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Edizioni don Giulio Gabanelli, stampa Carminati Stampatore, Almè - Zogno

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C'era una volta la pretura

(n.2, gennaio 1990)

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Con una legge entrata in vigore il 24 ottobre 1989, facente parte del più vasto progetto di riforma del codice di procedura civile e penale, è stata soppressa la Pretura a Zogno e trasferita nella sede centrale di Bergamo. E' scomparsa così bruscamente, e non senza rimpianti, una figura di giudice che svolgeva svariati e importanti servizi per tutta la valle Brembana. Vale la pena di ricordare infatti che il pretore ha la facoltà di giudicare e comporre quasi tutte le controversie a carattere civile tra cittadini privati oppure tra cittadini privati e lo stato e numerose controversie a carattere penale purchè di limitata gravità. Basterà rammentare, solo per citare gli esempi più significativi, che il pretore può concedere o ritirare, per inadempienze o illeciti, la licenza d'esercizio di varie attività commerciali e di alcuni generi sotto il diretto controllo dello stato (compravendita di sostanze petrolifere); può impedire o sospendere lo svolgimento di qualunque tipo di spettacolo ritenuto offensivo del comune senso del pudore (sequestro di pellicole cinematografiche o riviste, blocco delle emissioni di una stazione radiotelevisiva privata); può decidere a chi attribuire l'eredità di persone decedute senza eredi; può far reintegrare al loro posto di lavoro i dipendenti di un'azienda licenziati senza motivi fondatamente validi; può ordinare la sospensione immediata di un'attività industriale o artigianale che inquini l'ambiente; può infine risolvere cause sorte per ferimenti involontari e non gravi di una persona (incidenti stradali o infortuni sul lavoro).  
Da oggi in poi dunque l'obligo di recarsi a Bergamo per alcuni di questi problemi significherà per gli abitanti della valle Brembana affrontare disagi di non poco conto considerata la difficoltà di accesso agli uffici pubblici della città e l'esasperante lentezza della burocrazia italiana.
Anticamente la risoluzione dei contrasti che potevano sorgere tra le persone nella vita di ogni giorno non fu sempre mediata da un organismo neutrale, garante del rispetto delle regole del vivere civile. Nel Medioevo, quando il concetto e la presenza dello stato erano inesistenti, l'applicazione della giustizia era di fatto affidata all'interpretazione e alla maturità della singola persona. Solo la credenza in alcuni principi religiosi, gli unici elementi attorno a cui poteva aggregarsi e identificarsi una comunità, costituiva il punto di riferimento certo nelle questioni fondamentali. Per il resto ognuno si faceva giustizia da sè, se ne aveva le capacità e il coraggio. Risale proprio a questo periodo l'origine del detto, ancora oggi popolare, "occhio per occhio, dente per dente" che esprime un modo di fare giustizia non controllato e incontrollabile, sommario e immediato, che spesso e volentieri più che essere un atto di giustizia era un atto di vendetta, un gesto nato in un clima di assoluta anarchia nel contesto delle invasioni barbariche e proprio per ciò definito barbaro.
Con la nascita dei Comuni si sviluppò in modo più razionale l'esigenza di avere un insieme di norme che regolassero i rapporti sociali sotto ogni aspetto. Accadde quindi che ogni comune concedesse alla persona riconosciuta più matura, più equilibrata e più saggia, il console (una carica corrispondente a quella attuale di sindaco), la facoltà di pronunciare sentenze e proporre soluzioni per tutti i casi della vita sia pubblica che privata. Nel miglior periodo dell'età comunale i consoli o sindaci divennero due per garantire maggiori capacità di giudizio e di imparzialità e furono assecondati da alcuni collaboratori (i consiglieri) scelti dall'intera comunità. L'ambito territoriale troppo ristretto e il numero limitato di persone che componevano un comune di medie dimensioni impedirono che le regole del vivere quotidiano, diverse da un comune all'altro, venissero codificate tranne in rarissime eccezioni. Queste regole pertanto si tramandarono oralmente da una generazione all'altra.
Con l'accrescersi della ricchezza economica di alcune città della pianura Padana, tra cui al primo posto si deve annoverare Milano, si assiste a una profonda trasformazione della vita politica e sociale di quei tempi. L'originario console o sindaco, eletto dalla popolazione, diventa signore-padrone della città e riesce a trasmettere in via ereditaria il proprio potere ai figli come se si trattasse di un re.  Si assiste a un deterioramento delle istituzioni comunali fondate su una partecipata democrazia e a un restringimento delle libertà individuali. L'intera città è costretta a darsi un'organizzazione militaresca e aggressiva tendente a sottomettere al proprio controllo politico e militare i paesi vicini. Nasce il concetto di stato-regione e l'esigenza di un unico ordinamento giuridico, civile e penale, valido in un ambito territoriale alquanto vasto con la conseguente presenza, a livello locale, di un garante del rispetto delle leggi di tale stato.
Per tutto il secolo XIV la valle Brembana fu sotto la dominazione della famiglia Visconti di Milano e risalgono per l'appunto a quel secolo i primi ordinamenti scritti, o statuti, che si conoscano. La valle Brembana a quel tempo costituiva un unico distretto geografico, o vicariato, che faceva capo a un vicario (da non confondersi con l'attuale vicario religioso) il quale risiedeva a Serina, era nominato direttamente dal Visconti e non poteva essere un abitante della valle.  La funzione del vicario era innanzitutto di rappresentare localmente il duca di Milano e di coordinare a livello politico le scelte dei comuni della valle. Perciò periodicamente egli presiedeva una riunione dei sindaci di tutti i comuni (Consiglio di valle) per raccogliere le esigenze della popolazione o trasmettere importanti informazioni o ordini provenienti da Milano.  In seconda battuta esso rappresentava il giudice con la più alta autorità potendo emettere sentenze inappellabili in ogni controversia civile e penale. Egli infatti poteva giudicare anche i casi di assassinio. Aveva dunque un potere maggiore dell'attuale pretore poichè anticamente la più semplice organizzazione della società permetteva che una sola persona assumesse incarichi diversi con responsabilità diverse. Già in epoca viscontea il vicario era accompagnato, sia pure non in modo sistematico, da un notaio che aveva il compito di formalizzare le sentenze emesse o le decisioni politiche prese.
Il più antico vicario della valle Brembana che si conosca fu un certo Bernardo da Melegnano che operò tra il 1330 e il 1340 a nome del duca Azzone Visconti. La copia autentica più antica degli statuti, che si conserva nella Biblioteca dell'Università di Pavia (1), risale invece al 1364 quando a Milano spadroneggiava Bernabò Visconti. Può essere interessante passare in rassegna alcuni articoli di questi statuti per comprendere come l'applicazione della giustizia si avvalesse ancora di metodi barbarici. Trascurando gli ordinamenti commerciali e civili, più facilmente intuibili, basti dire che chi appiccava il fuoco ad una casa o a un bosco doveva essere bruciato vivo; la stessa sorte toccava a chi produceva monete false; a chi commetteva un omicidio per la prima volta veniva tagliata la mano destra; chi aveva rubato cose di valore per più di tre volte doveva essere impiccato; chi commetteva più volte piccoli furti poteva vedersi tagliato un piede se maschio, il naso se femmina; a chi giurava il falso veniva infine tagliata la lingua. Le donne non potevano fare contratti e in molti casi testimoniare senza il permesso del marito. Il marito poteva picchiare la moglie "che non si comporta con la dovuta honestà" e i figli maggiorenni "che spendono malamente le robbe del padre" senza tuttavia "rompere loro l'ossa et le braccia"! Qualora un fatto tanto increscioso fosse accaduto era compito del vicario verificare che le ossa e le braccia non erano state realmente rotte oppure che dai lividi non vi era "eccessiva effusione di sangue"!
Quando nel 1428 la Repubblica di Venezia si sostituì al Ducato di Milano gli antichi statuti della valle Brembana furono riconfermati in maniera integrale con piccole aggiunte di forma, non di sostanza. Ad esempio il vicario non solo non poteva essere un abitante della valle ma non doveva essere nemmeno bergamasco; la sua possibilità di giudicare i crimini escludeva le forme più gravi quali omicidi plurimi e violenze ai minori che incominciarono ad essere trattate a Bergamo da un organismo apposito (il Giudice del Maleficio); inoltre dall'antica sede di Serina, riconfermata, egli doveva recarsi un giorno la settimana a Zogno per accontentare le richieste di questo paese, divenute sempre più pressanti, di diventare sede vicariale per la sua accresciuta importanza e per la sua posizione centrale in valle. Questa disputa che si protraeva fin dagli ultimi anni della dominazione viscontea fu risolta brillantemente da Venezia nel 1429 allorchè la media e bassa valle fu suddivisa in due vicariati:  la Valle Brembana Superiore comprendente l'odierna valle Serina con alcuni paesi limitrofi con sede a Serina e la Valle Brembana Inferiore composta da 14 comuni con sede a Zogno. Questi ultimi oltre a Zogno erano: Poscante, Stabello, Endenna, Somendenna, Grumello de Zanchi, Spino, S.Pellegrino, Piazzo Basso, Piazzo Alto, S. Giovanni Bianco, S. Pietro d'Orzio, S. Gallo e Fuipiano al Brembo (2).  Al vicario di Zogno fu imposto inoltre di tenere giustizia un giorno la settimana anche a S. Giovanni Bianco.  L'alta valle costituì un vicariato a sè detto della "Valle Brembana oltre la Gocchia" con sede alternativamente a Piazza Brembana e Valnegra.
E' P. Tosino (1) a dirci che fin dal 1435 la sede del vicariato a Zogno si trovava poco fuori le mura del castello visconteo sulla piazza principale del paese (l'odierna piazza Garibaldi). Era una casa modesta di proprietà dei 14 comuni componenti il vicariato nella quale trovavano posto le stanze per la famiglia del vicario, l'aula dove si tenevano le riunioni amministrative e giudiziarie e forse una cella carceraria. Le spese di manutenzione della casa e una parte dello stipendio del vicario erano a carico dei comuni; il resto dello stipendio era corrisposto dallo stato veneto il quale si accollò questo onere per intero solo in tempi successivi.
Per tutto il periodo della dominazione veneta non si segnalano fatti di rilievo nella gestione amministrativa e giudiziaria del vicariato descritta in dettaglio nella nota relazione del capitano Giovanni da Lezze nel 1596 alla quale il lettore viene rimandato (3).  C'è solo da ricordare che nel 1620 furono aggiunti alcuni ordinamenti commerciali e civili per adeguare gli statuti alle esigenze dei nuovi tempi. L'introduzione di queste nuove norme fu formalizzata dal notaio Tommaso Sonzogno fu Teodoro di Zogno (4) "tesoriero (oggi si direbbe segretario)" del vicariato con il consenso del vicario e dei rappresentanti di tutti i comuni. La duplice funzione, giudiziaria e politico-amministrativa, del vicario però non mutò. Dal punto di vista politico-amministrativo il vicario era una sorta di podestà o presidente del distretto dipendente gerarchicamente dai Rettori di Bergamo. Nel novembre 1796 al vicario di Zogno, su ordine del capitano e vice podestà di Bergamo conte Ottolini, toccò indire l'ultimo consiglio di valle per avvisare i rappresentanti dei comuni che il territorio del vicariato sarebbe stato presidiato da truppe francesi raccomandando nel contempo di tranquillizzare con ogni mezzo la popolazione. L'esercito francese dunque veniva in possesso del territorio della Repubblica di Venezia quasi senza colpo ferire il che dimostra quanto fosse inerme l'esercito veneto!
Con l'arrivo del governo francese i vicariati furono sostituiti dai distretti che si differenziarono dalla precedente istituzione solo per una diversa estensione geografica. Mutò invece radicalmente la figura dell'antico vicario poichè le due funzioni politico-amministrativa e giudiziaria furono assegnate a due persone diverse: la prima al Delegato o Presidente di Distretto, la seconda a colui che fu chiamato Pretore ripescando il termine dall'antica cultura romana.
Formalmente la sede della pretura a Zogno fu fissata il 22 agosto 1809 allorchè la "Corte di Giustizia Civile e Criminale (l'odierno ministero della Giustizia)" per il tramite del Procuratore Generale Salvi firmò un contratto con il "sig. dott. Federico Bonetti  di Zogno", rappresentante dei comuni componenti il distretto, con cui si prendevano in affitto quattro stanze ad uso di uffici di pretura appartenenti alla ex sede del Vicariato della valle Brembana Inferiore (2). Durante l'epoca napoleonica tuttavia per le incessanti guerre e il clima politico instabile il pretore di Zogno non riuscì a lasciare apprezzabili testimonianze del suo operato.
E' solo con l'inizio del governo austriaco che nasce la figura del pretore moderno, inteso come uno specialista di tutti gli aspetti del diritto, coadiuvato da uno o più avvocati e con l'appoggio subordinato di un notaio, pure esperto di giurisprudenza, detto Cancelliere. Poiché gli apparati dello stato austriaco funzionavano più che discretamente e poichè un maggior numero di reati prevedevano la condanna al carcere e non più la pena di morte, per cui molti malfattori nel passato erano rimasti latitanti e impuniti per tutta la vita, da questo momento in poi alla pretura furono associate stabilmente le carceri. Ebbene a Zogno il governo austriaco per realizzare concretamente questo nuovo progetto di gestione della giustizia concepì una profonda ristrutturazione e un cospicuo ampliamento di quella che era stata la sede dell'ex vicariato della valle Brembana Inferiore.  


BIBLIOGRAFIA  
1) P. TOSINO: scritti vari pubblicati su "L'Eco di Bergamo" tra il 1935 e il 1937.
2) A.S.BG.: Imperiale Regia Delegazione Provinciale; Pubbliche Costruzioni, cart. 984.
3) A.S.VE.: Senato; serie Sindici Inquisitori di Terra Ferma, busta 63.
4) A.S.BG.: Fondo Notarile; notaio Tommaso Sonzogno fu Teodoro, cartelle con progressivo da 3277 a 3282. 


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