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Edizioni don Giulio Gabanelli, stampa Carminati Stampatore, Almè - Zogno

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Nuove scoperte storiche circa il ponte sul fiume Brembo a Ponte San Pietro

(n.6, dicembre 1997)
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Alla costruzione del ponte austriaco ad un solo arco nel centro storico di Ponte S. Pietro è legata l'esatta collocazione e quindi il corretto significato di una lapide che ancora oggi si può osservare murata nella casa adiacente al ponte stesso sulla sinistra orografica del fiume, rivolta verso il fiume. Questa lapide testimonia un'eccezionale piena del Brembo verificatasi nel 1646 e recita testualmente: " ALLI 22 GIUGNO 1646 A HORE 23 IN GIORNO DI LUNEDI L'ONDE DI QUESTO FIUME BREMBO ARRIVARNO SIN QUI".
   Oggi essa si trova a quattro metri esatti al di sopra del piano di calpestio del ponte attuale, al di sopra anche del pavimento del secondo piano della casa in questione la quale è costituita da cinque piani: tre posti sopra la superficie del ponte, due posti al di sotto, di cui quello inferiore è un ampio scantinato.
Rispetto al livello delle acque del fiume in condizioni di portata normale, cosa che oggi si può osservare solo quando la vicina diga dell'ENEL è aperta, la lapide appare ben 17,50 metri al di sopra. E' proprio questa straordinaria altezza che ha reso scettici vari studiosi della fine del secolo scorso e del nostro secolo sulla originaria ed esatta collocazione di questa lapide.
Il primo a dubitare di questo fatto fu l'ing. Elia Fornoni il quale nel suo "Dizionario Odeporico" diede spazio ad una diceria che correva a quel tempo in paese secondo cui quella lapide in origine si trovava sulla pila in mezzo ai due archi del ponte antico e che in seguito alla costruzione del ponte austriaco era stata murata nella casa adiacente sulla sinistra orografica per conservarla, alterandone però la posizione e la quota esatta (1). In tempi successivi Bortolo Belotti nella sua "Storia di Bergamo e dei Bergamaschi" senza alcun supporto archivistico riportò come fatto vero questa diceria ritenendo impossibile che le acque del Brembo avessero raggiunto "l'incredibile livello" indicato dalla lapide (2). Solo il professor Mario Testa nell'opera già citata propende a ritenere verosimile che la lapide si trovi nella sua posizione originaria tuttavia più per intuizione, essendo egli buon conoscitore dei luoghi, che per deduzione scientifica. 
Egli infatti confrontando la descrizione un pò generica della lapide fatta dal Maironi da Ponte nel suo "Dizionario Odeporico" del 1820 con la descrizione della casa in questione contenuta in un atto notarile del 1811 trova una debole concordanza tra le due sulla base di un'ipotesi singolare. Il Maironi da Ponte infatti dice di aver visto la lapide "oltre la metà dell'ultimo piano delle case laterali" dell'antico ponte mentre l'atto notarile afferma che la casa su cui si trovava la lapide era costituita da tre piani e da un sotterraneo senza darne però le dimensioni e la disposizione rispetto al ponte antico.
Poichè al buon senso di tutti appare inaccettabile una lapide posta oltre il terzo piano di quella casa il professor Testa suppone che se l'espressione "ultimo piano" usata dal Maironi potesse leggersi come "primo piano" tutto si accorderebbe e andrebbe a posto. Questa ipotesi di un eventuale errore di scrittura del Maironi appare però innaturale e forzata e nasce dalla convinzione che la casa su cui si trova la lapide avesse nel 1811 le stesse caratteristiche di oggi. Questa convinzione però è errata poichè la casa in oggetto ha subito varie ristrutturazioni dall'inizio del secolo scorso ad oggi come del resto si può osservare nelle vedute ottocentesche della zona pubblicate dallo stesso Testa nella sua storia di Ponte S. Pietro e sfuggite alla sua attenzione.
La dimostrazione che questa lapide si trova con certezza nel luogo originario deriva pertanto da altri e nuovi riscontri oggettivi e da descrizioni non qualitative, cioè approssimate, ma quantitative cioè basate su misure scoperte nella presente ricerca.
Bisogna dunque sapere che nel 1812 "l'ingegnere in capo del Dipartimento del Serio Vidali Simon Felice", responsabile della gestione delle strade e dei ponti di interesse nazionale nella provincia di Bergamo, durante un giro di ispezione osserva a proposito del ponte sul Brembo a Ponte S. Pietro: "in elevazione di metri 9,85 della prima imposta dell'arco nel muro della casa delli signori Giovanni Antonio Moroni, a destra (da Bergamo verso Lecco) dell'ingresso al ponte, trovasi lapide di marmo nero coll'iscrizione seguente: ALLI 22 GIUGNO 1646 A HORE 23 IN GIORNO DI LUNEDI L'ONDE DI QUESTO FIUME BREMBO ARRIVARNO SIN QUI" (3). 
Innanzitutto si deve subito osservare che abbiamo oltre al Maironi da Ponte un secondo testimone oculare estremamente preciso che afferma che la lapide non sta sul pilastro in mezzo al ponte antico ma sulla casa posta sulla sinistra orografica del fiume a contatto e a monte del ponte. La data in cui fu fatta l'annotazione, 1812, certifica poi che il ponte è proprio quello antico anteriore all'epoca austriaca. Si sa inoltre con certezza che dal 1812 al 1826 questo ponte non subì modifiche tranne qualche intervento di manutenzione ordinaria alla sede stradale. Pertanto il ponte antico disegnato in sezione longitudinale nel 1826 dall'ing. Benedini e pubblicato nella prima parte di questa storia è lo stesso del 1812.
In questo disegno sono riportate numerose e dettagliate misure che ci dicono che la distanza dell'imposta o attacco dell'arco sulla sinistra orografica dal piano di calpestio del ponte è di metri 5,60. Pertanto si può concludere che la lapide nel muro della casa in questione si trovava, secondo l'ing. Vidali, sopra la sede stradale ad un'altezza di metri 4,25 (= 9,85 - 5,60) cioè in bella vista di tutti i passanti come è stato detto da vari osservatori nel corso dei secoli.
Nel disegno dell'ing. Benedini tuttavia è riportato anche il progetto del ponte nuovo che risulta sovrapposto a quello antico. In esso appare evidente che l'imposta sinistra dell'unico arco del ponte nuovo si trova a metri 7,80 dall'antico piano di calpestio il che equivale a dire che la lapide doveva trovarsi al di sopra di questa nuova imposta di metri 12,05 (= 7,80 + 4,25). Poichè si è detto che il progetto Benedini fu rispettato nella struttura in modo quasi completo, tranne nella larghezza della carreggiata, ci aspettiamo che la lapide debba trovarsi anche oggi al di sopra dell'imposta dell'arco austriaco di metri 12,05. Ebbene questa è proprio l'attuale distanza che separa la lapide dall'imposta dell'arco in questione essendo stata misurata da chi scrive poche settimane fa con un filo a piombo (4). Perciò la lapide nel corso degli ultimi 200 anni, e certamente anche prima, non è mai stata spostata dalla sua posizione originaria anche se la casa è stata ristrutturata e alzata un paio di volte, o meglio è stata tolta durante i lavori ma rimessa sempre esattamente al suo posto alla stessa quota.
Vi sono poi altri elementi importanti che concorrono a rendere ancora più evidente, se mai ce ne fosse bisogno, questa scoperta. In un altro disegno dell'ing. Benedini in cui si illustra il ponte antico e la riva sinistra in sezione trasversale si vede che la casa in questione ha solo due piani al di sopra della superficie di calpestio, un piano al di sotto di essa usato come conceria e negozio di pelli dal proprietario dell'epoca Cattaneo e un ulteriore sotterraneo usato come deposito delle stesse (5). Questo disegno ci dice che la casa aveva tre piani e un sotterraneo come affermato nell'atto notarile del professor Testa ma che solo due piani erano al di sopra del ponte antico. Ora diventa molto chiara, ragionevole e facile da interpretare anche l'espressione usata dal Maironi da Ponte nel suo scritto "oltre la metà dell'ultimo piano" come "oltre la metà del secondo piano". Tutti gli elementi dunque combaciano perfettamente in modo naturale e senza forzature. Persino la successiva annotazione fatta sempre dal Maironi nella stessa opera secondo cui a vista la lapide pareva posta "oltre i 50 piedi parigini dal livello ordinario del fiume" si accorda esattamente con l'odierna altezza sopra le acque in condizioni di portata normale con la diga dell'ENEL aperta che è di 17,50 metri. Il metro in più di oggi rispetto ai "50 piedi parigini" indicati dal Maironi si giustificano in modo naturale con l'abbassamento dell'alveo del fiume nel corso di 200 anni.
Per comprendere come la piena del Brembo abbia potuto raggiungere un'altezza tanto straordinaria da risultare incredibile al moderno osservatore bisogna considerare il fatto che la conformazione dell'alveo del fiume in quel luogo oggi è assai diversa da quella che esisteva anticamente e che fu cambiata in modo drastico e definitivo proprio con la costruzione del ponte austriaco nel 1837.
Prima di questa data infatti l'arco sinistro del ponte antico poggiava su uno sperone di roccia che si protendeva di vari metri dalla riva verso il centro del fiume, a sbalzo sopra le acque di 5 metri! In mezzo al fiume inoltre esisteva un altro spuntone di roccia che emergeva dal fondo e che si elevava sopra il livello normale delle acque pure di 5 metri ed aveva una sezione trasversale rispetto alla corrente del fiume di 8 metri! Sopra questo grandioso masso poggiava il pilastro centrale del ponte che presentava una larghezza trasversale di 6 metri. Il ponte antico inoltre era a schiena di mulo, vale a dire il suo piano di calpestio pur essendo a una quota di poco superiore a quella del ponte austriaco presso le rive, in mezzo al fiume era più alto di oltre 2 metri ed era corredato da parapetti in muratura alti un metro. In totale la parte più alta del ponte antico, per fare un confronto, si trovava a circa tre metri sopra l'attuale piano di calpestio. Sopra il pilastro centrale fino a poco prima del 1790 poggiava una torre alta 10 metri a pianta quadrata con lato di 4 metri. Infine anche la riva destra si avvicinava di più al centro del fiume.
Complessivamente la massa di ingombro degli speroni rocciosi indicati e del ponte corredato di torre era assai notevole. Pertanto diventa plausibile, anzi quasi ovvio, pensare che una grande quantità di tronchi trasportati dal fiume in piena, bloccati dalle rocce sporgenti, dal pilastro del ponte e dalla torre in quella strettoia abbiano fatto traboccare le acque sopra la sommità del ponte stesso e soprattutto ai suoi lati spingendole fino alla quota indicata dalla lapide. Non a caso l'ing. Benedini nel progettare il nuovo ponte prescrisse in modo tassativo per motivi di sicurezza di eliminare tutte le sporgenze dell'alveo in quel punto e in particolare il grandioso masso in mezzo al fiume.
La piena del 1646 comunque si deve considerare eccezionale. A Ponte S. Pietro infatti si registrarono cinque annegati e qualche altro morto si registrò in tutta la valle Brembana. A Zogno si verificarono solo distruzioni ma lo spavento fu tale che la comunità per ringraziare dello scampato pericolo elesse i santi di  quel giorno di giugno, Marco e Marcelliano, compatroni di Zogno insieme a S. Lorenzo e commissionò un dipinto ex-voto ancora oggi visibile nella parrocchiale.
La piena del luglio 1987 probabilmente è paragonabile a quella del giugno 1646. Infatti vari testimoni oculari di Ponte S. Pietro affermano che nel 1987 le acque superarono di circa 5 metri l'imposta dell'arco del ponte austriaco e in tali condizioni si può dire che se la configurazione dell'alveo del fiume fosse stata quella anteriore all'epoca austriaca avremmo avuto quasi di certo gli stessi effetti del 1646. Del resto anche la piena del 1987 causò vari morti in valle Brembana.
La più grande piena del Brembo tuttavia deve essere stata quella dell'agosto 1493 citata da vari osservatori e studiosi. Di essa non si hanno ad oggi riscontri quantitativi riferiti a qualche elemento del paesaggio duraturo nel tempo e adatto quindi a fare confronti ma solo descrizioni qualitative e approssimate. Si sa solo che distrusse molti ponti e che causò tanti morti in tutta la valle Brembana. Tuttavia se questa alluvione costrinse un monaco agostiniano e cronista bolognese, certo Cherubino Ghirardacci, a parlarne come fatto di cronaca rilevante del tempo in un'opera che descrive la storia di Bologna (6), significa che l'entità del disastro deve aver superato veramente ogni limite immaginabile a tal punto da farne rimbalzare la notizia in tutta l'Italia. 


BIBLIOGRAFIA
1) Elia Fornoni: Dizionario Odeporico, manoscritto presso l'Ufficio Diocesano di Arte Sacra, Curia Vescovile di Bergamo, volume XIV.
2) Bortolo Belotti: Storia di Bergamo e dei Bergamaschi, volume IV.
3) Archivio di Stato di Bergamo. Fondo Regio Genio Civile: cartella 153, numerazione vecchia.
4) L'attuale piano di calpestio del ponte austriaco è ad una quota di circa 80 centimetri più alta rispetto a quella del 1837 essendo stati appoggiati pochi decenni or sono sopra la carreggiata primitiva una serie di archetti per ottenere due marciapiedi a sbalzo ai lati e una sede stradale utile più larga per le automobili.
5) Archivio di Stato di Bergamo. Fondo Imperiale Regia Delegazione Provinciale, Pubbliche Costruzioni, cartelle 653, 977, 978.
6) Cherubino Ghirardacci: Della Historia di Bologna, parte prima; Bologna 1596.


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