Saggi Storici
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Edizioni don Giulio Gabanelli, stampa Carminati Stampatore, Almè - Zogno

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Storia della roggia Traini

(n.3, giugno 1995)
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(Nota preliminare: questo saggio storico è stato raccolto nel volume dello stesso autore “Le Rogge di Zogno”, capitolo: Roggia Traini)

In questa sezione si vedrà uno dei periodi migliori nella storia della roggia Traini sia per la stabilità delle proprietà, sia per la produttività delle industrie artigiane, sia per la nascita di opifici di nuovo genere rispetto al passato. Tale periodo riguarda la prima metà del XIX secolo ovvero l'epoca del governo austriaco.
Una data senza dubbio da ricordare è quella del 26 febbraio 1779 allorchè il signor Bernardo Traini fu Antonio di Zogno, dopo essere stato il gestore in affitto della cartiera fin dal 1772, decise di diventarne il proprietario. L'atto notarile (1) ci dice che il Traini quel giorno acquistò non solo la cartiera e la casa di abitazione posta al di sopra ma anche due orti annessi, altri terreni posti nella località "Palta piccola" e infine la segheria vicina al ponte vecchio di Zogno: il tutto a lire 26.300. Il venditore era un mediatore di Bergamo, certo Andrea Locatelli del borgo di S. Leonardo che era proprietario di questi immobili da poco tempo.
Con il rogito il Traini acquisiva inoltre i diritti fondamentali di sfruttare l'acqua del Brembo come meglio credeva e si accollava alcune servitù tra cui quella di garantire "3 canali di acqua per l'edificio di Molino e di Follo posti inferiormente alla rassica (segheria)" e l'obbligo di pagare "un livello" (oggi si direbbe interesse) del 4% annuo su vari capitali a favore di alcuni enti sociali e morali. Più esattamente questo interesse era da calcolarsi su: un capitale di lire 2.800 a favore del "Luogo Pio del Soccorso di Bergamo", un capitale di lire 2.208 a beneficio del "Consorzio del borgo di S. Lorenzo di Bergamo", un altro di lire 3.500 a beneficio del medesimo Consorzio e tre capitali rispettivamente di lire 1.316, 550 e 741 a favore della "veneranda chiesa di S. Lorenzo in Bergamo".
Questi "livelli" o interessi, della cui antica origine si scriverà in seguito, in quell'epoca costituivano una sorta di ipoteca sugli immobili che impedivano al proprietario nominale di essere considerato proprietario a titolo pieno. Ogniqualvolta un edificio o un terreno doveva essere venduto in queste condizioni era necessario verificare che il compratore era in grado di pagare questa tassa annuale a favore dell'ente o del privato interessato e se l'acquirente non si dimostrava in grado di assolvere questo obbligo qualcuno doveva garantire per lui. Se anche il garante non raccoglieva sufficienti consensi la transazione non poteva avere luogo. Se poi la compravendita poteva essere realizzata, per l'acquirente la presenza di questi interessi passivi, che per una normativa medioevale fatta propria dalla legislazione veneta potevano diventare perpetui, significava lavorare senza guadagnare nulla. Per questi motivi alcuni proprietari della cartiera che avevano preceduto di una quindicina di anni il Traini erano stati soffocati dai debiti e costretti a vendere tutto.
Perciò uno degli obiettivi che ebbe sempre in mente Bernardo Traini fu quello di poter diventare un giorno il proprietario unico e assoluto, cioè a tutti gli effetti, della cartiera sulla quale pendeva la maggior parte delle servitù sopra indicate. Egli raggiunse questo fine in modo graduale riscattando alcune di queste ipoteche personalmente, mentre era in vita, e dando istruzioni ai figli Antonio, Giovan Battista e Bernardino affinchè facessero altrettanto al più presto quando gli sarebbero succeduti. Il che avvenne definitivamente attorno al 1840 dopo che i fratelli Traini avevano accettato e riconfermato solo in parte queste servitù nel 1816 (2) e nel 1820 (3).
Questo processo di liberazione fu possibile grazie ad una gestione moderna ed oculata della cartiera. Bernardo Traini infatti incominciò con l'introdurre a cavallo tra il XVIII e il XIX secolo un nuovo strumento produttivo: il cilindro d'Olanda. Questo macchinario inventato in Olanda attorno al 1760 grazie a un rullo di metallo, dotato di dentature longitudinali che sfioravano altri rulli di pietra immersi in acqua e calce, permetteva di triturare molto bene e in fretta brandelli di stracci e di vecchi cartoni preparando una poltiglia che poteva essere poi raffinata con più calma sotto la pesante azione delle macine di pietra. Questo macchinario, mosso dall'acqua della roggia, permise di raddoppiare la produzione della carta e di migliorarne la qualità accrescendo i profitti dell'azienda.
Di questa macchina innovativa era già stata data una descrizione trattando la storia della roggia dell'Acquada (4) essendo essa usata anche nella cartiera di Ambria. Ma mentre il cilindro d'Olanda della cartiera di Ambria è andato perduto, quello della cartiera di Zogno si può osservare nei giardini del Museo della Valle a Zogno per essere stato donato a questa istituzione, ormai un pò di anni fa, dagli ultimi proprietari: i fratelli Lucca.
Un altro impulso allo sviluppo della cartiera derivò dalla convinzione e dall'intenzione del Traini, realizzata però dai figli, di vendere la segheria la quale svolgeva una discreta attività ma non poteva aspirare a diventare in quell'epoca un lavoro decisamente remunerativo. Perciò poco dopo la morte del padre i fratelli Antonio, Giovan Battista e Bernardino vendettero nel 1821 a Giovanni Ruggeri di Giuseppe di Piazza Martina, che era stato agricoltore ma che al momento si qualificava come fabbro, la segheria ed altri immobili (5). Per l'esattezza al prezzo di lire 4.353 essi cedettero la segheria, una casa adiacente all'opificio da tutti chiamata da tempo immemorabile con l'interessante nome di "La Dogana", un'altra piccola casa in Piazza Martina e un terreno nelle vicinanze detto "il Campo della Corna". Ma l'aspetto più importante sta nel fatto che con questa vendita i fratelli Traini si liberarono delle ipoteche che pendevano sulla segheria e che erano una discreta parte delle servitù acquisite dal padre nel lontano 1779.
Anche i fratelli Traini introdussero un'innovazione tecnologica. Attorno al 1850 essi sostituirono due delle tre macine antiche di pietra in serizzo ghiandone con macine di granito. La differenza tra i due tipi di pietra stava nel fatto che il serizzo ghiandone, presente anche in alta valle Brembana, ha una grana abbastanza grossa per cui l'usura finisce per creare nella superficie di contatto, dove si esercita la pressione, delle cavità o delle convessità irregolari che impedivano di sciogliere tutti i grumi presenti nella pasta vischiosa che dava origine alla carta. Al contrario il granito con la sua grana molto fine e più dura presentava sempre una superficie levigata e piana che garantiva di frantumare tutte le granulosità, anche le più piccole, trasformando la poltiglia vischiosa in un liquido e permettendo così di produrre fogli sottilissimi e di grande qualità. Questa migliore raffinazione era ottenuta inoltre accoppiando due macine tra loro nella stessa tina che garantiva una azione abrasiva più continua. Poichè il granito si lavora meglio del serizzo le macine nuove erano di maggior spessore ma più piccole di diametro cioè più tozze quindi in grado di stare diritte in piedi senza altri sostegni una volta accoppiate; al contrario quelle antiche erano più sottili di spessore ma più grandi di diametro quindi difficili da maneggiare e impossibili da muovere quando abbinate tra loro.
Le macine di epoca austriaca e una di quelle più antiche, risalenti probabilmente alla nascita della cartiera, furono donate dagli ultimi proprietari, i fratelli Lucca, al Museo di S. Lorenzo quando la cartiera cessò l'attività ed ora fanno bella mostra di sé sul sagrato della chiesa parrocchiale. Si deve sottolineare la caratteristica, non indicata espressamente nei documenti, che a vista le macine ottocentesche sembrano realizzate con il pregiato granito di Montorfano in provincia di Como.
Verso il 1850 la cartiera Traini era un'azienda assai florida che impiegava 20 dipendenti e che smerciava la carta in tutta la Lombardia. Il cuore dell'impianto produttivo era costituito da due tine, "una nuova e una vecchia", che ad ogni colata della pasta vischiosa producevano " 200 balle di carta all'incirca". Erano prodotti i seguenti tipi di carta: imperiale (la più pregiata), reale, di Lione, olandese, olandino (speciale carta per lettere), romana, velina e tre tipi di carta comune.
Con queste premesse non fu difficile per Giovan Battista, diventato unico proprietario dell'azienda, anziano, ammalato e senza eredi maschi, affittare l'impresa nel 1851 alla ditta milanese Osio, rappresentata dall'avvocato Ignazio Osio fu Giuseppe residente in Milano (6). L'Osio riuscì a strappare un contratto di affitto della durata eccezionale di 18 anni, unica in tutta la storia di questa cartiera, ad un costo però altrettanto eccezionale: lire 1.500 annue. La ditta Osio era comunque una solida impresa che già era proprietaria della cartiera di Ambria (7). Sotto la gestione Osio la cartiera Traini si sviluppò ulteriormente poichè, abbinata alla cartiera di Ambria che era specializzata in un diverso settore cartaceo, potè conquistare una significativa fetta del mercato milanese oltre a quello bergamasco.
Gli affari si svilupparono tanto bene che attorno al 1865 l'avvocato Osio potè acquistare anche la cartiera di Zogno e tutti i diritti annessi sfruttando la concomitante rinuncia dell'unica erede Traini, Paolina, all'amministrazione dei beni derivati dallo zio Giovan Battista, dal padre Bernardo e dalla zia Antonia (8). La proprietà Osio continuò poi con successo per altri anni.
Dal contratto di locazione con l'avvocato Osio si trae una descrizione dettagliata e assai bella della cartiera che merita di essere riassunta brevemente qui. L'opificio era costituito da un seminterrato e da due piani sovrastanti.
Nel seminterrato trovavano posto: tre ampie stanze in cui vi era per ciascuna un follo a 18 martelli di legno e ferro per ridurre in brandelli, con una prima passata, gli stracci e i vecchi cartoni; due stanze più piccole dette rispettivamente "della cola e della calce" in cui vi erano due caldaie di rame del diametro di metri 1,5 e dell'altezza di metri 1, ciascuna inseribile ed estraibile da un forno di mattoni refrattari; un'altra stanza dove si trovava il cilindro d'Olanda; altre due stanze dette rispettivamente "tina vecchia e tina nuova" dove oltre alle macine vi erano per ciascuna un torchio per pressare i fogli di carta e infine due ripostigli per le attrezzature. I telai dei folli, i tavoli, i torchi, le casse, i banconi, i sostegni delle caldaie e varie suppellettili erano in legno di noce.
Al piano rialzato vi era l'appartamento in cui abitava il gestore della cartiera. Era costituito da una cucina, una grande camera da letto, un corridoio, un ampio ripostiglio, un vestibolo e da tre grandi camere il cui uso è rimasto sconosciuto. Verso monte vi era un'ampia scala in legno che portava al piano superiore.
In questo piano detto "tenditore (stenditoio)" le pareti laterali avevano complessivamente 22 finestroni aperti, non vi erano pareti divisorie nel mezzo ma solo una successione di colonne di pietra e di legno che formavano 18 scomparti detti in gergo "case" all'interno dei quali con delle corde e pinze si appendevano i fogli di carta per farli asciugare. Il tetto di questo piano era anche il tetto dell'edificio ed era costituito da poderose travi di legno disposte come nella navata centrale di un'antica chiesa.    Questa descrizione si accorda bene con un'immagine della cartiera risalente al 1843 che gli autori hanno già pubblicato in un precedente scritto qualche tempo fa (9) e che qui ora viene riproposta. In questo disegno la cartiera sembra costituita da tre piani oltre al seminterrato ma quasi di certo le finestre al livello più basso sono da considerarsi come finestre del seminterrato e quindi i piani sopraelevati sono in effetti solo due come risulta dall'atto notarile.
Prima di concludere si deve sottolineare ancora una volta l'intraprendenza commerciale della famiglia Traini ricordando che, poco prima di ritirarsi dall'attività, nel 1850 i fratelli Antonio e Giovan Battista concessero a Giacomo Carminati di Zogno, associato con Bartolomeo Mazzoleni pure di Zogno, di costruire poco a valle della cartiera un nuovo opificio ad uso di tintoria e di immettere una ruota nella roggia con la condizione di non ostacolare il deflusso delle acque. Questa tintoria, come si è detto nella sezione  precedente, fu attiva per 40 anni circa e nel momento di massimo sviluppo arrivò ad avere 10 dipendenti. Questo nuovo edificio non potè essere descritto nelle mappe catastali austriache di Zogno essendo stato costruito proprio negli anni in cui esse venivano stampate e pubblicate.


BIBLIOGRAFIA
1) Archivio di Stato di Bergamo (= ASBG). Fondo Notarile: Notaio Locatelli Alessandro Antonio fu Annibale di Bergamo: cartella 11829. 
2) ASBG. Fondo Notarile: Notaio Carminati Pietro Bortolo fu Giuseppe di Bergamo, cartella 12889.
3) ASBG. Fondo Notarile: Notaio Merelli Bernardino fu Bortolo di Bergamo, cartella 12087.
4) Zogno Notizie, febbraio 1986, pag. 15.
5) ASBG. Fondo Notarile: Notaio Bonetti Bortolo Luigi fu Giandomenico di Zogno, cartella 12856, atto del 26/9/1821. 
6) ASBG. Fondo Notarile:  Notaio Rampoldi Achille fu Carlo Maria di Zogno, cartella 13211, atto del 22/12/1851.
7) Zogno Notizie, dicembre 1985, pag. 16.
8) ASBG. Fondo Notarile: Notaio Baronchelli Cesare fu Andrea di  Zogno, cartella 13665, atto del 14/4/1861.
9) Zogno Notizie, giugno 1993, pag. 20.


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