Saggi Storici
Quaderni Brembani
Edizioni Centro Storico Culturale Valle Brembana, Corponove, Bergamo
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Origini e sviluppi della Cementeria Mazzoleni di San Giovanni Bianco (n. 7, 2009)
Numerosi abitanti di S. Giovanni Bianco, non più giovanissimi, ricorderanno abbastanza bene la chiusura della cementeria in oggetto avvenuta alla metà degli anni ’80 del secolo scorso per motivi di ricerca di nuove opportunità economiche da parte della proprietà ma anche per il manifestarsi dei primi segnali di una nuova sensibilità verso l’ambiente da parte della società civile. Già qualche anno prima infatti a S. Giovanni Bianco vi erano state alcune manifestazioni popolari, sofferte ma convinte, contro l’inquinamento fisico e gassoso causato dalle polveri residuali di ricaduta derivanti dalla cottura e dalla lavorazione dei prodotti di questa ditta. Terminava così l’attività di un’impresa che durava da cinquant’anni e che è stata una parte significativa della vita economica di quel paese non solo durante il suo lungo esercizio ma anche durante il periodo antecedente, non breve, che portò alla sua nascita in modo un po’ rocambolesco e quasi incredibile grazie ad una lunga serie di antefatti storici.
Come si può notare anche oggi dagli edifici abbandonati la cementeria aveva sede lungo la riva orografica sinistra del torrente Enna in corrispondenza di un’ansa che puntava prima verso nord e poi verso sud in un punto in cui la riva, pur essendo ripida, non era troppo scoscesa a differenza dei tratti a monte e a valle di quel punto, circa 600 metri prima che il torrente Enna sfoci nel fiume Brembo. La località dunque non era molto lontana dal centro storico del paese ed era indicata a volte col nome di S. Carlo per la presenza nelle vicinanze di un oratorio, ora scomparso, dedicato a S. Carlo Borromeo e di cui oggi rimane solo il ricordo nel nome della via. Quella ubicazione non era casuale ma imposta dalla morfologia del terreno e dalle caratteristiche del torrente Enna. Poco a monte di quel luogo infatti il torrente Enna presenta una serie di piccole ma numerose rapide che nello spazio di 300 metri circa danno origine ad un dislivello di una quindicina di metri, un salto che abbinato alla portata d’acqua è sfruttabile per produrre una forza idraulica importante.
Non a caso già nelle mappe catastali napoleoniche di S. Giovanni Bianco, che risalgono al 1814, in quel luogo è indicato un “molino da grano con torchio d’olio ad acqua con casa” [1]. Nei libri catastali napoleonici, detti in gergo “sommarioni” perchè molto incompleti, l’edificio non appare censito per cui non è stato possibile risalire al proprietario di quell’epoca. Da altri documenti coevi si ricava tuttavia che il mulino esisteva “a memoria d’uomo da sempre” e poiché tale espressione in genere si attribuisce nel passato a cose o a fatti vissuti da chi si ricorda da almeno 3 o 4 generazioni è ragionevole supporre che esso esistesse con certezza già nei primi anni del 1700 [2].
Al momento dell’impianto del catasto austriaco, nel 1853, questo edificio con le stesse caratteristiche e i vasti prati adiacenti, compresi tra le acque del torrente Enna e l’antica mulattiera che collegava il centro di S. Giovanni con la contrada Roncaglia, appartenevano a Canali Giovan Battista fu Battista, un magistrato nativo di Almenno S. Salvatore ma trasferitosi a S. Giovanni, e alla bambina Caterina Alessandri fu Prospero figlia anche di Petronilla Milesi, vedova, che Giovan Battista aveva sposato adottandone per l’appunto la figlia. La bambina risultava comunque sotto la tutela anche del signor Luigi Volpi [3]. Grazie ad acquisti propri ed alla eredità Alessandri il Canali risultava proprietario di numerosissime case e terreni nel comune di S. Giovanni e nelle contrade vicine per quasi 2000 pertiche (si ricordi che una pertica bergamasca equivale a circa 650 metri quadrati). Possedeva varie case e negozi anche nel centro storico di S. Giovanni. Ad esempio due di queste case nell’antica piazza Boselli furono quasi completamente abbattute quando fu costruita nel 1882 la nuova strada provinciale che passava sul ponte sopra l’Enna ancora oggi utilizzato [4]. Per quanto riguarda il mulino ovviamente il Canali non lo gestiva direttamente ma lo affittava a mugnai del luogo con contratti della durata in genere di nove anni.
Alla morte abbastanza prematura di Giovan Battista avvenuta nel 1864, l’ingente patrimonio passò ai suoi 12 figli, nati anche da un secondo matrimonio, e ben presto come era ovvio questo patrimonio cominciò ad essere suddiviso non senza liti. In particolare il mulino in esame toccò a Giovanni mentre i vasti prati adiacenti a Martino. Il 3 luglio 1881 [5] Giovanni Canali vendette il mulino per esigenze di denaro al commerciante Giovanni Milesi fu Domenico di S. Giovanni Bianco ma poco dopo Martino Canali, intuendo l’importanza di quell’edificio, lo riacquisì riscattandolo e riunendo in parte le antiche proprietà del padre. Negli anni successivi tuttavia Martino essendo più interessato a gestire un importante negozio di alimentari, di pasticceria e di trattoria nel centro del paese, si fece convincere a vendere al prezzo di 4.000 lire il mulino e i terreni adiacenti alla ditta Canova-Bertani che aveva lo scopo di produrre il “bianco di zinco secondo il metodo Bertani”. Ciò avvenne l’11 gennaio 1897 [6]. Nell’atto di acquisto si rileva che i proprietari della ditta erano due soci di cui il primo era il sacerdote Canova don Luigi, originario di Castione della Presolana ma residente a Cornalba, mentre il secondo era Bertani Francesco dottore chimico originario di Milano ma residente da qualche tempo alla frazione Brembilla di S. Giovanni Bianco. Nell’atto di acquisto si sottolineava in modo particolare l’acquisizione non solo dell’immobile in parola ma anche dei diritti di derivazione dell’acqua dal torrente Enna e della possibilità della loro estensione nello spazio e nel tempo. Si deve ricordare per inciso che il “bianco di zinco” è uno dei tanti sali di zinco costituito da una polvere biancastra solubile che si usa in agricoltura, in medicina come antisettico, in tintoria nella stampa dei tessuti e come sbiancante del legno, della carta e degli stracci. Si ricava attraverso complessi processi di “arrostimento” di minerali anche non molto ricchi di zinco e la sua importanza sta non tanto nell’uso abbondante quanto nell’uso limitato e mirato come componente chimico che favorisce numerose altre reazioni chimiche. (foto 1 + foto 2)
La ditta Canova-Bertani che si era costituita per soli 10 anni era tuttavia la testa di ponte o il prestanome, per così dire, di una ditta ben più importante la “Società Elettrica e Metallurgica Lombarda S.A.S. (in accomandita semplice)” di Milano amministrata dall’avvocato Carlo Cesaretti di Cesana Brianza [7] la quale si sostituì definitivamente alla Canova-Bertani il 29 gennaio 1900 dopo un precedente passaggio attraverso una ditta intermediaria amministrata dall’ingegnere Alessandro Donetti di Torino. Nei primi due anni di vita comunque la ditta Canova-Bertani, che impiegava una ventina di dipendenti, aveva ampliato l’antico mulino ed aggiunto ad esso un gruppo di altri 4 poderosi capannoni disposti su più piani a scacchiera che occupavano l’intero spazio compreso tra le acque dell’Enna e la strada comunale che conduceva da S. Giovanni Bianco alla contrada Roncaglia come si può osservare anche nella rettifica alla mappa catastale austriaca effettuata nel 1899 [8].
Alla costruzione di questi grandiosi capannoni contribuì l’importante segheria di Domenico Morali che fornì il legname per tutte le armature necessarie. Questa segheria, di cui si vedono anche oggi alcuni resti, era situata nell’attuale via Gavazzeni presso l’oratorio parrocchiale ed era azionata da un canale di acqua che traeva le sue origini dalla valletta che scende dal monte Sornadello presso la contrada Brembilla. Fatto abbastanza importante da sottolineare è che nell’anno 1900 Domenico Morali fece installare e rese operativa, per potenziare la propria attività, una turbina idraulica di tipo Francis della potenza di 40 cavalli dalla storica società Riva di Milano, l’industria che in pochi anni successivi fornì le turbine idrauliche a tutte le centrali idroelettriche sorte in Valle Brembana [9]. Egli utilizzava questa turbina per far muovere le lame delle sue seghe circolari per tagliare i tronchi d’albero e non per produrre energia elettrica dimostrandosi così un pioniere in valle in questo settore industriale. Se si pensa infatti che nell’anno 1900 la tecnologia delle turbine idrauliche era nata da meno di 20 anni bisogna concludere che Domenico Morali avesse un grado di cultura tecnico-scientifica ben superiore alla media per i tempi. Non a caso divenne anche sindaco di S. Giovanni Bianco tra il 1921 e il 1922. Si deve concludere pertanto di essere di fronte ad un personaggio storico che meriterebbe un approfondimento specifico. (foto 3)
Ritornando al nostro tema si deve precisare che la “Società Elettrica e Metallurgica Lombarda” aveva come scopo sociale non solo quello di produrre il “bianco di zinco” ma anche quello di costruire “officine elettriche”. La cosa insospettì molto la “Società Anonima del Gas di Lecco” che aveva iniziato da poco a costruire una centrale idroelettrica nella vicina contrada di Roncaglia. Pertanto quest’ultima società, la futura Orobia, si diede da fare per acquisire, con un’offerta in denaro irrinunciabile, l’intero complesso di capannoni e soprattutto i diritti di derivazione dell’acqua dell’Enna. Cosa che essa riuscì ad ottenere il 18 maggio 1903 permettendo tuttavia che la “Lombarda” continuasse a produrre il “bianco di zinco”. Ma agli inizi del 1907, con la prima scadenza decennale delle concessioni dell’originaria ditta Canova-Bertani, la “Società del Gas di Lecco” divenuta nel frattempo Orobia divenne proprietaria a pieno titolo di tutti gli impianti della “Lombarda” e incominciò a riutilizzare i cinque capannoni rispettivamente come casa di abitazione di un guardiano, come grande ufficio, come magazzino, come cabina elettrica di trasformazione e l’ultimo, quello più in alto, come piccola fabbrica di calce con lo scopo di fare manutenzione alle numerose strutture murarie legate alla gestione delle centrali idroelettriche, delle prese d’acqua e dei canali [10]. In questo acquisto vi era anche l’intenzione di costruire in quel luogo una quarta centrale idroelettrica con una potenza stimata in circa 700 cavalli (400 chilowatts odierni), dunque inferiore a quelle già esistenti lungo la valle Taleggio. (foto 4)
L’evoluzione del mercato dell’energia elettrica e lo scoppio della prima guerra mondiale non resero però conveniente negli anni successivi la realizzazione del progetto dell’Orobia per cui tutto rimase immutato sino alla fine degli anni ’20 allorché entrò in campo un giovane e intraprendente avvocato, fresco di laurea: Mazzoleni Marino fu Giovanni. Nato a Bedulita in Valle Imagna il 23 ottobre 1907 e trasferitosi presto a Ponte Giurino, in comune di Berbenno, egli aveva avuto modo di studiare e valutare le cave di calcare che esistevano sia a Ponte Giurino che nella vicina Strozza e che rifornivano l’importante cementeria Radici-Previtali di Villa d’Almè. Venuto a conoscenza delle indecisioni della società Orobia circa la destinazione dei suoi immobili presso S. Giovanni Bianco e soprattutto delle concessioni sia della derivazione dell’acqua dell’Enna sia della produzione di calce, anche se in misura limitata, contattò l’Orobia per rilevare l’intero complesso di edifici. Furono trattative assai lunghe poiché il Mazzoleni intendeva ristrutturare completamente quei capannoni e destinarli ad un uso del tutto diverso e più complesso rispetto a prima. Ciò costrinse il Mazzoleni ad acquisire quegli immobili in vari tempi, legati anche alla concessione dell’escavazione del materiale calcareo dapprima da una cava posta in territorio di S. Pietro d’Orzio e un poco più tardi da un’altra situata nella contrada Lisso di Sedrina, abbandonata da poco tempo dal Gruppo Italcementi per altri obiettivi. Pertanto tutti gli adempimenti amministrativi furono completati solo il primo marzo 1935 come appare nelle registrazioni ufficiali del Catasto Urbano della provincia di Bergamo [11] mentre gli impianti produttivi entrarono in funzione agli inizi del 1937. Tra le nuove opere edili realizzate la più impegnativa fu la presa d’acqua sul torrente Enna e il relativo canale di derivazione circa 250 metri a monte del luogo più volte citato per produrre energia elettrica in grado di far muovere i complessi macchinari tra cui i frantoi per la macinazione del calcare. Notevole fu anche un grande forno cilindrico di cemento che dalle rive dell’Enna si innalzava sino quasi al livello della strada provinciale per la Valle Taleggio. (foto 5)
La Cementeria Mazzoleni partì subito abbastanza bene ma lo scoppio della seconda guerra mondiale segnò un periodo di crisi che si risolse solo alla fine degli anni ’40 del secolo scorso allorquando le distruzioni della guerra innescarono un reattivo e deciso processo di ricostruzione del patrimonio edilizio dell’intera nazione. Il Mazzoleni riuscì ad inserirsi con successo in una nicchia di mercato edile privato a livello provinciale lasciato libero dall’onnipresente Gruppo Italcementi. Nel 1951 questa cementeria era ancora a nome singolo intestata ovviamente a Marino Mazzoleni, con lo scopo sociale di “Estrazione e Lavorazione di pietre calcaree” e con sede amministrativa a Milano in via Losanna 16 [12]. Nel 1955 per far fronte alla crescente domanda di calce e cemento venne sopraelevata la presa d’acqua sull’Enna, fu ampliato il canale per potenziare la centrale idroelettrica interna allo stabilimento per azionare nuovi macchinari elettrici ed aggiunto un altro forno con altri edifici industriali ad esso funzionali. Nel 1961 la relazione di un ispettore della Camera di Commercio, Industria e Artiginato di Bergamo ci fa sapere che “Questa società produce 3000 quintali al giorno di calce e cemento, occupa 100 dipendenti e l’andamento della ditta è soddisfacente in quanto gli impianti sono moderni ed efficienti. La proprietà è puntuale nei pagamenti e nel rispettare gli impegni verso i clienti. Inoltre il suo mercato è molto attivo e in fase di crescita”. Nel 1962 questa impresa diventa una società a nome collettivo di tipo in Accomandita Semplice (S.A.S.) con lo scopo di “Produrre calce, cemento, gessi, leganti idraulici ed affini”. Gli affari vanno talmente bene che il primo gennaio 1969 essa diventa per la prima volta una società per azioni con ragione sociale “Cementeria Mazzoleni S.p.A.” e con capitale interamente versato di 100.000.000 di lire. Ciò permette al Mazzoleni di trasformare un grande deposito, che aveva fatto costruire poco tempo prima a Paladina, in un secondo stabilimento produttivo. Questo deposito era stato concepito con lo scopo di lavorare altra “marna”, così era chiamato tecnicamente il materiale calcareo, proveniente non solo dalla contrada Lisso di Sedrina ma anche da altri luoghi bergamaschi come le colline attorno a Nese in Valle Seriana. Anche l’autore di questo scritto ha visto di persona molte volte in quegli anni la discreta carovana di “camions” che trasportavano lungo la carrozzabile della Valle Brembana la materia prima dal Lisso sia verso S. Giovanni che verso Paladina. Si deve precisare a dire il vero che lo stabilimento di Paladina aveva anche la funzione di completare e rifinire il trattamento di alcuni prodotti semilavorati provenienti dalla cementeria di S. Giovanni. Come conseguenza di questi ampliamenti, a cavallo tra gli anni ’60 e ’70, si rese necessario aprire altri due depositi di semilavorati e di prodotti finiti a Villa d’Almè e ad Osio Sopra. (foto 6)
Sino alla fine degli anni ’70 questa impresa conobbe un continuo sviluppo nonostante le contestazioni popolari per motivi ambientali citate all’inizio, contestazioni in parte accolte dalla proprietà con l’applicazione di opportuni filtri ai forni ed alle ciminiere, sicchè nel 1975 il suo capitale sociale venne aumentato a 500.000.000 di lire mentre la produzione diventò più che doppia e i dipendenti superarono il numero di 150 di cui poco più di 100 a S. Giovanni Bianco, 50 a Paladina ed una decina complessivamente nei depositi di Villa d’Almè e Osio Sopra. Alla fine degli anni ’70 il capitale sociale versato fu aumentato a 1.100.000.000 di lire ma nei primi anni ’80 incominciarono a manifestarsi i primi segni di crisi per le mutate esigenze del mercato in una fase di contrazione e per essersi manifestate nel frattempo contestazioni di natura ambientale, sempre sofferte ma convinte, anche contro lo stabilimento di Paladina essendo aumentata nel frattempo la sensibilità sociale verso l’ambiente. Come conseguenza il capitale versato fu diminuito un paio di volte sia pure in modo contenuto per compensare le perdite. Nel 1984 circa la Cementeria Mazzoleni cominciò ad entrare nell’influenza del gruppo cementizio Merone dell’omonimo paese in Brianza che, sia per la sensibile anzianità del Mazzoleni sia per i problemi di natura ambientale, in accordo con la proprietà decise progressivamente di abbandonare lo stabilimento di S. Giovanni Bianco e di tenere ancora aperto quello di Paladina. Alla morte del Mazzoleni, avvenuta il 2 dicembre 1993, il gruppo Merone divenne totalmente proprietario dell’originaria cementeria Mazzoleni costituita ormai solo dall’unità produttiva di Paladina, con attività limitata, e dai depositi di Villa d’Almè e Osio Sopra ma con capitale sociale comunque rilevante per i tempi di 1.800.000.000 di lire [13]. Tuttavia il gruppo di Merone di rilevanza sovra regionale e quasi nazionale, trasformatosi nel frattempo nella multinazionale “Holcim Cementi S.p.A.”, per motivi di strategia economica di gruppo decise di chiudere definitivamente anche questo stabilimento e i depositi annessi nel 1998 ponendo così fine, in modo un pò inglorioso, ad una lunga ed onorata attività imprenditoriale.
BIBLIOGRAFIA
1) Archivio di Stato di Bergamo ( = A.S.BG.) : Mappe Catastali napoleoniche, S. Giovanni Bianco, 1814.
2) Il fatto che in alcuni documenti di quell’epoca questo mulino è detto anche di S. Carlo, per la presenza nelle vicinanze di un oratorio ora scomparso dedicato a questo santo, permette di sospettare un’origine ancora più antica. In realtà questo mulino potrebbe essere appartenuto ad uno dei rami dell’antichissima famiglia Zignoni che abitava nella vicina contrada di Roncaglia Fuori e risalire quindi anche agli inizi del 1500. In mancanza di documenti certi tuttavia al momento il condizionale è d’obbligo.
3) A.S.BG. : Mappe Catastali del Lombardo – Veneto, mappa di S. Giovanni Bianco rettificata nel 1845, mappale n. 158; Catasto e Rubrica di S. Giovanni Bianco.
4) A.S.BG. : Fondo Notarile, notaio Francesco Zanchi fu Andrea di Zogno, atto del 9/5/1882.
5) A.S.BG. : Fondo Notarile, notaio Cesare Baronchelli fu Andrea di Zogno, atto del 3/7/1881.
6) Archivio Notarile Distrettuale di Bergamo : notaio Aurelio Bonandrini fu Bernardino di Verdello, atto dell’ 11/1/1897.
7) Archivio Notarile Distrettuale di Milano : notaio Pietro Bolgiani di Melzo, atto del 29/01/1900.
8) A.S.BG. : Mappe Catastali del Lombardo – Veneto, mappa di S. Giovanni Bianco rettificata nel 1845; vedi “Allegato di Lustrazione” del 1899.
9) Guido Ucelli: La Riva in Cento anni di Lavoro, 1861 – 1961; Milano 1961; (vedi anno contabile 1900). Questa turbina era azionata da un bacino di raccolta in grado di scaricare circa 600 litri di acqua al secondo con un salto di 6,5 metri. Lo scopo sociale di questa azienda era “Il taglio, la piallatura e il trattamento del legno”. Qualche anno più tardi sotto la guida di uno dei figli di Domenico, Dante, questa azienda diventerà anche una torneria.
10) A.S.BG. : Primo Catasto Italiano, Registro delle partite di S. Giovanni Bianco, Volume terzo, anni 1903 – 1960; partite n. 227, 250, 259.
Archivio Notarile Distrettuale di Milano : notaio Federico Guasti, atto del 24/12/1906.
11) A.S.BG. : Primo Catasto Italiano, Registro delle partite di S. Giovanni Bianco, Volume terzo, anni 1903 – 1960; partita n. 319.
12) Archivio Storico della Camera di Commercio, Industria e Artigianato di Bergamo presso la Fondazione Legler di Brembate Sopra; Registro delle Imprese, fascicolo n. 65578.
13) Archivio Storico della Camera di Commercio, Industria e Artigianato di Bergamo presso la stessa Camera in Bergamo; Registro delle Imprese, fascicolo n. 116082.