Saggi Storici
Quaderni Brembani

Edizioni Centro Storico Culturale Valle Brembana, Corponove, Bergamo

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Antichi esempi di lavoro minorile brembano (n. 22, 2024)  

       

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Chi scrive ha già trattato un argomento simile nel 2013 illustrando vari casi del XVIII secolo di lavoro precario assai mal pagato per giovani apprendisti in varie attività artigianali [1]. Le caratteristiche fondamentali di quei casi consistevano nel fatto che i genitori si accordavano con l’artigiano per una durata in genere di cinque anni o più in cambio del vitto, di un abito e di un paio di zoccoli per il giovane apprendista senza dire che a volte erano i genitori stessi a pagare qualcosa al datore di lavoro in quanto costui era avvertito in modo prevalente come l’insegnante di un mestiere. Inoltre i giorni di lavoro persi a causa di una momentanea malattia dovevano essere recuperati con un prolungamento dell’attività di apprendista di pari durata. Il fatto che fossero sempre i genitori a stabilire tali accordi commerciali lascia intendere che il giovane avesse un’età attorno ai 18 anni. Ma ciò significa in realtà un’età variabile dai 15 anni fino ad una superiore ai 18 anche in misura apprezzabile. Nei secoli passati infatti la maggiore età si raggiungeva a 18 anni ma diventare maggiorenni significava solo poter decidere di sposarsi, col consenso dei genitori, o poter ereditare qualche bene mobile o immobile, quando si era orfani, senza poter decidere formalmente nulla sino a quando il giovane non veniva emancipato, cioè dichiarato autonomo e indipendente, dal padre con una procedura formale resa pubblica davanti ad un notaio-giurista competente ed abilitato o davanti al vicario locale. Purtroppo il momento dell’emancipazione era una decisione esclusiva del padre condizionata dal buon comportamento del figlio nei confronti del padre e della madre e dalla sua giusta considerazione e consapevolezza della situazione economica generale della famiglia. Pertanto un giovane poteva diventare maggiorenne in senso moderno, cioè decidere effettivamente in piena autonomia della propria vita, anche a 20 o 22 anni e a volte anche più. Dal contesto dei documenti illustrati nel 2013 i nostri apprendisti mostrano di avere tutti un’età compresa tra i 15 e i 20 anni anche se la loro età non è mai dichiarata esplicitamente.
I nuovi casi che si vogliono trattare in questa sede hanno importanti differenze rispetto a quelli già illustrati per vari motivi. Innanzitutto poiché sono più antichi di almeno due o tre secoli, secondariamente perché riguardano attività artigianali nuove ossia non considerate nella pubblicazione del 2013 e infine perché nei documenti relativi si indica esplicitamente l’età del giovane. Ed è proprio quest’ultima caratteristica a rendere particolarmente importanti e speciali dal punto di vista storico questi documenti poiché da essi risulta che i giovani apprendisti erano in realtà dei bambini veri e propri con l’età compresa tra i 10 e i 14 anni trattati nello stesso identico modo dei loro colleghi che avevano però 4 o 5 anni in più quindi, dal punto di vista fisico e psicologico, più preparati ad affrontare certe durezze della vita. Un altro aspetto storicamente interessante di questi documenti è la loro scarsità. Infatti a fronte di 100 atti notarili del tipo illustrato nel 2013, cioè senza l’indicazione dell’età, se ne trovano solo 5 o 6 di quelli dove è precisata l’età il che si presta alle due interpretazioni seguenti: anche nei documenti del primo tipo vi erano in realtà bambini ma la loro età è stata taciuta per vergogna o per compassione considerata la necessità economica di quella scelta da parte dei loro genitori; in alternativa poiché il giovane appariva a tutti cioè al notaio, ai genitori e all’artigiano avere per quei tempi un’età adatta per iniziare a lavorare, cioè almeno di 15 anni o più, questa età non è stata precisata essendo data per scontata. Chi scrive vuole credere senza pregiudizi che l’interpretazione più corretta sia la seconda per cui è lecito pensare che la precisazione dell’età era richiesta quando si voleva implicitamente far presente al datore di lavoro che, data l’età decisamente prematura del ragazzo, era necessario avere alcuni riguardi e scrupoli in più nei confronti di un apprendista tanto giovane. E in effetti le attività in cui sono impiegati questi bambini fisicamente appaiono meno pesanti rispetto a quelle già descritte nella pubblicazione precedente ma sono accompagnate tuttavia da maggiori difficoltà di tipo psicologico indotte dalla lontananza dell’ambiente famigliare come si vedrà.
Il primo esempio, il più antico in quanto risale al 2 novembre 1461, si caratterizza non solo per l’età infantile ma anche per la durata dell’apprendistato decisamente superiore alla norma essendo di ben 10 anni il che presuppone un forte distacco dall’ambito famigliare per un tempo molto lungo in quanto non si permetteva a un bambino di quell’età di percorrere da solo ogni 3 o 4 mesi oltre 30 chilometri per tornare a casa essendo, d’altra parte, i suoi genitori impegnati tutto il giorno nei lavori dei campi. (foto-01) Una caratteristica abbastanza notevole da rimarcare poi in questo documento è anche il fatto che il ragazzino dovrà occuparsi di lavori attinenti alle stoffe ma non di lana bensì di velluto che erano più pregiate e costose. Ecco la traduzione letterale dal latino [2] .
“Il giorno secondo del mese di novembre 1461, indizione nona, nel luogo di Zonio
(Zogno) in casa di abitazione dell’infrascritto Teutaldo fu Lanfranco de Sonzonio. Presenti per testimoni mastro Antonio pittore fu Giovanni de Mafeis di Zonio abitatore di Piazzo (Piazzo Basso oggi S. Pellegrino), Antonio detto Tiberto fu Zignolo fu Visconti de Corigis di Zonio, Poleto fu Mascarino de Sonzonio e Giovanni fu Giosepo de Ponzonibus di Malpasso comune di Averaria (Averara) e Guarino detto Vito de Sonzonio tutti bergamaschi asserenti di conoscersi, di conoscere le parti e me nodaro.
Quivi Tomasino fu Bono de Ponzonibus di Malpasso comune di Averaria di Valle oltre la Goggia
(è la piccola contrada che si trova poco a monte di Olmo al Brembo verso Mezzoldo) espressamente e concordemente e con scienza (consapevolezza) nel migliore modo possibile da una parte; e mastro Guarino figlio di Teutaldo fu Lanfranco de Sonzonio in presenza e col consenso e l’approvazione dello stesso Teutaldo suo padre dall’altra parte, concordemente e amichevolmente sono pervenuti ai seguenti patti e cioè che lo stesso Tomasino debba dare e consegnare ossia darà e consegnerà a mastro Guarino Bono suo figlio dell’età di anni dodici circa per rimanere con lo stesso mastro Guarino per esercitare l’arte dei velluti che lo stesso Guarino esercita ed insegna e altri negozi (affari) vicino a mastro Guarino da qui a 10 anni prossimi futuri e successivi incominciando e obbligandosi dal giorno odierno; e che per gli stessi dieci anni mastro Guarino sia tenuto e debba alimentare lo stesso Bono, vestire, nutrire e trattare con buona fiducia e legalità e senza frode e che alla fine degli stessi dieci anni mastro Guarino sia tenuto e debba dare, pagare e consegnare come salario dello stesso Bono lire 50 imperiali. (foto-02)
E se accadesse il caso che lo stesso Bono non adempisse agli stessi patti o che Bono si allontanasse da mastro Guarino nel tempo dei detti dieci anni allora che lo stesso Tomasino e Bono non possano ne debbano avere niente altro dallo stesso Guarino cioè che mastro Guarino non debba e non sia tenuto a sborsare le dette lire 50 imperiali se non per un gesto di sua volontà (atto di generosità). Se inoltre Bono morisse prima del tempo dei detti dieci anni che similmente lo stesso mastro Guarino non sia tenuto ne debba dare ne pagare alcuna cosa agli stessi Bono e Tomasino delle stesse lire 50 riservato il fatto che (oltre al fatto che) lo stesso mastro Guarino abbia il diritto di chiedere e conseguire il danno e l’interesse dagli stessi Bono e Tomasino o da chiunque di loro se nel caso che lo stesso Bono morisse o recedesse (si allontanasse) dallo stesso mastro Guarino al di qua (prima) del tempo dei dieci anni prossimi futuri. Le quali cose tutte sono state pattuite, preparate e concordate tra Tomasino e mastro Guarino. Le quali cose le stesse parti si sono convenute e promesse, una parte all’altra vicendevolmente, di osservare sotto pena dei propri beni mobili e stabili assoggettati a pignoramento. Le quali cose si attenderanno e si occuperanno di fare per sempre una parte all’altra vicendevolmente e nessuno di loro verrà meno a ciò e saranno contenti per sempre, senza alcuna eccezione a questi accordi”.
Per comprendere meglio il contenuto del prossimo contratto di apprendistato bisogna precisare che “l’arte peliparia” consisteva nell’attività di togliere con un raschiatoio i peli delle pelli di animali in genere di mucca, di vitello o di pecora al fine di rendere la pelle liscia e più morbida il che serviva non solo per produrre calzari speciali, cinture di vario genere, borse, briglie, selle e altri finimenti di cavalli ma anche per predisporre la pezza di pelle per essere scritta in altre parole per produrre una pergamena. Questa attività dunque si accompagnava ed era strettamente connessa a quella principale di “confeturia” ossia di conceria di pelli. In questo documento è rilevante poi il fatto che il ragazzo, orfano di padre, deve seguire l’artigiano di Zogno nei suoi affari fino nella regione italiana delle Marche, di certo non vicina alla Valle Brembana, che richiedeva la permanenza in quelle zone per svariate settimane come risulta da altri documenti riguardanti il datore di lavoro. Ecco la solita traduzione letterale dal latino [3]. (foto-03)
“Nel nome di Cristo, così sia. Nel giorno undicesimo del mese di agosto dello stesso anno
(1490 da rogito precedente) nel luogo di Zonio (Zogno) in casa di abitazione di me nodaro. Presenti per testimoni Arigino (Regino) fu Bonomo de Panizolis, Girardo detto Rizio de Mafeis, Gabriele Malani de Mafeis, Bertoleto di Bonomo de Gariboldis, Ziniolo detto Zenzillo de Sonzonio e Gasparino di Guidotto de Mafeis tutti asserenti di conoscersi tra di loro, di conoscere le parti e me nodaro.
Quivi Peterzano detto Legato de Corigis, Francesco Polini de Panizolis, Bartolomeo Guarino Canesi de Corigis tutti di Zonio come rappresentanti, tutori e curatori di Bassiano fu Cristoforo Manzino de Corigis de Zonio da una parte in presenza di Bonasola sua madre per questo constituita e Giovanni detto Guarino fu Tarazino de Mafeis di Zonio dall’altra parte; concordemente e unanimemente sono pervenuti ai seguenti infrascritti accordi convenzioni e transazioni cioè che lo stesso Bassiano di età di anni quattordici circa sia tenuto e debba e sia costretto e sia obbligato a stare dimorare ed abitare e gestire ed esercire i negozi dello stesso Giovanni per ogni volta che occorra gestire ed esercitare gli stessi per cinque anni prossimi futuri i quali anni cinque incominceranno agli inizi del mese di settembre prossimo futuro e che lo stesso Giovanni sia tenuto e debba in tutto e possa instruere
(istruirlo) e praticare (renderlo pratico) nell’arte peliparia e che lo stesso Giovanni lo debba pascere e nutrire e cibare ed alimentare per ogni spesa di bocca e che sia tenuto comperare gli zoccoli necessari a spese dello stesso Giovanni ed anche per i vestimenti e i calzari e particolarmente per risolare sia lo stesso Giovanni a farsene carico e a sostenere a proprie spese; che lo stesso Giovanni debba dare e pagare allo stesso Bassiano ducati dodici d’oro per gli stessi cinque anni e che lo stesso Giovanni debba in Marchia condurlo (è la regione italiana delle Marche) e che ciò sia a spese dello stesso Giovanni; e se fosse necessario dare qualcosa (di particolare) allo stesso Bassiano per suo vestimento che gli sia dato e se fosse stato dato qualcosa allora che in seguito questo debba essere detratto e defalcato dalla stessa sua mercede di ducati dodici d’oro. Le quali cose tutte le stesse parti ed ognuna di loro così come sopra si sono convenute ed hanno stipulato e si sono obbligate di osservare ed attendere ogni predetta singola cosa sotto pena di ogni danno spese e interesse; le quali cose sono state predisposte e fatte alla presenza e col consenso dello stesso Bassiano rinunciando ad ogni eccezione di fatto e di diritto”. (foto-04)
Il prossimo documento racconta il finale abbastanza lieto di un’esperienza di vita iniziata però in modo drammatico e rocambolesco che ha bisogno di alcune premesse storiche. Non è molto noto infatti al grande pubblico che durante il periodo d’oro delle Repubbliche Marinare, vale a dire nel corso del 1200 e 1300, come i Saraceni compivano razzie e deportazioni di persone sulle coste italiane così Venezia, Genova e Pisa nella lotta per la conquista e per il mantenimento di alcuni porti commerciali sia sulle coste dei Balcani che su quelle del Mar Nero a loro volta rapivano uomini, donne e bambini anche dell’entroterra per poterli utilizzare di fatto come schiavi: i primi destinati ai remi sulle galee, gli altri come lavoranti impiegati in varie attività. In particolare Venezia per la sua posizione geografica prese il sopravvento indiscusso sulle coste dalmate mentre dovette condividere ed accettare la concorrenza di Pisa e di Genova per il Mar Nero sulle coste oggi bulgare, romene e ucraine. Questa attività di deportazione fu abbastanza regolare per Venezia fino alla metà del XV secolo quando nel 1453 Costantinopoli fu occupata dai Turchi mentre sulle coste dalmate continuò, senza essere mai ammessa pubblicamente, sino alla fine di quel secolo in modo estemporaneo per cessare poco dopo quando i Turchi si impossessarono di quasi tutti i Balcani. Per questo motivo le coste dalmate erano chiamate, durante il periodo della Serenissima, anche col nome di Schiavonia per indicare le regioni da cui provenivano gli schiavi deportati che giungevano a Venezia non a caso sulla nota Riva degli Schiavoni. Mentre accadevano questi eventi un giovane ventenne della contrada Camangheno dell’antico comune di Endenna, Bertulino Vitali della famiglia detta Panizie, pieno di iniziative emigrò nel 1465 a Venezia e grazie alle sue capacità fece fortuna diventando “sindaco” cioè membro del consiglio di Sestiere, una delle sei parti in cui era suddivisa Venezia oggi corrispondente al concetto di quartiere, dedicandosi a commerciare con supervisione su tutto il sestiere tuniche e mantelle di lana e altro. Con tale incarico egli assunse come apprendista nel 1473 una delle bambine schiave dell’età di dieci anni e orfana proveniente dalla località di “Senia”, oggi corrispondente alla cittadina costiera sul mare Adriatico di Senij in Croazia per l’appunto in Dalmazia o Schiavonia come allora si diceva, ottenendo un validissimo supporto al suo lavoro come si legge nel documento originale latino tradotto alla lettera [4]. (foto-05)
“Nel nome di Cristo, così sia. Siccome è avvenuto in un altro tempo, ossia furono o possono essere dodici anni fa all’incirca, che nella città di Venezia mastro Bertulino fu mastro Bono Panizie de Vitalibus di Endenna da una parte, e Rada di Senia territorio della Sgiavonia
(Schiavonia) dall’altra parte, ora dell’età di circa 22 anni, sono pervenuti ai seguenti patti e cioè: che la stessa Rada doveva stare ed abitare con lo stesso mastro Bertulino per trattare e gestire bene gli affari del medesimo mastro Bertulino per anni dieci, allora prossimi futuri, al prezzo di un ducato d’oro per ciascun anno e al corso corrente di lire di ogni anno degli stessi dieci anni, allora prossimi futuri, e solo per quelli trascorsi, come risulta, facendo pratica all’ufficio delle Tuniche di Sestiere del comune di Venezia, le quali cose tutte ora e quivi hanno affermato e ribadito gli stessi mastro Bertulino de Vitalibus di Endenna e Rada di Senia in presenza di me notaro e degli infrascritti testimoni.
Pertanto nel giorno ventinove del mese di settembre 1485, indizione terza, nel luogo di Zogno al banco del diritto
(dove si amministra la giustizia ossia nella sede del vicariato) dello speciale signor Rivola De La Vitalba onorabile vicario della Valle Brembana Inferiore per i Serenissimi ed Eccellentissimi Signori di Venezia; presenti per testimoni Giovanni fu Tadeo Chebe de Vitalibus, Pietro fu Giovanni detto Capreto dei detti Vitalibus, Bonfado figlio di Vianino Bonfado Sanano de Zambellis e Zano figlio di Pietro Bonazio de Mazochis tutti di Endenna ed ivi abitanti, bergamaschi ed asserenti di conoscere le parti e me notaro.
Quivi lo stesso mastro Bertulino de Vitalibus di Endenna da una parte, e la stessa Rada di Senia territorio della Sgiavonia dall’altra parte quivi costituiti in presenza e per volontà e con l’autorità e con il decreto del predetto signor vicario, concordemente ed unanimemente sono pervenuti ai seguenti patti, convenzioni e transazioni e cioè:
che la stessa Rada debba stare ed abitare col medesimo mastro Bertulino per trattare e gestire gli affari dello stesso mastro Bertulino bene, con buona fiducia e senza frode come risulta che ha fatto in passato fino al momento in cui la stessa Rada si sposerà; che la stessa Rada in questo frattempo abbia e debba godere dell’abitazione e del vitto e di un vestito in modo decente ed onesto in beni e cose di mastro Bertulino; che quando la stessa Rada si sposerà abbia e debba ereditare dallo stesso mastro Bertulino o dai suoi eredi e successori lire cento imperiali come sua dote e controdote in vesti e fornimenti
(accessori) da sposa, calcolati nelle dette cento lire imperiali gli stessi dieci ducati d’oro dei quali sopra si è stabilito come salario dei detti dieci anni e calcolato con questo tutto ciò che la stessa Rada possa chiedere allo stesso mastro Bertulino o ai suoi eredi e successori sopra i suoi beni e cose fino al giorno in cui sarà condotta dal marito e che dalla quale causa (da questo motivo o fatto) ed occasione non possa chiedere nient’altro a mastro Bertulino ne ai suoi eredi e successori se non le predette cento lire imperiali.
E se fosse il caso in cui la stessa Rada non si sposasse allora che in questo caso la stessa Rada abbia e debba godere per tutto il tempo della sua vita dell’abitazione, del vitto e di un vestito in modo decente ed onesto in beni e cose dello stesso mastro Bertulino secondo la condizione
(richiesta) della stessa Rada e cioè che la stessa Rada stia ed abiti nella casa dello stesso mastro Bertulino trattando gli affari dello stesso mastro e vivendo in modo onesto e casto. E nel caso in cui la stessa Rada non vivesse in modo onesto e casto e non volesse essere ubbidiente in casa dello stesso Bertulino allora che lo stesso Bertulino o i suoi eredi e successori possa e possano dare il licenziamento alla stessa Rada e cacciarla dalla casa dello stesso Bertulino senza alcuna eccezione. (foto-06)
Delle quali cose tutto è stato fatto e pattuito, si fa e si pattuisce tra lo stesso mastro Bertulino de Vitalibus da una parte e la stessa Rada dall’altra parte costituendosi come anche si costituisce lo stesso Bertulino di tenere e possedere tutti e ciascuno dei suoi beni e cose, mobili e immobili di diritto e di fatto a nome suo e a nome della stessa Rada a garanzia delle predette lire cento imperiali di dote e controdote che la stessa Rada può chiedere ed esigere in quella circostanza (con il matrimonio). Per le quali cose le medesime parti hanno convenuto e si sono obbligate giurando sui santi Evangeli, toccando con le mani le scritture e dopo avere invocato, l’una e l’altra parte, il nome di Dio per il tramite di me notaro di rispettare ed osservare tutti ed ognuno di questi accordi rinunziando come hanno rinunziato ad ogni eccezione. Tutte queste cose sono state fatte e si fanno in presenza e con l’autorità e il decreto del predetto signor vicario che alla medesima Rada per tutte le cause predette ha prestato la sua autorità, ha conferito e ribadito e interposto il suo decreto, come si constata, richiesto in qualità di rappresentante formale di tutta la predetta valle”.
Da questo atto notarile si evince che Bertulino nel 1485, quarantenne con un buon successo economico alle spalle, a 12 anni circa di distanza dal primo incontro con la bambina Rada aveva deciso di ritornare a Endenna continuando a fare il mercante di stoffe a Camangheno accompagnato dalla stessa Rada, ora giovane ventiduenne, forse illuso di poterla anche sposare nonostante la differenza di età essendo celibe. Ma la giovane Rada aveva risposto con un diniego a questa offerta dichiarandosi però disponibile a continuare a lavorare per Bertulino e richiedendo, garantendosi con un atto formale, solo la possibilità di vivere in casa sua, di godere del vitto e di un abito decente per sempre se non si fosse sposata, oppure una dote ragionevole fino al giorno in cui avrebbe incontrato l’uomo per lei più adatto. Non è dato sapere come sia finita la vicenda anche se è lecito pensare che per una ragazza straniera con origini sociali da schiava non deve essere stato facile trovare un uomo in Valle Brembana disposto a farle da marito. Benchè questo esempio non coinvolga una bambina di origini brembane, c’è da osservare comunque che colpiscono molto la grande facilità e l’assoluta naturalezza con cui Bertulino nativo di Endenna, lui sì brembano a tutti gli effetti, risulta aver assunto come lavorante una bambina di dieci anni.
Il prossimo caso rientra nella tipologia più normale di un trasferimento interno alla nostra valle per un apprendistato legato alla lavorazione della lana. E’ notevole ancora il fatto che è coinvolto un ragazzino di dodici anni scarsi in un periodo di circa un secolo successivo ai casi appena illustrati il che dimostra che col trascorrere del tempo le necessità economiche e le abitudini delle famiglie meno fortunate non cambiavano. Il documento che descrive la vicenda si evidenzia anche per il fatto che risulta scritto in un misto di latino, italiano e bergamasco ed è quindi uno dei primi con tale proprietà a caratterizzare i rogiti di quest’epoca. Ecco l’atto originale [5] . (foto-07)
“Si come se dichiara per la presente scritura como che Zaneto de Michel de Milesi habita in Alino del comun de Sto Piligrino (San Pellegrino) al presente zorno (giorno) si a (ha) consegnato et accordato suo fiol Michel de anni dodeci circa cioè a star per famejo (per famiglio o inserviente) con mastro Geronimo di Bernardo de Rogerj habitante nela contrata de Chagavatio (Ca dei Gavazzi oggi Ripa dei Gavazzi o semplicemente Ripa) comun de Posolcanto (Poscante) per anni sei a far et negoziar de li servizi li sarà imposti da deto Geronimo per il detto tempo promettendo esso Zaneto sotto valida obligazione chel dito Michel sarà fidele et legale (rispetterà le regole) a deto mastro Geronimo per il dito tempo che starà con deto Geronimo et che non farà fraude (frode) alchuna;
et per converso
(viceversa) il deto mastro Geronimo soto simele obligazione se obliga de tinir (tenere) et pascer (nutrire) et vestir el dito Michel per tuto ol tempo de li detti anni sei prossimi a venir et insegnarlj el mester dela lana cioè scartezar, filar et petenar dela lana et in oltra deto Geronimo se obliga a dar et pagar a deto Zaneto lire sette e soldi dieci alano (all’anno) durando il detto termine et questo de anno in anno soto pena de ogni dano et interesse prometendo le dette parti de attenderse (osservare) le stesse convenzionj et patti una parte alaltra et laltra alaltra sotto pena dogni dano et interesse. (foto-08)
Et questo fu il dì vintidoj zenaro 1571
(22/01/1571) in casa di maestro Paulo de Piligrinis (per completezza di informazione di Zogno) padre de mi nodaro et questo in presenza di deto maestro Paulo, Rocho di Geronimo de Orlandini et mastro Simone fu Josepho de Milesis de Cornalida (Cornalita) comun de Sto Zoan Biancho (San Giovanni Bianco).
Io Giovan Battista de Paulo de Piligrinis nodaro publico bergomense ogni cosa ho ritrascritto sotto volontà di ognuna delle parti.
Io Paulo fu maestro Giovanni de Piligrinis per testimone sono stato presente.
E mi Rocho de Girolimo de Orlandini de Santo Piligrì,
et mi Simone foi presente al sopraschrito”.

L’ultimo esempio viene ripreso in originale solo nella parte fondamentale e riassunto per il resto essendo scritto in un italiano relativamente moderno e leggibile e perché costituito da vari documenti abbastanza lunghi che rappresentano un testamento, un codicillo ossia una rettifica al testamento che non riguarda però il tema in questione, ed un atto di emancipazione [6].
Si apprende dunque che nel 1671 “. . . il signor Alessandro figlio del signor Giovan Battista Sonzogno detto Tessera del presente comune (contrada Tessera presso San Cipriano sul monte di Zogno) andò in età di anni undeci nell’Inclita Città Dominante di Venetia mentre quando partì di qui il padre suo s’attrovava in debol fortuna ne potè somministrar a detto suo figliolo ajuto alcuno tanto alla di lui partenza come alla di lui dimora in detta Città dove anco di presente habita et essercita l’arte di Tentor di Seta; si chè per necessità fu astretto (costretto) gionto all’hora in Venetia di trovar impiego non solo per vivere ma per aproffittarsi ancora (per guadagnare qualcosa) accordandosi per gargione così che a poco a poco Dio benedì le sue fatiche e impieghi concedendogli quelli uttili, beneffitij e commodità che di presente gode, fatti et conseguiti solamente dalla di lui assidua accuratezza, impiego e fatiche; e poiché detto signor Giovan Battista padre s’attrova aver altri figlioli non vorrebbe che doppo la di lui morte nascessero tra essi littigi e che injustamente pretendessero e disturbassero detto suo figlio Alessandro per quello che questo possiede, et anco per saldo della propria conscienza e perché la verità resti palese et al fine sudetto . . .”. (foto-09)
Dal resto della documentazione risulta che Alessandro a undici anni si era recato a Venezia non in compagnia del padre ma di alcuni giovani emigranti zognesi e che una volta giunto nella capitale aveva dovuto arrangiarsi come garzone in varie attività finchè era stato assunto in modo stabile in una officina di tintura delle sete per poi diventare un libero artigiano. Durante i primi anni di permanenza in Venezia era tornato a Zogno una volta ogni due anni circa e dopo aver incominciato a guadagnare qualcosa aveva fatto avere al padre vari denari in modo che il padre potesse acquistare in proprio una casetta, un campo e un prato a Zogno intestati solo al genitore e non a se stesso. Nel corso della vita grazie ad un miglioramento economico Alessandro si era sposato ed aveva avuto un figlio, Bernardo Giuseppe, che nel 1710 si era iscritto al seminario di San Marco in Venezia per diventare sacerdote. Suo nonno, cioè Giovan Battista, per ringraziare Alessandro di tutti gli aiuti economici ricevuti aveva deciso, osteggiato però da alcuni figli forse invidiosi, di destinare una parte dei beni immobili acquisiti grazie ad Alessandro come dote religiosa per sostenere il nipote negli studi in seminario. Nel 1711 Giovan Battista, molto anziano e prossimo a morire, per tacitare varie contestazioni che non accennavano ad acquietarsi da parte di alcuni figli si vide costretto a ribadire con un rogito che tutti gli immobili in suo possesso a Zogno e la dote religiosa concessa al nipote Bernardo Giuseppe erano frutto solo dei guadagni di Alessandro e che pertanto decideva con piena consapevolezza in quel preciso momento di donare all’indietro allo stesso Alessandro quasi tutti quegli immobili dichiarandolo definitivamente emancipato da sé e che infine tutti i fratelli di Alessandro avrebbero dovuto accettare e rispettare per sempre, senza eccezioni e senza remore, queste sue ultime volontà. Da notare per inciso in modo assolutamente fuori dal comune, ma in ogni caso secondo le leggi in vigore, che Alessandro veniva emancipato definitivamente dal padre all’età non proprio giovanile di circa 50 anni!
Per completare questa trattazione sul lavoro minorile antico bisognerebbe ricordare infine che secondo una radicata tradizione orale risultano esempi di bambini ingaggiati come pastorelli in alta valle oppure impiegati in alcune miniere per recuperare il minerale ferroso grazie al loro corpo esile che poteva infilarsi nelle viscere della terra anche nei cunicoli più stretti. Di questi esempi però al momento non sono stati trovati documenti archivistici formali e comprovanti. Ma ciò potrebbe dipendere da una indagine ancora incompleta degli atti notarili dei notai dell’alta Valle Brembana.
Al termine di questa ricerca sono inevitabili alcune osservazioni. Da quanto è stato illustrato sin qui non si può non sottolineare il carattere forte e fiero dimostrato da questi bambini che hanno dovuto e saputo affrontare in tempi assai prematuri le dure fatiche della vita in un contesto lontano dall’ambiente famigliare. Forse qualche lettore penserà che questi bambini vivevano già in un contesto sociale mediamente più difficile, severo, castigato e povero di quegli affetti che rafforzano una personalità in formazione e che dunque essi erano più predisposti a sopportare le difficoltà. Ciò in parte è vero tanto che non sarebbe corretto fare un confronto con i bambini di pari età dell’epoca moderna poiché questi ultimi, mediamente parlando, grazie ad un tenore di vita migliore e a un grado di istruzione maggiore sono andati soggetti ad una evoluzione fisica e psicologica che li ha cambiati antropologicamente e che li ha resi più sensibili ma più fragili vale a dire non tanto adatti ad affrontare prove alquanto severe in età poco più che infantile. Rimane comunque il fatto che le esperienze di apprendistato a livello quasi infantile nel complesso non erano molto frequenti nemmeno nei secoli passati e quindi i bambini che abbiamo conosciuto in questi esempi hanno dovuto impegnarsi fisicamente e soffrire psicologicamente in misura assai superiore alla media dei loro tempi dimostrando di avere quel “quid” in più che ha permesso loro di superare grandissimi ostacoli combattendo e resistendo come giovani leoni che lottano per la sopravvivenza. Tra questi esempi merita senza dubbio una sottolineatura particolare quello di Rada, la bambina croata orfana, deportata dopo una razzia come schiava a Venezia e assunta da Bertulino Vitali di Endenna nel suo negozio di stoffe nel 1473 in quanto si è di fronte a un contesto sociale e psicologico di partenza di gran lunga il più difficile e sfavorevole di tutti, di certo il più drammatico. Questa vicenda non può non richiamare alla nostra mente i tanti bambini Ucraini deportati da parte della Russia nella nota e recente guerra e le gravi conseguenze psicologiche cui essi andranno incontro nella loro fase di crescita e sviluppo, per le osservazioni poco sopra riportate, e nello stesso tempo condurci all’amara riflessione che, nonostante siano passati molti secoli da allora, l’animo e l’avidità economica degli adulti purtroppo non sono ne migliorati ne cambiati per nulla. Per inciso è anche interessante osservare che la vicenda di Rada trova una conferma ed una notevole corrispondenza, quasi speculare, con un’altra scoperta archivistica importante, resa pubblica nel marzo del 2023 dal professore e ricercatore storico Carlo Vecce, secondo cui la madre del genio rinascimentale Leonardo da Vinci risulta essere una giovane ragazza originaria dell’antica località di Tana, una delle colonie veneziane più lontane oggi corrispondente alla città russa di Azov presso la foce del fiume Don sul Mar Nero. In seguito a uno scontro armato tra le milizie venete e le popolazioni locali avvenuto poco prima del 1450 la futura madre di Leonardo, dal nome italianizzato di Caterina, fu deportata come schiava da Tana e con un viaggio rocambolesco, attraverso vari e intermedi approdi sul Mar Nero, fu condotta prima a Costantinopoli e poi a Venezia per giungere infine a Firenze, sempre come schiava, dove ebbe modo di unirsi in un rapporto amoroso solo naturale, cioè all’epoca illegittimo, con il padre di Leonardo.

BIBLIOGRAFIA

1- Pesenti Giuseppe : Contratti di apprendista precario del XVIII secolo, Quaderni Brembani n. 11, 2013, pag. 37 e ss.

2- Archivio di Stato di Bergamo ( = ASBG). Fondo Notarile ( = FN). Mussinoni Baldassarre fu Antoniolo di Zogno, cartella ( = c.) 375, vol. 1457-1462, atto 02/11/1461 f. 232r.

3- ASBG. FN. Maffeis Antonio fu Simone di Zogno, c. 647, vol. 1490-1491, atto 11/08/1490 f. 145r.

4- ASBG. FN. Sonzogni Alessandrino fu Teutaldo di Zogno, c. 399, vol. 1485, atto 29/08/1485 f. 399v; c. 397, vol. 1453-1461, atto 28/04/1458 f. 331r. Vitali Prodomo fu Zambone di Endenna, c. 347, vol. 1460-1465, atti 07/10/1461, 09/11/1464, 11/11/1464; c. 348, vol. 1471-1474, atto 25/10/1472 f. 139r.

5- ASBG. FN. Pellegrini Giovan Battista fu Paolo di Zogno, c. 3254, vol. di fogli sciolti, atto 22/01/1571.

6- ASBG. FN. Franzoni Bonaventura fu Bernardino di Zogno, c. 6015, atti 15/03/1710, 21/10/1711.