivamente quel tratto di strada (15). Nessun atto di forza fu più opportuno di quello poichè, poco dopo il termine di quei lavori, nel 1755 un'altra piena del Brembo fece crollare definitivamente il ponte di Ambria e ciò che era stato fatto come soluzione temporanea si rivelò utile per altri trent'anni. Le vicende del vecchio ponte di Ambria dal crollo del 1755 in poi sono già state illustrate in altra sede dagli stessi autori (16).
Per concludere resta da dire qualcosa sulle caratteristiche tecniche degli opifici e della roggia perchè anche queste informazioni contribuiscono a dare di queste vicende un'immagine più completa e vicina alla realtà.
Attorno al 1705 la segheria di Giovanni Pesenti Molena aveva una sola ruota mentre il mulino della Misericordia ne aveva tre con altrettante macine (17). Il follo dei Marconi de Maffeis aveva pure tre ruote mentre la cartiera, sempre del Molena, ne aveva quattro (18). Il maglio di Giacomo Chiavaro aveva due ruote di cui una muoveva il percussore mentre l'altra serviva per molare i ferri; infine il mulino del Capo, di Giandomenico Sonzogno, era dotato di due ruote e di due macine (19).
La roggia aveva una portata di "6 canali", misura antica corrispondente a circa 1600 litri di acqua al secondo (20). Una decina di metri a monte del mulino della Misericordia la roggia si divideva in due rami uguali per alimentare il mulino e il follo. Poco dopo il follo i due rami si riunivano in modo definitivo per alimentare gli altri opifici. La lunghezza complessiva era inferiore rispetto ad oggi perchè nasceva un pò più a valle ed era di 2160 metri. Infine si vuole rimarcare una caratteristica ambientale abbastanza interessante.
Le vaste piane di Zogno comprese tra le Grotte delle Meraviglie e il luogo dove si trovava la cartiera, nell'epoca in esame, erano percorse in lungo e in largo dal fiume Brembo che formava numerosi meandri. Basti dire che alcuni rami del fiume passavano a meno di 30 metri dalla cartiera, a meno di 50 metri dal maglio e a circa 80 metri dal mulino del Capo! Queste piane erano costituite in prevalenza da sabbia e ciotoli di fiume (donde il nome "gierre") e le sole case presenti in questa landa un pò desolata erano il maglio e il mulino del Capo. Questi opifici apparivano isolati e lontani dalle abitazioni poste nel centro di Zogno e nelle contrade di Capaniccioli, S. Bernardino e Inzogno, località queste che erano rialzate rispetto al fondovalle vero e proprio sommerso abbastanza di frequente dalle acque del Brembo.


BIBLIOGRAFIA
1) Archivio di Stato di Bergamo. Fondo Notarile: Notaio Sonzogno Giovan Battista fu Sebastiano di Zogno, cartella 4261. 
2) Archivio di Stato di Bergamo. Fondo Notarile: Notaio Furietti Giovanni fu Francesco di Zogno, cartella 4832.
3) Archivio di Stato di Bergamo. Fondo Notarile: Notaio Panizzoli Francesco fu Giovan Battista di Zogno, cartella 12394, atto del 1/4/1711.
4) Archivio di Stato di Bergamo. Fondo Notarile: Notaio Martinelli Pietro Giacomo fu Giovanni di Fiorano al Serio, cartella 4219.
5) Archivio di Stato di Bergamo. Fondo Notarile: Notaio Franzoni Bonaventura fu Bernardino di Zogno, cartella 6010, atti del 17/5/1686 e del 25/5/1686.
6) Come nota 3), cartella 12394, atto del 15/2/1720.
7) Zogno Notizie, agosto 1995. Zogno Notizie, ottobre 1995. 
8) Come nota 5) ma cartella 6016, atto del 8/10/1715.
9) Come nota 3) ma cartella 12395, atto del 11/3/1722.
10) Zogno Notizie, ottobre 1995. 
11) Come nota 3) ma cartella 12400, atto del 2/12/1746.
12) Archivio di Stato di Bergamo. Fondo Notarile: Notaio Algarotti Alessandro fu Giacomo di Poscante, cartella 5606. Vedi inoltre nota 1) ma cartella 4260, atto del 27/7/1641.
13) Archivio di Stato di Bergamo. Fondo Notarile: Notaio Algarotti Alessandro fu Giacomo di Poscante, cartella 5606. Vedi inoltre Zogno Notizie, febbraio 1986.
14) Come nota 3) cartella 12399, atto del 13/12/1739; cartella 12400, atto del 2/12/1746.
15) Come nota 3) cartella 12399, atto del 7/4/1743.
16) Zogno Notizie, agosto 1982.
17) Come nota 5) ma cartella 6013, atto del 26/5/1700.
18) Come nota 3) cartella 12394.
19) Come nota 3) cartella 12400, atto del 2/12/1746.
20) Le dimensioni del fossato della roggia sono rimaste immutate nel tempo. La sua larghezza media è di 2,5 metri mentre la sua profondità, a regime normale, è di 0,7 metri. Essendo la velocità media dell'acqua di circa 0,9 metri al secondo si ricava che la portata è di 1575 litri di acqua al secondo.


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