Saggi Storici
Zogno Notizie

Edizioni don Giulio Gabanelli, stampa Carminati Stampatore, Almè - Zogno

1|2|3|4|5|6|7|8|9|10|11|12|13|14|15|16|17|18|19|20|21|22|23|24|25|26|27|28|29


Nuove scoperte storiche circa il ponte sul fiume Brembo a Ponte San Pietro

(n.5, ottobre 1997)
1/2


Sulla presente pubblicazione ho sempre trattato argomenti a carattere storico-culturale di vario genere riguardanti il nostro paese in modo coerente col titolo di Zogno Notizie. In questa occasione però voglio fare un'eccezione e affrontare un tema che riguarda un altro paese, Ponte S. Pietro, che è abbastanza lontano dal nostro ma che con il nostro ha in comune il fatto importante di essere attraversato dallo stesso fiume, il Brembo. Gli argomenti trattati perciò non possono essere considerati del tutto estranei all'ambito zognese, anzi, come si vedrà, in qualche modo lo riguardano.
Il professor Mario Testa già nel lontano 1978 pubblicando una storia assai documentata di Ponte S. Pietro, illustrò in modo abbastanza dettagliato le vicende concernenti la costruzione attorno al 1836, cioè in piena epoca austriaca, dell'attuale ponte sul Brembo nel centro storico di quel paese (1). Attingendo a documenti provenienti dall'Archivio di Stato di Milano egli potè affermare che il progetto di questa cospicua opera era dell'ing. Benedini, appartenente alla direzione generale delle Pubbliche Costruzioni di Milano, il quale l'aveva ideato ad un solo arco già nel 1826. In seguito a contestazioni di tipo tecnico da parte di altri ingegneri della direzione milanese e soprattutto per lungaggini amministrative la realizzazione del ponte ebbe però un travaglio assai lungo e soltanto nell'estate del 1837 esso potè essere collaudato e utilizzato. Il nuovo ponte sostituì completamente il precedente, assai antico, che si trovava nello stesso luogo ed era a due archi.
Da documenti e disegni inediti presenti negli archivi di Stato di Venezia e di Bergamo (2) è stato possibile ricavare nuove e interessanti informazioni sulla storia di questa costruzione che da un lato confermano l'esattezza delle scoperte del professor Testa e dall'altro mostrano queste vicende sotto una nuova luce.
Per quanto riguarda i nuovi apporti vi è da dire che il governo austriaco di Milano, già poco dopo il suo insediamento, aveva individuato in Ponte S. Pietro un nodo viario di primaria importanza poichè dal suo centro si staccavano due vie: una diretta al porto fluviale di Imbersago sull'Adda, a quel tempo molto trafficato, e quindi a Milano; l'altra a Lecco e quindi in Valtellina. Il collegamento tra Bergamo e Ponte S. Pietro era reso possibile da un ponte sul Brembo a schiena di mulo a due archi, per quei tempi abbastanza ampio avendo una carreggiata netta di 2,5 metri, ma traballante sotto il peso dei carri carichi a due ruote e di difficile superamento presentando una salita e una discesa abbastanza ripide e sconnesse. L'esigenza di un suo rifacimento completo perciò era evidente a tutti.
Sfruttando alcune istanze con questo scopo inviate alle autorità superiori da parte del comune di Ponte S. Pietro tra il 1824 e il 1825, la direzione generale delle Pubbliche Costruzioni di Milano decise di affidare all'ingegnere Benedini lo studio di un nuovo ponte. Dopo vari sopraluoghi in compagnia di alcuni collaboratori l'ing. Benedini nel 1826 spedì alla direzione centrale un sorprendente disegno in cui si mostrava un nuovo grandioso ponte ad un solo arco con una luce complessiva di poco superiore ai 26 metri, con una larghezza lorda di 7 metri ed una netta (carreggiata) di poco superiore ai 6 metri. Benedini allegava al progetto una dettagliata relazione in cui illustrava i vantaggi di quella soluzione, i costi previsti comprendendo anche il parziale abbattimento di alcune case presso le rive del fiume per un totale di 33.754 lire e alcuni suggerimenti senza i quali il ponte non avrebbe dovuto essere costruito in quella forma.   
In sintesi Benedini affermava che la costruzione di un ponte nuovo a due archi, che avrebbe sfruttato come l'antico il masso in mezzo al fiume, sarebbe costato di più; che questo masso non forniva sufficienti garanzie al raccordo tra i due nuovi archi alquanto diversi tra loro per la considerevole maggiore larghezza della carreggiata che le esigenze dei tempi pretendevano, tra l'altro, ad una sola linea diritta e non spezzata come quella del vecchio ponte. Un solo arco, anche di luce maggiore rispetto a quelli antichi, con le testate che poggiavano direttamente sulle rive rocciose del fiume era la soluzione più sicura. Inoltre un solo arco avrebbe permesso una carreggiata perfettamente piana e orizzontale, condizione indispensabile per far transitare in modo comodo e veloce non solo i "grossi attiragli (carri a quattro ruote)" dei trasporti commerciali ma anche i pesanti convogli "d'Artilleria" tra Bergamo e Lecco.
Poichè la nuova carreggiata orizzontale si sarebbe trovata circa allo stesso livello di quella vecchia in corrispondenza delle rive ma ben 2 metri più in basso in mezzo al fiume, Benedini prescriveva tassativamente di fare i seguenti interventi:
a) distruggere completamente il masso roccioso in mezzo al fiume su cui poggiava il vecchio ponte e che si ergeva per 5 metri al di sopra delle acque in condizioni di portata normale;
b) eliminare le "spalle o inviti" del vecchio ponte che per più di    2 metri si protendevano verso il centro del fiume restringendone di fatto l'alveo;
c) "rasare" cioè smussare uno sperone roccioso sulla destra orografica.
Queste tre modifiche di cui la più importante era la prima avrebbero permesso un più libero sfogo alle acque del Brembo in piena mettendo al sicuro da ogni rischio la nuova costruzione. Poichè la durata della realizzazione era stimata in circa un anno si suggeriva di costruire un ponte temporaneo in legno 110 metri a monte di quello esistente, in quattro arcate, per non bloccare totalmente il transito durante i lavori.
Una parte non trascurabile della spesa per la realizzazione del progetto consisteva comunque nei compensi da dare a quei privati le cui case, trovandosi a ridosso delle testate del vecchio ponte, dovevano essere "tagliate", in realtà parzialmente abbattute. Fu proprio questo problema a sollevare un vespaio di polemiche sia tra la popolazione di Ponte S. Pietro che in buona parte sosteneva le ragioni basate sulla proprietà privata, considerata intoccabile, dei cittadini più danneggiati, sia tra gli esperti della direzione delle Pubbliche Costruzioni di Milano per gli elevati costi.
Proprio con l'obiettivo di contenere i costi altri ingegneri di Milano, tra i quali si devono citare Ferranti e Bossi, suggerirono di spostare il ponte più a valle o più a monte dove non esistevano case. Però in quei luoghi il fiume Brembo presentava un alveo più largo e costringeva a progettare una struttura ancora a due o forse tre arcate con costi di certo non inferiori e con meno garanzie di stabilità.
L'idea di costruire il ponte nuovo in un altro luogo era sostenuta a viva voce non solo dalla popolazione ma anche da alcune autorità comunali che vedevano in questa soluzione la possibilità di lasciare intatto il vecchio ponte e di sfruttare due transiti sopra il Brembo anzichè uno. Per altro i sostenitori di questa proposta erano alleati con coloro che pur accettando la costruzione del nuovo ponte al posto di quello vecchio sostenevano che il ponte provvisorio in legno, poco lontano, concepito per i pedoni, le bestie e i piccoli carri a due ruote, dopo il termine dei lavori dovesse rimanere definitivo come percorso alternativo per il traffico leggero. Questa idea si diffuse a tal punto tra la gente e le autorità locali che si giunse a stendere un progetto vero e proprio per il ponte in legno nell'estate del 1827 del costo complessivo di 18.000 lire! Se a queste istanze così diverse e contraddittorie si aggiungono i numerosi ricorsi dei privati che si sentivano fortemente danneggiati da quel progetto si può intuire quanto fosse intricato il nodo che le autorità milanesi si trovarono a sciogliere. In mezzo a tanti contrasti era inevitabile che la realizzazione dell'opera slittasse nel tempo.
Per la verità un motivo importante per cui la costruzione non fu subito avviata era dovuta alla scarsità di denaro poichè la direzione delle Pubbliche Costruzioni di Milano in quegli anni era impegnata a realizzare e finanziare numerose e grandiose opere stradali in tutta la Lombardia (3). Non è un caso che tra il 1827 e il 1833 la parte di budget riservata a questo progetto venisse depennata dai giornali contabili alla fine di ogni anno e riproposta, opportunamente aumentata, l'anno successivo finchè non si raggiunse una somma in grado di coprire con certezza più di metà dei costi previsti.
Nel frattempo in quegli anni la direzione di Milano maturò alcune varianti al progetto Benedini quale il restringimento della carreggiata da 6,06 metri a 5,40 e l'allungamento del ponte o meglio della luce dell'arco da 26 metri a 27,80. La prima modifica permise di ridurre l'abbattimento parziale di alcune case, la seconda evitò di costruire le pur limitate spalle progettate dal Benedini sulle rive facendo in modo che il ponte nuovo venisse ancorato direttamente "al cuore delle rocche (rocce)". Questa modifica tra l'altro ebbe lo scopo di allargare e liberare ancora di più l'alveo del fiume. Nella sostanza comunque si può dire che il progetto Benedini fu rispettato all'80%.
Un ulteriore cospicuo risparmio si ottenne con la decisione, presa alla fine del 1833, di non costruire alcun ponte in legno e di usare per i carri il non lontano "ponte camerale (oggi si direbbe consorziale o privato) di Briolo" che aveva una carreggiata netta di 3 metri sospendendo il pagamento di ogni pedaggio per la durata dei lavori. Il "pedaggiere" Francesco Turani, che in base ad antichi privilegi riscuoteva le tasse per curare la manutenzione del ponte stesso, fu risarcito dal governo.
Per i pedoni e gli animali fu comunque predisposto un "porto volante" vicino al ponte vecchio costituito da una chiatta lunga 9 metri e larga 3, di travi ed assi di rovere, dotata di due remi per le manovre e di un "castello (telaio)" nel centro che reggeva un grosso cilindro verticale pure di rovere. Con questo cilindro la grossa chiatta si appoggiava e scorreva su un cordone di canapa "ben intrecciato, spesso 4 centimetri" teso tra le due rive mentre altre due corde servivano per tirare l'imbarcazione in modo alterno da una riva all'altra. 
Nell'estate del 1834 furono indette le prime aste per assegnare i lavori. Solo al terzo tentativo i soci Carlo Antonio Crivelli di Bergamo, Carlo Antonio Mangili di Calolzio e Francesco Riva di Lecco fecero un'offerta vincente con qualche condizione però tra cui la possibilità di utilizzare tutto il materiale ancora valido del vecchio ponte e la possibilità di attuare con una certa autonomia gli interventi di ristrutturazione delle case adiacenti al ponte. Ciò però fece scattare altri ricorsi e lamentele dei proprietari che ritardarono la firma definitiva del contratto d'appalto tra le autorità governative e i tre soci fino al luglio 1835. Successivamente si interposero altre difficoltà per il reperimento dei materiali in pietra viva da prelevarsi secondo i costruttori in cave diverse da quelle indicate dalle autorità,  sicchè i lavori di costruzione si avviarono solo nel settembre del 1836 e terminarono nell'agosto del 1837. Per l'esattezza il ponte nuovo fu collaudato e aperto ai traffici di ogni genere il 10 agosto 1837.
Ma gli ostacoli per il buon avviamento di questa struttura non erano ancora finiti. A ponte già ultimato, quando si pose mano alla distruzione del poderoso macigno in mezzo al fiume, i nobili fratelli Scotti, che avevano sul fiume poco a valle del ponte nel luogo dove oggi esiste la diga dell'ENEL la presa d'acqua della roggia che alimentava i loro opifici, si opposero con un ricorso a questa distruzione sostenendo che la corrente del fiume, non più frenata da quel masso, avrebbe distrutto i loro manufatti e le loro attività. Dopo aver ascoltato per due mesi le lamentele e le esigenze degli Scotti le autorità di Milano risolsero con decisione il problema offrendo loro un limitato compenso senza possibilità di repliche e ordinando il "perentorio livellamento del macigno e della riva destra" come aveva prescritto l'ing. Benedini nell'originario progetto. Il che avvenne nel novembre 1837.
A distanza di 160 anni il ponte austriaco domina ancora lo scenario del centro storico di Ponte S. Pietro e fa bella mostra di sè sostanzialmente invariato a meno dei parapetti in muratura sostituiti qualche decennio fa da quelli metallici con lo scopo di allargare la carreggiata per il passaggio delle automobili.


BIBLIOGRAFIA
1) Mario Testa: Ponte S. Pietro; Ed. Archivio Storico Brembatese, Brembate Sopra (BG), 1978.  
2) Archivio di Stato di Bergamo. Fondo Imperiale Regia Delegazione Provinciale, Pubbliche Costruzioni, cartelle 653, 977, 978. Archivio di Stato di Venezia. Fondo Rason Vecchie, varie buste secolo XVIII.
3) Giuseppe Pesenti - Franco Carminati: Una Strada, Una Valle, Una Storia; Ed. Archivio Storico S. Lorenzo, Zogno (BG) 1988, (capitolo terzo).


1 | 2