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Edizioni don Giulio Gabanelli, stampa Carminati Stampatore, Almè - Zogno

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C'era una volta la pretura

(n.3, giugno 1990)

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La sede del vicariato della valle Brembana Inferiore, fin dalle origini, fu nella casa che si trova sulla sinistra di chi sale alla Chiesa Parrocchiale dallo scalone centrale. Anticamente però questa casa era assai più piccola e meno alta di ora, come si mostrerà tra poco. Durante la dominazione veneta si ha notizia di un apprezzabile ingrandimento delle sue dimensioni originarie attorno al 1670 (1) allorchè vennero aggiunte una cella carceraria e due comode stanze per ospitare un presidio militare di 7-8 soldati alle dipendenze dirette del vicario. Questo presidio in teoria aveva lo scopo di conservare l'ordine pubblico, nella pratica ebbe solo una funzione coreografica. Da documenti inediti risalenti all'inizio del governo austriaco (2) si rileva la struttura di questa casa così come fu lasciata al termine della Repubblica Veneta.  La parte di edificio interessata si estendeva tra i margini della piazza Garibaldi e quel settore di caseggiato, escluso, che oggi ospita il museo di S. Lorenzo. Il complesso delle stanze si estendeva su due piani di cui uno era il pianterreno a livello però dell'attuale piazzetta del Ghet (via Umberto I) e non della piazza Garibaldi, l'altro era il piano superiore, l'unico piano sopraelevato a quel tempo.
A pianterreno vi era l'aula delle riunioni, la più ampia, posta verso la piazza Garibaldi ma ben alta sopra di essa; due celle carcerarie seminterrate; una cucina che serviva i carcerati, il custode delle carceri e i soldati; una saletta dove stazionava di giorno il custode e due atrii di ingresso contigui ma ben distinti: uno per le carceri, l'altro per i locali della "Giudicatura di Pace" (così fu chiamata negli ultimi anni del periodo veneto e nei primi anni del governo francese l'attività di giudice del vicario e del pretore rispettivamente). L'ingresso all'edificio era sul lato orientale cioè verso lo scalone che sale alla Chiesa (3).
Al piano superiore vi erano altri tre locali ad uso di uffici per la pretura; una cella carceraria e due stanze da letto di cui una per il custode delle carceri, l'altra  per i soldati del presidio. Infine un'ulteriore stanza, divisa a metà, serviva come deposito di armi e come archivio per i documenti della pretura: una sorta di duplice ripostiglio. Al piano superiore si accedeva per mezzo di due rampe di scale separate: una per la zona carceraria-militare, l'altra per gli uffici della pretura. Nel periodo cui ci si riferisce, 1818 circa, i locali del piano superiore non erano praticamente utilizzati poiché la pretura non era ancora organizzata in modo completo e poichè il presidio militare austriaco, o gendarmeria, composto da circa 20 soldati, aveva scelto da poco di trasferirsi nella casa privata che dà sulla piazza attuale del municipio, piazza Bortolo Belotti, per rimanervi per tutto il periodo austriaco.   
La disponibilità dei locali che erano stati un tempo i dormitori di pochi soldati e l'abitazione del vicario veneto non bastava tuttavia a coprire le esigenze di una pretura moderna, relativamente ai tempi. Gli esperti del governo austriaco infatti erano giunti alla conclusione che il pretore doveva abitare al di fuori del palazzo della pretura, che servivano sei camere carcerarie e non tre, che oltre all'aula dei dibattiti processuali erano indispensabili un ufficio apposito per il pretore, uno per il cancelliere, una stanza spaziosa per conservare i documenti e una particolare sala per trattare i casi di disobbedienza e contestazione politica.
Prima di quest'epoca infatti la ribellione pubblica, di qualsiasi tipo, all'autorità costituita veniva percepita come un oltraggio fisico alla persona che rappresentava lo stato, per esempio il Doge, e punita con la morte come un qualsiasi reato grave di delinquenza comune.  Agli inizi del XIX secolo tale visione mutò. Per questo reato si previde la condanna al carcere per tempi più o meno lunghi e solo se l'indiziato aveva istigato qualcuno a disobbedire o si era associato con altre persone per ribellarsi con le armi all'autorità era prevista la condanna a morte.
Tenendo conto anche dell'esigenza di dare un alloggio decente non solo al custode delle carceri ma anche alla sua famiglia, l'insieme dei locali necessari per avere un centro di gestione della giustizia adeguato ai tempi fu presentato pubblicamente agli inizi del 1819 quando fu bandita la prima gara d'appalto per i lavori di rifacimento della ex sede del vicariato.
Il progetto, ideato dall'ingegnere Giuseppe Manzini, contemplava la ristrutturazione completa del pianterreno e del primo piano e la costruzione di un secondo piano sopraelevato per una spesa massima di 6500 lire austriache comprendenti anche il rimborso di eventuali danni arrecati a privati. Al termine della ristrutturazione, sostenuta per intero dalle casse pubbliche, le spese di manutenzione successiva sarebbero state divise a metà tra lo stato e i 14 comuni componenti il distretto in quanto essi continuavano a rimanere i soli proprietari dell'edificio.
Quando il sig. Francesco Licini, proprietario della casa sede dell'attuale museo di S. Lorenzo, conobbe i particolari del progetto temendo che due finestre del suo piano più alto, il secondo, sarebbero state otturate dalla nuova costruzione avanzò proposte alternative che colsero un pò in contropiede le autorità di Bergamo. Egli infatti, intendendo ampliare la propria casa già da tempo, propose di cedere allo stato il pianterreno e il primo piano della propria abitazione, in modo che la pretura potesse disporre di nuovi locali rimanendo su due piani. In cambio egli avrebbe acquisito per sè il piano sopraelevato di prossima fattura che, risultando contiguo al secondo piano già di sua proprietà, gli avrebbe permesso di avere un ampio appartamento su un solo livello. Questa proposta fu tradotta in un disegno formato dal capomastro Damiani di Zogno nel settembre 1819 e presentato alle autorità di Bergamo (2).
Si discusse molto in città di questa iniziativa che pareva interessante. Tuttavia poichè non era desiderio del Governo e dei comuni componenti il distretto acquistare altri immobili per risolvere questo problema e poichè i piani della ex sede del vicariato veneto e della casa Licini non erano allo stesso livello ma erano sfalsati di un metro o poco più, il che significava maggiori difficoltà e maggiori costi di ristrutturazione, alla fine la proposta decadde. Per qualche tempo si pensò di acquisire l'orto del sig. Licini che occupava tutto lo spazio dell'attuale piazzetta del Ghet (4) per estendere la pretura in orizzontale anzichè in verticale e per il fatto che in quell'orto vi era una sorgente-fontana di "abbondante acqua perenne da tutti riconosciuta ottima" che sarebbe stata di grande utilità per i servizi igienici. Ma anche questa idea sfumò. Nel momento di massimo ripensamento un tecnico suggerì di acquistare una spaziosa casa a due piani isolata, posta poco lontano, di un certo Giovanni Maria Milesi di S. Giovanni Bianco, morto nel frattempo improvvisamente. Non fu però possibile accordarsi con la figlia del Milesi, unica erede.
Dopo un anno di riflessioni alla fine si decise di rispettare il progetto originario. Si bandirono altre gare d'appalto nell'estate del 1820 finchè si presentò l'impresario Giovanni Riva che il 27 febbraio 1821 firmò il contratto con il vice delegato (vice Presidente) della provincia di Bergamo per la ristrutturazione della casa pretorile al prezzo di lire 5.540,60. Al sig. Licini fu riconosciuto un compenso di 1.000 lire per i seguenti motivi: la chiusura delle due finestre del suo secondo piano; il maggior rischio che qualche malvivente entrasse in casa sua dal terrazzo sfruttando il nuovo e più alto tetto della pretura e infine il fatto che il suo orto d'estate, a causa del nuovo piano sopraelevato, riceveva il sole per cinque ore di meno al giorno!
I lavori iniziarono nel maggio 1821 e terminarono alla fine del 1823. Durante la loro esecuzione l'attività della pretura fu svolta in due stanze prese in affitto a lire 175 annue in una casa vicina dei coniugi Guglielmo Pozzi e Giovanna Baluffaldi. La nuova pretura fu inaugurata il 5 febbraio 1824 (2) e si componeva dei seguenti locali. L'ingresso era dalla piazza Garibaldi e metteva in un vasto atrio (l'attuale negozio di elettrodomestici del sig. Pesenti) dove vi era una scala che portava al primo piano (pianterreno rispetto alla piazzetta del Ghet). Qui vi erano: l'aula dei dibattiti processuali con affreschi alle pareti e con un camino avente "la soglia in vivo e gli stipiti di marmo"; due celle carcerarie; un'ampia cucina con un camino "tutto di pietra viva"; la guardina del custode e i servizi igienici. Per le carceri vi era un accesso anche verso lo scalone della chiesa. Al secondo piano (primo rispetto alla piazzetta del Ghet) vi era l'ufficio del cancelliere con pareti affrescate e un camino con "la soglia in vivo e gli stipiti di marmo bianco"; un vasto archivio dotato pure di un camino con "contorni di marmo"; un ripostiglio per gli oggetti di cancelleria; due celle carcerarie; un corridoio di accesso alle carceri; una camera da letto per il custode e i servizi igienici. Al terzo piano (secondo rispetto alla piazzetta del Ghet) vi era l'ampio ufficio del pretore con pareti affrescate "su sfondo colore celeste chiaro con camino di marmo bianco in mezzo a due laterali finestre volte sulla piazza"; un grande atrio pure dotato di camino con "soglia in vivo e stipiti di marmo"; un'ampia sala per i dibattiti ad uso del "Congresso Criminale Politico" con un camino aventi le caratteristiche precedenti; due celle carcerarie; un corridoio; una stanza ad uso del custode e i servizi igienici.
Tutti i mobili (tavoli, armadi, scaffali e sedie) erano stati fabbricati in noce dal falegname Giovanni Lazzaroni di Zogno mentre alcuni tappeti e i tendaggi furono procurati dal tappezziere Giuseppe Risi pure di Zogno. In seguito per vari anni sia il Lazzaroni che il Risi continuarono a curare la manutenzione e il ripristino di mobili e addobbi. Non molto tempo dopo all'ingresso dei locali della pretura fu appesa una grande tavola (m. 1,50 x 1,50) di "larice ben stagionata" su cui il pittore Luigi Invernizzi, di origini incerte (forse di Zogno o forse di Stabello), aveva dipinto uno stemma imperiale al prezzo di 82 lire secondo i seguenti accordi contrattuali:  "... lo stemma sudetto consisterà nell'Aquila Imperiale collo scudo in petto portante in colori, dall'Imp. Regio Governo stabiliti e noti colle stampe, le insegne del Regno Lombardo-Veneto e tenente nella falange destra la bilancia e la spada allusive alla giustizia sostenuta dalla forza, nella falange sinistra il codice e lo scettro imperiale allusive al codice vigente austriaco". Una visione d'insieme del palazzo della pretura così come fu costruito in pratica ex novo dal governo austriaco si ha in un quadro dipinto nel 1851 dal pittore A. Ceroni (5).
E' giunto ora il momento di fare un paio di considerazioni. La prima riguarda il numero delle celle carcerarie che, essendo doppio rispetto ai tempi precedenti, può indurre la sensazione di un clima politico quasi truce nel periodo austriaco. In realtà le celle erano in grado di accogliere al massimo 24 persone corrispondenti a meno del due per mille della popolazione dell'intero distretto che era di circa 13.000 unità. Per confronto basti dire che i carcerati oggi in Italia superano il quattro per mille dell'intera popolazione italiana. L'altra considerazione riguarda il fatto che il sig. Francesco Licini poco dopo ottenne il permesso di "dilatare la propria abitazione" ristrutturando i piani inferiori e innalzando un altro piano: l'attuale ultimo piano del museo di S. Lorenzo. In pratica si può dire che, ad esclusione della casa parrocchiale posta in alto, il lungo caseggiato che fiancheggia lo scalone sulla sinistra di chi sale alla Chiesa ha perso già da molto tempo il suo aspetto esteriore e strutturale antico. Ciò ci permette di immaginare con più facilità che prima del 1821 quella casa parrocchiale doveva svettare assai di più sul resto del caseggiato e sul paese e sembrare proprio una delle torri di difesa inserite nelle mura che circondavano l'antico castello visconteo!
Con l'avvento del Regno Italiano la pretura continuò ad avere come sede la casa sin qui descritta, con la struttura austriaca, fino al 1908 allorquando, in occasione della nascita e dell'entrata in vigore del primo catasto italiano, fu spostata nel complesso di edifici, oggi fatiscenti, che si trovano in cima all'attuale via Roma. In questi edifici trovarono posto oltre alla pretura le carceri mandamentali e per l'appunto gli uffici relativi al catasto.
La sede della pretura austriaca, che era rimasta di proprietà dei 14 comuni componenti il distretto, fu venduta quasi subito a cittadini privati poichè le entrate dei comuni non permettevano di compensare le spese della sua manutenzione. Per questo motivo la proprietà e la gestione del nuovo palazzo pretorile fu a carico esclusivo dello stato italiano.
I proprietari privati che si succedettero dal 1908 ad oggi modificarono poi varie volte l'interno e soprattutto l'esterno dell'ultimo piano dell'ex pretura austriaca per cui l'aspetto attuale del caseggiato ha ben poco in comune anche con un passato recente. Dopo la seconda guerra mondiale la pretura di Zogno subì un ulteriore e breve trasloco nella palazzina vicina, sempre in via Roma, di recente costruzione e lì rimase fino al 24 ottobre 1989, giorno ufficiale della sua definitiva e triste scomparsa.


BIBLIOGRAFIA 
1) P. TOSINO: scritti vari pubblicati su "L'Eco di Bergamo" tra il 1935 e il 1937.
2) A.S.BG.: Imperiale Regia Delegazione Provinciale; Pubbliche Costruzioni, cartella 984.
3) Vedi anche l'antico e parziale disegno della casa in oggetto pubblicato dagli stessi autori su Zogno Notizie dell' ottobre 1988 a pag. 14.
4) Questo orto, circondato da un alto muro, conservò le sue caratteristiche antiche sino al 1970 circa, allorchè fu trasformato nella piazzetta attuale (vedi foto a pag. 23 su Zogno Notizie, aprile 1990).
5) Zogno Notizie, ottobre 1988, pag. 15.


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