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Edizioni don Giulio Gabanelli, stampa Carminati Stampatore, Almè - Zogno

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Storia della roggia Traini

(n.4, agosto 1996)
10/13


(Nota preliminare: questo saggio storico è stato raccolto nel volume dello stesso autore “Le Rogge di Zogno”, capitolo: Roggia Traini)

Si è visto nelle puntate precedenti che prima del 1661 non esistevano ne la segheria ne il maglio, costruiti da Pasinelli, ne il mulino detto del Capo, opera di Francesco Sonzogno. I soli opifici presenti erano un altro mulino, un follo e la cartiera che nel 1630 risultavano di proprietà, già da qualche anno, "dell'illustrissimo conte Francesco Brembati fu il molto illustre conte Ottavio cittadino di Bergamo et cavaliere dell'ordine di Cristo Redentore". In questa parte tuttavia non si indagherà sul modo con cui Francesco Brembati divenne unico proprietario di questi edifici e dell'intera roggia ma sugli sviluppi e sulle traversie, quasi incredibili, cui andarono incontro queste aziende nel corso del XVII secolo.
Poco prima del 1630 venne a morire Francesco Furietti fu Pietro illustre cittadino di Bergamo, originario però di Zogno, che aveva lasciato con testamento del 1599 la notevole cifra di 7.000 scudi alla Misericordia di Zogno con la disposizione di investire questo capitale non in terreni agricoli, boschivi o prativi, che rendevano a mala pena il 2%, ma in attività artigianali che potevano rendere un interesse variabile tra il 5 e il 5,5% all'anno. Di conseguenza i reggenti della Misericordia di quel periodo Giuseppe Rubis, Francesco Gariboldi e Francesco Boldrini de Sonzogni contattarono il conte Brembati ed acquistarono al prezzo di 4.500 scudi il suo edificio da mulino costituito da tre ruote funzionanti, i diritti sull'uso della roggia, una casa di abitazione posta sopra i locali delle macine e un ampio terreno circostante, il tutto "giacente nel locho delli Salegii". Ciò fu concordato privatamente il 20 dicembre 1630 e ratificato con atto notarile il 30 dicembre dello stesso anno (1) dopo che era giunto a Zogno il benestare dei rettori di Bergamo, Piero Loredan podestà e Giovan Antonio Zen capitano, essendo coinvolta nella compravendita l'amministrazione pubblica.
Solo un mese più tardi, il 29 gennaio 1631, gli stessi reggenti sempre usando i soldi lasciati dal Furietti acquistarono dal Brembati al prezzo di 2.000 scudi anche l'edificio da follo costituito da tre ruote funzionanti con i diritti sull'acqua della roggia, pure situato "nel locho delli Salegii" ma a valle della roggia, vicino al mulino che invece era a monte (2). Tali acquisti così ravvicinati nel tempo e soprattutto il fatto che il lascito Furietti fosse esaurito nel giro di un mese destarono tuttavia molti sospetti di accordi intervenuti sotto banco tra il Brembati e i reggenti della Misericordia a danno della comunità zognese.
Pertanto costoro furono chiamati a giustificare il loro operato davanti ai rettori di Bergamo. Dopo lunghe indagini e processi Francesco Boldrini de Sonzogni fu messo al bando per vari anni mentre i suoi collaboratori furono interdetti per sempre da ogni carica pubblica. Come è successo più volte ai nostri giorni nei recenti casi di "tangentopoli" pare dunque che anche in antico gli industriali sapessero difendersi molto bene. Infatti nessuno riuscì a provare i pesanti sospetti e le accuse contro il Brembati di tentata corruzione nei confronti di amministratori pubblici.
Nonostante il contesto sociale poco sereno i successori di questi reggenti riuscirono ad amministrare molto bene il mulino affittandolo con continuità sia a persone di Zogno che a forestieri. Tra questi si può citare nel 1641 certo Giacomo Cortinovis di Nese in val Seriana e nel 1644 Dionisio Torricella di Concorezzo, padre di quell'intraprendente Ambrogio già conosciuto in parti precedenti (3). Il canone che i mugnai dovevano pagare alla Misericordia non era in denaro ma in merce per l'esattezza "sedici some di formento bello et otto some di milio l'anno". In tal modo questo ente benefico riuscì a garantire un tozzo di pane ai bisognosi di Zogno e del circondario per parecchi anni e per questo motivo il mulino in esame incominciò ad essere detto "della Misericordia". Piuttosto male andarono le cose con il follo sia per la difficoltà di trovare un esperto in grado di farlo funzionare sia per i maggiori costi di manutenzione essendo questa attività basata su una tecnologia più complessa (4). Di fatto il follo risultò attivo sempre in modo discontinuo sicchè dopo quindici anni i debiti accumulati con esso superavano di gran lunga i guadagni ottenuti col mulino. La Misericordia si vide costretta a vendere tutto.
Il 2 aprile 1648 si fece avanti il conte Davide Brembati, nel frattempo succeduto al padre Francesco, il quale acquistò i due opifici al prezzo totale di 4.250 scudi con la condizione di pagare tale cifra in 8 anni all'interesse del 4% in cambio del diritto di riscatto degli immobili da parte della Misericordia (5). Il conte Davide grazie alle sue conoscenze nell'ambito di Bergamo non ebbe difficoltà ad affittare subito sia il mulino che il follo a imprenditori di quella città (6).
Dopo circa dieci anni, quando i debiti della Misericordia erano stati pagati, di nuovo qualche reggente di questa istituzione si fece lusingare dall'idea di investire ancora in attività artigianali. Dopo alcuni anni di discussioni avvenute anche a livello di consiglio comunale, sfruttando il diritto del riscatto, la Misericordia rappresentata da Carlo Astulfoni, Francesco Pesenti e Battista Micali decise di riacquistare il 18 ottobre 1668 dai conti "Giuseppe Maria et Francesco figli del fu l'illustre Davide Brembati" i seguenti opifici: "un edeficio con rote trei da molino atte a macinare con sue raggioni di aque, aqueduti et sariole; una casetta copata ivi appresso detti mulini; un edeficio da follo da panine di due rote con altra rota d'argagno et purgo con sue raggioni di aque, aqueduti et sariole posti nel locho delli Salegii" al prezzo di 4.250 scudi (7).
Il mulino fu subito affittato ad Ambrogio Torricella fu Dionisio, personaggio ormai noto, mentre il follo fu concesso a Lorenzo Pesenti fu Giovanni di Zogno. Tuttavia ancora una volta apparve  chiaro che mentre la gestione del mulino non dava problemi, l'attività del follo non riusciva a decollare. Perciò nel 1674 i rappresentanti della Misericordia pensarono di affittare anche questo opificio al Torricella che appariva uomo di grande iniziativa. Egli accettò promettendo di migliorare gli impianti a proprie spese con la condizione però di stabilire un contratto di 9 anni per entrambi gli opifici e con il divieto per la Misericordia di vendere o riaffittare prima di questa scadenza. 
Tuttavia, in contrasto con gli impegni scritti, già nel 1677 si diffusero le prime voci in paese che la Misericordia, non contenta della gestione Torricella, intendeva vendere il follo ai fratelli Marconi de Maffeis e alla metà del 1678 essa in effetti indisse i primi incanti con questo obiettivo. Il Torricella però appoggiato dall'influente suocero, il notaio Francesco Panizzoli più volte citato in questa storia, fece opposizione presso i rettori di Bergamo, denunciando la violazione degli accordi da parte dei reggenti e dimostrando di aver speso oltre 500 scudi dei propri nel miglioramento degli opifici. In tal modo ottenne la sospensione degli incanti. Di nuovo la Misericordia fu coinvolta in uno scandalo. I suoi amministratori convocati a Bergamo si difesero dicendo che per l'andamento non buono del follo avevano pensato di rivolgersi ai fratelli Marconi, che sapevano essere interessati, offrendo loro l'opificio. Questi fratelli avevano promesso un prezzo assai conveniente oltre alla possibilità di sostituire senza problemi il Torricella con un altro mugnaio di Zogno, certo Martino Licini, con un affitto migliore. Ciò che salvò in parte i reggenti fu il divieto che il Torricella aveva imposto alla Misericorida di vendere o riaffittare gli opifici poichè questa clausola, applicata ad un ente pubblico, non appariva del tutto corretta e legale. Dopo alcuni mesi di dibattiti perciò il Torricella fu rimborsato dei suoi 500 scudi, gli incanti di vendita furono riaperti e furono vinti, al primo tentativo, dai fratelli Marconi perchè furono i soli a presentarsi. A causa di questa strana coincidenza comunque per molto tempo a Zogno tra la popolazione rimase diffusa la sensazione che questo affare fosse stato concluso in odore di imbroglio. Marco, Alessandro, Guarisco e Giorgio Marconi de Maffeis fu Lorenzo Alessandro "illustrissimi cittadini di Bergamo" originari però di Zogno acquistarono pertanto il follo il 29 dicembre 1678 per 2.000 scudi e in seguito lo ingrandirono e potenziarono ulteriormente (8). Il mulino invece da questo istante rimase per due secoli, senza interruzione, di proprietà della Misericordia.
Rimane ora da dire qualcosa sulla cartiera. Dalla sua costruzione, di cui si dirà in altra parte, rimase di proprietà della famiglia Brembati fino al 1693 quando fu ceduta al Molena (9). Durante il secolo in esame il suo giro d'affari aumentò sempre grazie alla gestione oculata di esperti provenienti dal lago di Garda, ancora oggi rinomato per le sue cartiere, chiamati prima dal conte Francesco  e poi dal figlio Davide. Il primo gestore fu certo Pietro Golini fu Golino di Salò che si trasferì a Zogno con il figlio Francesco il quale sposò nel 1634 (10) Maria figlia di Giovan Andrea Gavazzi di Romacolo, uno dei proprietari di un mulino nella contrada Bonorè e di un follo nella contrada Acquada (11). Con la famiglia Golini i conti Brembati si misero in società per aprire un negozio di vendita della carta a Zogno e uno a Bergamo. La gestione Golini durò fino al 1660 circa allorchè Francesco per dissapori con il conte Davide abbandonò sia la cartiera che il negozio (12).
Poco dopo furono chiamati i fratelli Carlo e Francesco Sinibaldi della Riviera di Salò (13) i quali dopo alcuni anni di gestione della cartiera di Zogno si misero in proprio e fondarono una nuova cartiera ad Ambria nel 1674 (14). Fu per far fronte alla parziale concorrenza di questa cartiera che attorno al 1680 la cartiera di Zogno fu potenziata con l'aggiunta di una nuova ruota e macina per gli stracci (15). Essa produceva 25 tipi di carta e due tipi di cartone: uno per imballi e uno per scarpe!
Attorno al 1690 gli affari andavano a gonfie vele. Nel 1692 fu potenziato il negozio di vendita in Bergamo ed affidato a Lorenzo Rubis fu Pietro di Zogno. Per mantenere riforniti i magazzini di questo negozio i conti Giuseppe Maria e Francesco Brembati si accordarono con l'onnipresente Ambrogio Torricella per condurre una volta la settimana da Zogno a Bergamo una carovana di muli "carichi di balle di carta". Il costo di questo trasporto fu stabilito "in tanta biada mercantibile a prezzi correnti dell'anno della Fiera di Bergamo" (16).
Per completare quanto detto si può aggiungere una breve ma interessante descrizione della cartiera nel 1645, quando aveva 3 ruote, dalla quale si può intuire come era strutturato l'edificio e come era organizzata l'attività lavorativa (17).
"...et prima nel luocho
(locale) dove si fa la cola: un fornello di quadrelli con li orli di pietra pica (refrattaria) et dentro murata la caldara di rame col suo canone (tubo) dove si fa bolire la cola col suo coperto d'asi; una cazula per schiumar la cola; una pietra dove si mette la carta da straudare (la carta che deve essere imbevuta di colla); una mola di pietra sul cavaletto per molare i ferri.
...nei luochi dei folli: le trei rode de folli con le sue mazze grandi et argano che lavorano.
...nelle case (locali) delle tine: una tina picola con trei cerchi di ferro, un descone (tavolone) grosso con il suo torchio et la sua stanga; una tina grande con trei cerchi di ferro, due desconi, un mastello grande, il suo torchio et la sua stanga et la cassa deli strassi (stracci)". E' impossibile poi elencare in questi locali il numero di martelli piccoli e grandi, di cavalletti, scale a piuoli e sgabelli tutti di noce di vario utilizzo; gli attrezzi di ferro come mazze, punteruoli, catene di ferro, forbici e accette; i tronchi di abete per fare i perni delle ruote idrauliche e i pezzi di ricambio delle ruote stesse. 
" ...nel luocho dove si lisa (liscia) la carta: due desconi grandi et uno piccolo, il torchio con le sue stanghe con quatro cerchi di ferro, un forbice grande".
Sopra questi locali poi vi era la "casa del fattore (amministratore)" e sopra questa abitazione il "tenditore (grande solaio)" per far asciugare le pezze di carta e cartone. Infine nella cartiera lavoravano a tempo pieno 6 uomini e 8 donne quasi tutti di Zogno.


BIBLIOGRAFIA
1) Archivio di Stato di Bergamo. Fondo Notarile: Notaio Donato Simone fu Giovan Andrea di Bergamo, cartella 7921.
2) Archivio di Stato di Bergamo. Fondo Notarile: Notaio Sonzogno Giovan Battista fu Sebastiano di Zogno, cartella 4257.
3) Come nota 2) ma cartelle 4260, 4261.
4) Archivio di Stato di Bergamo. Fondo Notarile: Notaio Marconi Maffeis Maffeo fu Giuseppe di Zogno, cartella 4509, atto del 18/1/1636.
5) Come nota 2) ma cartella 4262.
6) Archivio di Stato di Bergamo. Fondo Notarile: Notaio Furietti Giovanni fu Francesco di Zogno, cartella 4831.
7) Archivio di Stato di Bergamo. Fondo Notarile: Notaio Panizzoli Francesco fu Alessandro di Zogno, cartella 4704.
8) Come nota 6) ma cartella 4832.
9) Zogno Notizie, dicembre 1995. 
10) Come nota 2) ma cartella 4258.
11) Zogno Notizie, aprile 1986.   
12) Archivio di Stato di Bergamo. Fondo Notarile: Notaio Furietti Giuseppe fu Francesco di Zogno, cartella 6262.
13) Come nota 7) ma cartella 4705.
14) Zogno Notizie, aprile 1986. 
15) Archivio di Stato di Bergamo. Fondo Notarile: Notaio Franzoni Bonaventura fu Bernardino di Zogno, cartella 6011.
16) Come nota 15) ma cartella 6012.
17) Come nota 2) ma cartella 4261.


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