Saggi Storici
Zogno Notizie

Edizioni don Giulio Gabanelli, stampa Carminati Stampatore, Almè - Zogno

1|2|3|4|5|6|7|8|9|10|11|12|13|14|15|16|17|18|19|20|21|22|23|24|25|26|27|28|29


Storia della roggia Traini

(n.2, aprile 1995)
2/13


(Nota preliminare: questo saggio storico è stato raccolto nel volume dello stesso autore “Le Rogge di Zogno”, capitolo: Roggia Traini)

Può sembrare inverosimile ma l'acquisizione di edifici industriali nel territorio di Zogno da parte dei fratelli Paganoni non si limitò solo a quelli azionati dalla roggia Traini.
Infatti, quando ancora speravano di trasformare tali opifici in moderne fabbriche azionate elettricamente e di costruire una nuova importante segheria, il 18 febbraio 1904 (1) questi fratelli acquistarono al prezzo di svariate migliaia di lire dell'epoca anche l'edificio dei signori Alessandro e Luigia Scuri fu Simone di Zogno che comprendeva "un molino da grani e un follo con casa oggi adibito a molino ed a fabbrica di panni lani o feltri per cartiera" situato nella contrada Ambria dell'ex comune di Endenna all'inizio della roggia dell'Acquada (2).
Questo cospicuo edificio dalla lunga storia da tempo faceva da supporto alla cartiera di Ambria (3) triturando e trattando in via preliminare stracci, vecchi cartoni e scorze d'albero preparando da un lato la materia prima per la cartiera stessa e dall'altro fornendo dei pannelli assorbenti di cartone grezzo che facilitavano l'asciugatura dei fogli di carta pregiata. Questa attività tuttavia per gli Scuri non era di importanza primaria poichè la società Scuri, costituita dai fratelli Alessandro, Riccardo e Luigia, era specializzata nella macina di pietre calcaree e nella produzione di gesso e calce che essa otteneva con altri opifici sulla medesima roggia (4). Fu quindi un giuoco relativamente facile per i Paganoni acquisire anche questo particolare follo situato agli inizi degli orridi di Bracca con gli annessi diritti sulla roggia dell'Acquada.
Non sembra fuori luogo a questo punto dire che i fratelli Paganoni nel giro di pochi anni fecero una razzia di tutti o quasi gli edifici industriali del territorio di Zogno. Il termine razzia può sembrare un pò forte ma appare abbastanza appropriato se si pensa che alcuni acquisti furono ottenuti dai Paganoni attraverso varie pressioni o ricatti che giocavano sulla condizione economica non brillante delle gestioni famigliari di alcuni opifici. Queste difficoltà per altro erano dovute all'anzianità o alla malattia dei proprietari o al fatto che i figli avevano deciso di non continuare l'attività paterna e non alle scarse capacità professionali dei proprietari.
Un altro motivo che indusse i Paganoni ad "arraffare" quanto più era possibile era la consapevolezza che la sostituzione della forza idraulica con quella elettrica significava anche poter automatizzare alcune attività manuali sostituendole con strumenti meccanici di nuova concezione. Ciò avrebbe permesso di ridurre la manodopera presente in queste aziende, di abbassare i costi di produzione e di ricavare profitti ben più interessanti di prima.
Questo fenomeno di sostituzione della forza manuale dell'uomo con macchinari di vario genere sul finire del XIX secolo era già ben sviluppato in paesi come la Germania, la Francia e l'Inghilterra dove l'abbondanza di miniere di carbone aveva permesso di applicare il motore a vapore non solo nelle ferrovie ma anche nelle industrie per azionare vari tipi di impianti produttivi.
In Italia, per la mancanza di carbone e per l'elevato costo di quello straniero, ciò non era stato possibile. Tutte le industrie piccole e grandi del nord Italia erano basate su strutture produttive ancora essenzialmente antiche, quasi del tutto manuali, escludendo poche eccezioni. La scoperta dell'energia elettrica, l'invenzione del motore elettrico e soprattutto il fatto che la materia prima da cui si ricavava questa nuova forma di energia, cioè l'acqua, era abbondantissima nell'Italia settentrionale  prospettavano pertanto agli occhi degli intenditori una rivoluzione industriale. Cosa che avvenne realmente da noi tra il XIX e il XX secolo.
La Fraterna Paganoni comunque non riuscì a sfruttare appieno il vento di novità che soffiava in quel periodo negli ambienti imprenditoriali. Come spesso accade nella vita le vere difficoltà si rivelarono non quelle legate al denaro o alle complessità tecnologiche ma quelle legate alle misteriose e mutevoli intenzioni dell'uomo.
Benchè la Fraterna Paganoni fosse lanciata col vento in poppa ben presto la sua corsa e quasi frenesia verso nuovi investimenti si arrestò a causa di discordie sorte tra i nove fratelli che avevano voce in capitolo nel consiglio di amministrazione dell'azienda. I grandiosi e lungimiranti progetti dell'avvocato Giacomo Paganoni ad un certo punto non furono più condivisi da tutti i fratelli per cui la società perse alcuni di loro con le relative quote di capitali. La Fraterna Paganoni, assai ridimensionata nella forza economica, fu costretta a mutare le politiche aziendali e a puntare su obiettivi più limitati e a Zogno potè solo avviare l'elettrificazione degli opifici più semplici senza nemmeno completarla. Nel giro di pochi anni gli eredi dell'originaria Fraterna Paganoni furono costretti a vendere tutti gli opifici di Zogno e di Ambria a vari privati.
Più esattamente attorno al 1920 i Paganoni vendettero la segheria presso il ponte vecchio di Zogno, il mulino della Misericordia, l'incannatoio, la cartiera e il maglio ai fratelli Lucca e l'edificio del torchio, nel frattempo trasformato in casa di abitazione a più piani, a vari privati di Zogno. Nel 1921 inoltre essi vendettero il mulino del Capo al nonno del sig. Nino Fustinoni.
I fratelli Lucca a loro volta cedettero quasi subito la segheria a Bernardo Ruggeri e trasformarono gli altri edifici per renderli funzionali all'attività principale della cartiera. Più esattamente il maglio fu riconvertito in piccola centrale idroelettrica per alimentare la cartiera, l'incannatoio divenne un deposito o magazzeno e servì come ulteriore spazio per distendere i fogli di carta ad asciugare; il mulino della Misericordia cessò quasi subito la sua attività.
In pratica dopo la vendita di tutte le proprietà da parte dei Paganoni i soli opifici a funzionare con la roggia Traini furono la segheria presso il ponte vecchio, la cartiera, il maglio trasformato però in piccola centrale elettrica e il mulino del Capo. Tutti questi opifici non cambiarono più la proprietà se non per motivi ereditari sino alla loro definitiva chiusura. La piccola centrale elettrica e la linea aerea con i relativi tralicci che trasportavano la corrente dalla casa del maglio alla cartiera furono dismessi attorno al 1965 e tale dismissione fu vista personalmente da chi scrive. E' da sottolineare la caratteristica che dei vari opifici venduti dai Paganoni solo il mulino del Capo continuò a funzionare rigorosamente ad acqua sino alla sua chiusura ed anche oggi il proprietario, il sig. Nino Fustinoni, di tanto in tanto lascia fluire ancora un pò di acqua lungo i canali per muovere le ruote, le macine e i vari meccanismi di legno sperando così, giustamente, di prolungare la vita del suo mulino al quale è davvero molto legato.
Poco prima che intervenissero sulla scena i fratelli Paganoni la proprietà di questi edifici e le loro caratteristiche erano assai diverse.
Ad esempio la segheria era di proprietà del notaio zognese Andrea Zanchi fu Francesco ed era dotata, al di sopra dei locali adibiti ai lavori, di una casa di abitazione in cui viveva con la famiglia il gestore della segheria per conto dello Zanchi. Il mulino della Misericordia e l'incannatoio erano del cavaliere Eugenio Ginoulhiac fu Pietro, nato in Francia ma residente da tempo in Bergamo e importante industriale tessile di quella città. La cartiera apparteneva agli industriali originari della valle Seriana (Albino e Vertova) Ludovico Ruggeri fu Gaetano e fratelli Piccinini Cesare, Eugenio e Ferdinando. Il maglio apparteneva a Luigi Bortolo Rinaldi fu Paolo residente a Zogno ma originario di Brembilla. Il torchio era di Luigi Marconi fu Antonio di Zogno ed era dotato di due macine cioè due ruote e comprendeva sopra una casa di abitazione. Infine il mulino del Capo era di proprietà dei fratelli Pesenti fu Giovan Battista, dei fratelli Pesenti fu Pietro e di Margherita Fantini vedova Pesenti che agiva per conto di altri figli minori di Pietro, tutti originari di Brembilla. Le due famiglie Pesenti avevano ricevuto però il mulino da poco tempo per via ereditaria da parte rispettivamente della madre e nonna Rota Beatrice fu Pietro di Ubiale che era stata moglie di Pesenti Giovan Battista originario e residente a Brembilla.
Dagli atti notarili che certificano tali proprietà si ricavano altre importanti informazioni.
La roggia intesa come insieme di canale e di argini, formati da una striscia di terra larga circa due metri da entrambi i lati, apparteneva al proprietario della cartiera dal punto di origine sino a poco a valle del torchio, mentre da questo punto fino quasi al suo sbocco nella valle del Boèr apparteneva al proprietario del mulino del Capo.
Per questo motivo vari contadini possessori di prati compresi tra la roggia e la riva orografica destra del Brembo da tempo godevano del diritto di derivare acqua dalla roggia con canaletti per irrigare i loro fondi prativi durante l'estate "di sera per 40 ore settimanali". Questi diritti erano stati chiesti e ottenuti dietro un opportuno compenso annuo proprio e soltanto ai proprietari della cartiera e del mulino del Capo. Attorno al 1880, a partire all'incirca dalla segheria presso il ponte vecchio di Zogno sino quasi allo sbocco della roggia nella valle del Boèr, si conoscono i seguenti privati che sfruttavano tale diritto: Damiani, Marconi, Rivola, Mazzoleni, Ghisalberti, Zambelli, Burini e Pesenti (5).
Un'altra caratteristica importante da sottolineare è il fatto che l'incannatoio aveva una vita relativamente breve all'epoca cui ci si riferisce. Esso era stato ricavato dal cav. Ginoulhiac ristrutturando e ampliando notevolmente il precedente follo a tre ruote dopo averlo acquistato nel 1868 dagli eredi dei signori Zenoni (6). Questo opificio serviva ad ottenere i fili di seta dai bozzoli e a tingere di vari colori i fili stessi. All'epoca impiegava 15 persone in prevalenza donne mentre la cartiera, per fare un confronto, impiegava circa 20 uomini. L'incannatoio e il mulino della Misericordia rimasero di proprietà Ginoulhiac fino al 1896. Nell'atto di vendita all'imprenditore di Bergamo Arrigo Fouzier fu Emilio si dice che essi erano situati nella località "Palta e Salecchi" (7). 
L'incannatoio si può vedere molto bene in una vecchia e nota fotografia di Zogno che risale quasi di certo agli ultimi anni del secolo scorso. Nella medesima fotografia si osserva anche un altro edificio industriale che svolse l'attività per circa 40 anni. Esso si trova immediatamente a valle della cartiera ed era una tintoria che colorava stoffe di vario genere e in particolar modo di lana. Era di proprietà dei soci Giacomo Carminati e Bartolomeo Mazzoleni di Zogno (8) ed era azionata dalla roggia grazie ad una grande e larga ruota di ferro che non sfruttava alcun salto artificiale ma semplicemente stava immersa nella corrente d'acqua che scendeva a valle della cartiera. Al momento in cui fu scattata la vecchia fotografia di Zogno questa tintoria aveva cessato l'attività ed era abbandonata (si vede il tetto in parte sconnesso) mentre l'incannatoio risentiva i primi effetti della crisi economica dovuta all'affermarsi di un nuovo tipo di tessuto di origine vegetale e di minor costo sia della lana che della seta: il cotone.
C'è infine da sottolineare un aspetto importante. In questo periodo il proprietario di maggioranza della cartiera di Zogno, Ludovico Ruggeri di Albino, era proprietario anche della cartiera di Ambria (9). Fu lui a dare in locazione la gestione della cartiera di Zogno ad Angelo Lucca, padre dei fratelli Lucca ben noti a tutta la comunità zognese, il 15 febbraio 1897 al prezzo di lire 800 annue (10). Da quel momento la gestione Lucca, prima come semplice affittuario e poi come proprietario insieme ai figli, non cambiò più anzi migliorò sempre anche in mezzo alle turbolenti vicende legate alla società dei fratelli Paganoni.


BIBLIOGRAFIA  

1) Archivio Storico Museale della Manifattura di Valle Brembana di Zogno.
2) Questo edificio è indicato con la lettera "A" nello schema  della prima parte della storia dedicata alla roggia Acquada  (Zogno Notizie 1985).
3) La storia di questo opificio è illustrata in modo completo nella ricerca dedicata alla roggia Acquada (Zogno Notizie dicembre 1985, febbraio, aprile e giugno 1986).
4) Ulteriori dettagli sono contenuti nella ricerca indicata alla nota precedente.
5) Come esempio vedi: Archivio Notarile Distrettuale di Bergamo. Notaio Zanchi Francesco fu Andrea di Zogno: atto del 27/3/1872, repertorio n. 1432.
6) Archivio Notarile Distrettuale di Bergamo. Notaio Baronchelli Cesare fu Andrea di Zogno: atto del 20/3/1868, repertorio n. 1523. N.B.: tutti gli atti di questo notaio dall'agosto 1994 sono stati trasferiti dall'Archivio Distrettuale all'Archivio di Stato di Bergamo (detto anche Storico) per essere trascorsi più di 100 anni dall'ultimo suo rogito che risale al 1887. 
7) Archivio Notarile Distrettuale di Bergamo. Notaio Dolci Giovanni fu Luigi di Bergamo:  atto del 17/7/1896, repertorio n. 5201.
8) Archivio di Stato di Bergamo. Fondo Notarile: Notaio Rampoldi Achille fu Carlo Maria di Zogno, cartella 13211. 
9) Archivio Storico Museale della Manifattura di valle Brembana di Zogno.
10) Archivio Notarile Distrettuale di Bergamo. Notaio Venanzi Giovan Battista fu Carlo esercitante a Bergamo ma originario di Fondra: atto del 8/2/1899, repertorio n. 5190.


1 | 2 | 3 | 4 | 5 | 6 | 7 | 8 | 9 | 10 | 11 | 12 | 13