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Edizioni don Giulio Gabanelli, stampa Carminati Stampatore, Almè - Zogno

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Storia della roggia Traini

(n.3, giugno 1996)
9/13


(Nota preliminare: questo saggio storico è stato raccolto nel volume dello stesso autore “Le Rogge di Zogno”, capitolo: Roggia Traini)

Un'altra testimonianza del risveglio dell'iniziativa privata che si registrò anche a Zogno nella seconda metà del XVII secolo, dopo la Guerra dei Trent'anni, consiste nella costruzione del mulino del Capo. Prima di procedere nel racconto di questa interessante vicenda è indispensabile però ricordare quanto scrive Bortolo Belotti nella sua Storia di Zogno (1). Il Belotti sostiene, senza l'appoggio di documenti archivistici, che il mulino del Capo fu costruito attorno alla metà del XVI secolo (1550) da certo Francesco Sonzogno consigliere comunale riottoso e arringa-popolo e per ciò quasi di certo soprannominato il Capo, il quale volle questo opificio a danno del mulino della Misericordia di proprietà del Comune. Tra il Sonzogno e il Comune scoppiò allora una lite che durò vari anni e che si concluse in parità poichè il Sonzogno potè costruire il mulino ma nel contempo fu espulso dal consiglio comunale.

Ora benchè siano state fatte ricerche accurate e approfondite su questo argomento, dai numerosi documenti trovati dagli autori di questa storia nulla appare di ciò che è stato affermato dal Belotti.

Infatti Francesco Sonzogno detto il Capo visse tra il 1615 e il 1688 e non attorno al 1550 (2). Il soprannome "il Capo" che gli fu attribuito derivò non dalla sua riottosità e capacità di arringare le folle ma dal fatto che egli svolse l'attività di soldato semplice stipendiato nell'esercito veneto fino al 1670 circa quando fu promosso "Capo di cento Ordinanze" cioè capo di cento soldati (oggi si direbbe ufficiale). Solo da questo momento egli incominciò ad essere chiamato "il Capo" per ricordare l'importanza del risultato raggiunto nella sua carriera. Per la verità si deve dire che Francesco Sonzogno non passò la sua vita a combattere ma era addetto al controllo dell'ordine pubblico (oggi si direbbe ufficiale di pubblica sicurezza) che egli svolse sia alla fortezza di Bergamo che alla sede del vicariato della valle Brembana Inferiore a Zogno. E' importante osservare che Francesco svolse questo lavoro in modo continuato per oltre 35 anni e che, raggiunti i limiti di età nel 1676, chiese ed ottenne dal senato veneto di continuare la professione come aiuto volontario "col solo motivo di morire suddito obedientissimo et fedelissimo della Serenità Vostra" (3). 
Per quanto riguarda la costruzione del mulino che pure fu detto del Capo, si deve ricordare che Francesco, abitando nella contrada di S. Bernardino, già il 25 maggio 1655 aveva chiesto al comune di Zogno di poter acquistare una striscia di terra demaniale "estesa una pertica e meza, magriva et geriva nelle gierre di Zognio che confina a mezogiorno con la strada publica (Priula), a sera con la strada che va alla Capella di Santo Bernardino et a monte il compratore". Questo acquisto fu ratificato l'8 aprile 1656 con la condizione che ogniqualvolta il Brembo avesse allagato la strada pubblica il Sonzogno avrebbe dovuto permettere ai viandanti di passare sul suo terreno grazie ad un nuovo sentiero da lui appositamente tracciato (4). Questa striscia di terra era compresa tra la valletta di Capaniccioli e il sito dove sarebbe sorto il mulino ed era a monte e a contatto della strada Priula.
Il passo successivo che il Sonzogno fece fu di chiedere al conte Brembati la possibilità di usare parte dell'acqua della sua roggia il che fu concesso l'anno seguente. L'ostacolo maggiore che dovette superare però fu lo scavo di un nuovo ramo di roggia per portare l'acqua in un suo terreno posto a valle della contrada di S. Bernardino, dove intendeva costruire il mulino. Per raggiungere questo obiettivo egli avrebbe dovuto tagliare due volte la strada Priula, la prima presso la valletta di Capaniccioli per derivare il nuovo canale, la seconda a valle del mulino per scaricare di nuovo l'acqua nel ramo principale della roggia. Ciò avrebbe significato alterare in modo consistente la struttura della strada Priula costruendo due ponti sotto i quali far passare il nuovo canale. E poichè nei secoli passati la cosa pubblica era assai più rispettata di oggi, anzi era un bene quasi sacro, il Sonzogno dovette chiedere e sollecitare il permesso di fare questi interventi non solo al comune di Zogno e ai Rettori di Bergamo ma anche al senato veneto il quale fu molto sorpreso dall'audacia della richiesta e dalla novità del fatto.
Perciò prima il senato veneto e poi il "Collegio dei 20 Savi"  vollero riflettere a lungo sul problema chiedendo ai Rettori di Bergamo relazioni circostanziate sulle vere intenzioni del Sonzogno e sui danni che potevano derivare alla strada Priula che aveva un interesse militare. Solo dopo l'ennesima suplica del dicembre 1671, quando il Sonzogno era diventato "Capo di 100 Ordinanze" e quindi poteva far sentire di più il peso della sua parola, le acque si smossero anche se non molto rapidamente. Infatti il 31 gennaio 1674, dopo altri dibattiti, il senato veneto inviò a Bergamo le ducali con cui si autorizzava il Sonzogno ad avviare i lavori con la condizione però di salvaguardare in modo categorico gli interessi dello stato veneto e della comunità di Zogno (5).
Alla fine del 1674 il nuovo ramo di roggia, i due ponti sulla strada Priula e il nuovo mulino a due ruote erano completati. A riprova di ciò, se mai ce ne fosse bisogno, è opportuno ricordare che vari anni fa quando l'attuale proprietario del mulino del Capo, il sig. Nino Fustinoni, ristrutturò l'edificio vicino alle fondamenta ritrovò un mattone con incisa la data 1674. Questo mattone ora è conservato al Museo di S. Lorenzo. Prima di oggi si credeva che tale data si riferisse ad una ristrutturazione avvenuta nel passato ma che l'origine del mulino fosse più antica. Oggi invece si può dire che questo mattone testimonia proprio la prima costruzione del mulino del Capo.
I problemi per Francesco Sonzogno comunque non finirono nel 1674. Per la fretta con cui furono svolti i lavori la sistemazione della strada Priula in corrispondenza dei due ponti non fu molto buona e la chiusa realizzata sulla valletta di Capaniccioli, per derivare il nuovo canale, risultò troppo alta sicchè in occasione delle piene l'acqua della roggia alzandosi ritornava all'indietro allagando la strada pubblica verso Zogno per circa 100 metri. Infine il sentiero alternativo tra il mulino e la valletta di Capaniccioli che il Sonzogno aveva promesso di tracciare a monte della strada pubblica non fu fatto per nulla. Tutto ciò innescò un contenzioso tra il Comune e il Sonzogno che durò parecchi anni e che terminò dopo la morte dello stesso Francesco con una multa in denaro pagata dai figli Carlo Antonio e Giandomenico (6). Il mulino tuttavia fu reso subito attivo senza problemi a tal punto che nel 1678 risultava già affittato ad Ambrogio Torricella di Concorezzo che abbiamo già conosciuto e che gestì per molti anni anche il mulino della Misericordia (7). Francesco Sonzogno non svolse mai di persona il lavoro di mugnaio essendo impegnato in attività amministrative e militari.
Anche riguardo alla sua vita privata è stato possibile raccogliere numerose e interessanti notizie che si intrecciano in misura discreta con la storia del nostro paese.
Ancora il Belotti afferma, senza riferimenti archivistici, che Francesco apparteneva alla famiglia dei Sonzogno del Capo (8). Ciò non corrisponde alla realtà perchè Francesco discendeva dalla famiglia Piceni de Sonzogno che fu se non una delle più importanti di certo una delle più antiche delle famiglie Sonzogno. Il nonno di Francesco infatti si chiamava Pietro Piceni o Piceno de Sonzogno (forse per la bassa statura di qualche avo). Era originario di Camissinone e nel 1589 ricevette per investitura oltre 40 pezze di terra e due case dai conti Tassis residenti a Bergamo ma aventi una dimora anche a Zogno (9). Questi terreni erano distribuiti tra le contrade Camissinone e Carubbo. Quando Pietro morì al figlio Lorenzo toccò quasi per intero la vasta piana di Carubbo con vari prati "posti sotto li Corni" mentre ai figli Gianpietro e Giovanni toccarono altri terreni a Carubbo e a Camissinone. Tra gli immobili di Camissinone c'era anche "la casa del freggio" cioè la nota casa recante lo stemma dei Sonzogno. 
Lorenzo, che in tutti gli atti notarili è sempre indicato come Lorenzo Piceni de Sonzogno, durante la sua vita acquistò altri terreni tra cui la vasta piana del Ronco in Inzogno (10), alcuni prati nel centro di Zogno vicini alla roggia Traini e altri presso la chiesa di S. Maria (11). Quando Lorenzo morì attorno al 1640, Francesco ereditò quasi tutti gli immobili del padre poichè i suoi fratelli Pietro e Domenico se ne erano andati a Venezia a fare i mercanti all'ingrosso rispettivamente di biade e di stoffe, entrambi con buoni risultati (12). 
Benchè rimasto a Zogno anche Francesco ebbe una vita movimentata. L'aver abbracciato la carriera militare infatti lo portò di frequente fuori dalla provincia di Bergamo ma ciò non gli impedì di sposarsi due volte: dapprima con Giacoma Carminati di Catremerio e poi con la vedova Maria Musitelli di Zogno dalle quali ebbe in totale 13 figli che risultavano ancora tutti viventi nel 1679. Nel 1650 Francesco contribuì in modo determinante a catturare due "assassinii di strada" certi Marco Lanfranchi detto Scartino di Sorisole e Paolo Galetto di Brescia che furono colti in fragrante da testimoni presso la valle del Lavello al confine tra i comuni di Zogno e S. Pellegrino. I due banditi furono impiccati pochi giorni dopo la cattura sulla piazza principale di Bergamo in Città Alta (13). Francesco svolse anche per un breve periodo la funzione di vicesindaco di Zogno mentre fece parte per molti anni della "Scola del Crocifisso eretta nella parrocchiale". La sua attività preferita però fu l'amministrazione della cospicua eredità paterna che egli incrementò con altri acquisti.
Poco dopo il 1670 infatti oltre ad aver costruito il mulino egli risultava proprietario di tutte le piane antistanti le contrade Cornelle e S. Bernardino, del piano con la stalla detto Ronchel in Inzogno e della vasta conca e della casa dette la Foppa a monte della contrada Capaniccioli. Possedeva una casa e dei terreni attorno e davanti alla vecchia chiesetta del Carmine e tutti i fondi prativi e la casa che costituivano la contrada detta Sangueno per complessive 50 pertiche. Aveva inoltre due case a Zogno e una a Tiolo. La sua residenza era una grande casa posta a S. Bernardino dotata di un brolo che occupava tutta la piana antistante di 20 pertiche, in parte ereditata dal padre e in parte da lui ampliata. Conservò inoltre numerosi fondi prativi e due case a Carubbo affittate per più generazioni ad una famiglia Rinaldi.
Fino al 1675 negli atti notarili egli viene sempre indicato come Francesco fu Lorenzo Piceni de Sonzogno mentre dopo tale data è spesso indicato con la qualifica militare cioè "Francesco fu Lorenzo Sonzogno Capo di 100 soldati dell'Ordinanze". Quando morì lasciò un testamento lunghissimo in cui oltre a disporre in modo meticoloso quali beni immobili, divisi o indivisi, toccavano ai vari figli lasciò svariati e consistenti capitali su cui dovevano maturare degli interessi a favore della Chiesa Parrocchiale di Zogno e di tutte le Scuole o Congregazioni in essa presenti. Altri  interessi toccarono al convento e alla chiesa di S. Maria, al convento di Romacolo e alle chiesette della Foppa, del Carmine e di S. Bernardino. Inoltre impose ai figli Carlo Antonio e Giandomenico di offrire per sempre "mezo peso d'olio d'olivo l'anno" per le lucerne della chiesetta del Carmine e "tuto il legname e la calzina (calce)" per il rifacimento del tetto della "Capella di Santo Bernardino quando la Deputazione di essa Capella la volesse accomodar". In particolare impose agli stessi figli e ai loro eredi di conservare per sempre in casa un calice e una patena d'argento insieme ad un messale "fatti fare a spese di esso testatore in Venetia" con la condizione però di permettere sempre a tutti i religiosi di usarli nella celebrazione delle messe sia nella chiesetta di S. Bernardino che in quella del Carmine. E' impossibile poi elencare il numero di messe che egli dispose di celebrare a suffragio della sua anima in tutte le chiese e chiesette citate. Infine egli impose ai medesimi figli, cui aveva lasciato il mulino, di distribuire nel giorno dei morti "meza soma di miglio et melgone misturati et resi (trasformati) in pane cotto" a tutti i poveri che chiedessero l'elemosina e ciò "finchè l'edeficio da mulino sarà andante" (14).
Per concludere vi è da dire qualcosa anche sui figli di Francesco Sonzogno poichè anch'essi ebbero una vita degna di qualche nota. Il figlio maggiore Lorenzo potè studiare e divenire esperto di chimica e farmaceutica e andò a fare il farmacista con successo nell'isola di Corsica. Il figlio Pietro divenne commerciante di stoffe con due negozi a Venezia e a Capo d'Istria con buon successo. Giovan Battista si fece sacerdote e fu per molti anni parroco assai emerito di Stabello (15). Alla sua morte lasciò in eredità oltre a vari beni quali mobili di legno pregiato, stoffe di Fiandra e suppellettili in argento e peltro una cospicua biblioteca in cui erano compresi non solo libri di orazioni, vite di santi e saggi sulla dottrina cristiana ma anche opere di letteratura e poesia latina e greca e scritti vari di argomento tecnico e scientifico. Doveva essere di certo un sacerdote di grande cultura e sensibilità umana.
Le figlie Paola Antonia e Maria Giacoma divennero mogli rispettive del notaio Flaminio Marconi di Zogno e del notaio Alessandro Algarotti che viveva nella contrada Lalio di Poscante. Entrambi i notai sono stati citati in parti precedenti di questa storia così come è già stato detto che il figlio Giandomenico attorno al 1710 lasciò S. Bernardino per risiedere quasi stabilmente a Venezia. 
L'unico figlio che rimase a Zogno e che si considerò sempre il vero erede e continuatore delle tradizioni della famiglia di Francesco Sonzogno detto il Capo fu Carlo Antonio che nel 1690, dopo la morte del padre, si volle dividere dal fratello Giandomenico non correndo tra essi buon sangue essendo fratelli di padre ma non di madre. Carlo Antonio ottenne la metà rivolta verso est della grande casa paterna in S. Bernardino e metà del vasto brolo antistante. L'altra metà toccò a Giandomenico (16). Nella propria metà Carlo Antonio fece aprire una nuova porta e fece scolpire nella volta dell'ingresso il simbolo dei Sonzogno, cioè la cagna rampante con il giglio di Francia, e la data 1690. Egli infatti era l'unico a ricordarsi che il bisnonno Pietro era stato proprietario nella contrada di Camissinone della "casa del freggio" recante lo stemma dei Sonzogno. Poichè nel frattempo quella casa era stata venduta a un Gariboldi di Zogno (17) Carlo Antonio volle riprodurre quel simbolo sulla propria abitazione per ricordare a tutti l'antica e signorile origine della propria famiglia.
Lo stemma dei Sonzogno di S. Bernardino in tempi successivi fu strappato e usato purtroppo come gradino sempre all'interno della metà di quella casa dove ancora oggi si trova, abbandonato e dimenticato. Speriamo che le ricche vicende storiche che stanno dietro a questa pietra scolpita siano per essa garanzia di maggiore considerazione e di salvaguardia. 


BIBLIOGRAFIA
1) Bortolo Belotti: Storia di Zogno e di alcune terre vicine. Ed. Orobiche, Bergamo 1942; pag. 89 e 90.
2) Archivio di Stato di Bergamo. Fondo Notarile: Notaio Sonzogno Giovan Battista fu Sebastiano di Zogno, cartella 4256. Notaio Lanfranco Donato fu Simone di Bergamo, cartella 8073.
3) Archivio di Stato di Venezia. Fondo Senato Terra: Filza anno 1679, mese di luglio.
4) Archivio di Stato di Bergamo. Fondo Notarile: Notaio Marconi Maffeis Giuseppe fu Orazio di Zogno, cartella 4364.
5) Biblioteca Civica Bergamasca A. Maj. Fondo Manoscritti: Archivio dei Rettori, Cancelleria Pretoria, cartella 338, documento del 9/12/1676.
6) Archivio di Stato di Bergamo. Fondo Notarile: Notaio Algarotti Alessandro fu Giacomo di Poscante, cartella 5606, atto del 11/12/1692.
7) Archivio di Stato di Bergamo. Fondo Notarile: Notaio Panizzoli Francesco fu Alessandro di Zogno, cartella 4707, rubrica, atto n. 75. Inoltre vedi Zogno Notizie, febbraio 1996.
8) Come nota 1), ma pag. 247.
9) Archivio di Stato di Bergamo. Fondo Notarile: Notaio Cortinovis Alessandro fu Giacomo di Costa Serina, cartella 4119, atto del 13/6/1589.
10) Archivio di Stato di Bergamo. Fondo Notarile: Notaio Cattaneo Giovan Giacomo fu Giovan Pietro di Zogno, cartella 3175. 
11) Archivio di Stato di Bergamo. Fondo Notarile: Notaio Sonzogno Giovan Battista fu Sebastiano di Zogno, cartella 4252.
12) Come nota 11) ma cartelle 4256, 4257, 4258, 4260, 4261.
13) Come nota 11) ma cartella 4263.
14) Archivio di Stato di Bergamo. Fondo Notarile: Notaio Lanfranco Donato fu Simone di Bergamo, cartelle 8071, 8073: il testamento del 16/11/1683 fu aperto il 23/4/1688  dopo la morte. Notaio Isabelli Achille fu Camillo di Bergamo, cartella 4307.
15) Come nota 6) ma cartelle 5606, 5607.
16) Archivio di Stato di Bergamo. Fondo Notarile: Notaio Coronini de Locatelli Giovan Giuseppe fu Antonio di Berbenno (Valle Imagna), cartella 5656, atto del 17/4/1690. 
17) Come nota 11) ma cartella 4258, atto del 8/9/1634.


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