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Edizioni don Giulio Gabanelli, stampa Carminati Stampatore, Almè - Zogno

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Immagini inedite della roggia Traini

(n.2, aprile 1993)

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Non molto tempo fa durante una ricerca nell'archivio storico comunale di Zogno siamo letteralmente inciampati in alcuni documenti che descrivevano un'accesa controversia tra due privati cittadini utilizzatori della roggia Traini.
Fin dall'inizio è apparso evidente che la vicenda in sè non costituiva nulla di eccezionale essendo uno dei tanti esempi dei contrasti che sorgevano in passato tra i componenti del consorzio che sfruttava in vari modi l'acqua di questa roggia. Sfogliando le pagine tuttavia il problema ha assunto ben presto una certa importanza e l'emozione è stata grande quando si è scoperto tra gli scritti un bellissimo disegno in tre parti che illustrava in modo grafico e con estrema precisione i termini della questione.
Mentre la controversia per il suo ambito molto ristretto, quasi personale, è rimasta a livello di cronaca e non è riuscita ad assurgere al rango di fatto storico, il disegno che l'accompagna si impone all'attenzione degli esperti e degli appassionati per l'abilità del disegnatore, per il rigore con cui sono rappresentati vari particolari di natura tecnico-scientifica e per la ricca colorazione che sembra avere uno scopo quasi didattico oltre che illustrativo (foto 2, 3, 4). Ci è sembrato perciò interessante anticipare alcune notizie che fanno parte di una ricerca storica, non ancora terminata, riguardante la roggia Traini.
Gli antefatti sono abbastanza semplici. All'inizio del 1843 un certo Giovanni Marconi fu Carlo, discendente dell'antica famiglia Marconi di Zogno e proprietario del maglio che si trovava collocato nella casa dove oggi ha sede la pasticceria "Le Palme" del sig. Palmiro Zanchi in  via Cesare Battisti, progettò di ampliare le proprie attività impiantando due mulini in un ampio locale seminterrato disposto nella zona ovest dell'edificio. Questo locale aveva la caratteristica, oggi singolare ma a quei tempi normale, di essere uno scantinato di proprietà Marconi sovrastato però in parte da un edificio di proprietà di un certo Paolo Pesenti detto Ravini (Raì).
Non appena il Pesenti seppe dell'iniziativa corse in municipio a presentare una protesta ufficiale in quanto le vibrazioni prodotte dai mulini ideati dal Marconi insieme agli spruzzi d'acqua che avrebbero bagnato in continuazione le fondamenta avrebbero minacciato la stabilità della sua casa. Nello stesso momento gli altri usufruttuari della roggia fecero notare per scritto al consiglio comunale di Zogno che il Marconi non poteva disporre nel suo edificio, già contenente un maglio, dei mulini perchè ciò contraddiceva l'antico documento di fondazione del maglio stesso. In questo documento, che era un atto del notaio Carlo Falchetti fu Virgilio datato 3 novembre 1661 (1), i conti Brembati concedevano a un certo Pasino Pasinelli di costruire l'edificio del maglio (nel 1843 di proprietà Marconi) con l'impegno tuttavia che in quell'edificio non si sarebbe potuto costruire per sempre né mulini, nè folli, nè cartiere, nè segherie per non danneggiare gli opifici già esistenti.
Per inciso nel 1843 gli altri opifici che utilizzavano la roggia erano: una cartiera di proprietà di Antonio Traini fu Bernardo; una segheria presso il ponte vecchio di Zogno di Giovanni Ruggeri fu Giuseppe; un follo dei fratelli Zenoni; due mulini della Misericordia di Zogno affittati ai fratelli Lazzaroni; un mulino detto il mulino del Capo di Giovan Battista Rota fu Pietro, l'unico ancora esistente oggi in via Locatelli. 
Il sig. Marconi non si scoraggiò di fronte a tanti oppositori e in pochi mesi con grande abilità riuscì a superare le resistenze di tutti, specie dei signori Traini e Pesenti che, a causa di interessi diretti, apparivano i più tenaci. Facendo notare che il vincolo alla costruzione di altri opifici risaliva a due secoli addietro, che pochi anni prima la roggia Traini era stata potenziata spostando la presa dell'acqua un pò più a monte per raccogliere più acqua dal Brembo e per aumentare il dislivello di caduta, garantendo che dopo l'uso per i propri mulini l'acqua sarebbe stata riversata tutta di nuovo nella roggia per non sottrarla agli opifici a valle, nell'agosto del 1843 il Marconi ottenne la concessione dal comune. Gli bastarono pochi altri mesi per addivenire ad un ragionevole compromesso economico con il Traini e soprattutto con il Pesenti.
Il disegno di cui si è fatto cenno accompagnava la richiesta formale del Marconi al consiglio comunale di Zogno per installare nella propria casa i due nuovi mulini (1). In esso si notano tre viste dell'edificio contenente il maglio: una pianta generale completa di molti dettagli, una sezione trasversale in corrispondenza dei mulini progettati e un prospetto laterale dalla parte della roggia.
Nella pianta spicca senza dubbio il maglio con un potente percussore a forma di martello mosso da una ruota il cui perno era dotato di un eccentrico. Di fronte al maglio vi era una mola costituita da una ruota di pietra abrasiva assai più grande di una macina di un mulino. Le considerevoli dimensioni di questa pietra se da un lato impedivano una grande velocità dall'altro, quando messa in moto, assicuravano stabilità alla rotazione e capacità di resistere anche agli attriti più forti durante la limatura delle scorie ferrose. Non a caso la ruota spinta dall'acqua trasmetteva il movimento alla mola attraverso un complicato meccanismo di ingranaggi di legno che diminuivano il numero dei giri al secondo (demoltiplicatore).
Non lontano dalla mola vi era la fornace per scaldare i pani di ferro che dovevano essere lavorati. Il fuoco risulta alimentato con un semplice ma geniale meccanismo (ventilatore) inventato pochissimi decenni prima. Facendo cadere una parte dell'acqua della roggia dentro un tubo di legno o di ferro si dava al fiotto d'acqua una forma perfettamente cilindrica con la superficie esterna costituita da una pellicola molto regolare e liscia. Facendo scorrere questo fiotto vicinissimo ad una fessura praticata ad un'estremità chiusa di un secondo tubo, sempre di legno o di ferro, che giungeva con l'altra estremità aperta dentro la fornace, con il risucchio generatosi si creava una corrente d'aria che alimentava le fiamme. La corrente d'aria era variabile regolando a mano tale fessura.
Prima di questa invenzione il solo modo di sollecitare la fiamma era quello di ricorrere a un mantice manuale oppure ad un mantice mosso, con ritmo alterno, da un eccentrico posto sull'asse di una ruota spinta dall'acqua. Questo metodo comunque era o assai faticoso per l'uomo o molto costoso nella manutenzione perché richiedeva l'uso di un'apposita ruota idraulica, l'installazione di un complesso telaio di sostegno nonchè una laboriosa fattura del mantice stesso, essendo in genere di pelle di bovino.
Accanto al locale in cui erano situate tutte queste apparecchiature "dal lato della Strada Reggia" (cioè verso l'attuale via Cesare Battisti) esisteva un'altro locale "ad uso di carbonile" nel quale i carri periodicamente scaricavano il carbone sfruttando una feritoia che era posta nel muro dell'edificio all'altezza della sede stradale.
Nel locale più a ovest si possono notare infine i due mulini la cui struttura si comprende meglio dalla sezione trasversale. In quest'altro disegno infatti si può vedere il basamento fisso del mulino sopra il quale ruotava, in modo orizzontale, la macina vera e propria di pietra (palmento) sovrastata da un imbuto di legno nel quale si poneva il granoturco o il frumento da macinare. E' abbastanza importante osservare che questo mulino rassomiglia molto al cosidetto mulino del Capo di proprietà del sig. Fustinoni, situato in via Locatelli, unico esempio di macchina idraulica di tal genere ancora oggi funzionante in valle Brembana (2).
Nella rappresentazione in pianta, all'esterno dell'edificio, si vede la conformazione della roggia e le sagome di quattro canali che con un sistema a paratie portano l'acqua ad altrettante ruote dotate di pale. Nella parte inferiore del disegno si intravede anche il ventilatore.
La struttura dei canali e la tecnica con cui la forza dell'acqua, che cadeva da circa quattro metri, veniva trasformata in movimento rotatorio si comprende meglio tuttavia dal prospetto laterale. In questo disegno si vede che i canali non facevano cadere l'acqua in maniera libera sopra le pale dall'alto, come avveniva nei secoli precedenti, ma avvolgevano in buona misura le ruote stesse nella parte inferiore. Questa soluzione, suggerita dai primi seri studi di idraulica, impediva che nell'urto tra l'acqua e le pale si formassero degli spruzzi o dei fiotti che, rimbalzando di lato, non contribuissero alla spinta. Costringendo dunque l'acqua a stare sempre tra le pale della ruota e le pareti del canale nulla andava sprecato ed era possibile sfruttare tutto il peso dell'acqua in caduta ottenendo una maggiore forza e un maggiore rendimento. In tal modo si introduceva, anche se in maniera imperfetta, il principio della condotta forzata che diventerà una regola fondamentale, dalla fine del secolo scorso ai giorni nostri, nella costruzione delle centrali idroelettriche.
Come si può constatare alcune tra le più importanti innovazioni tecnico-scientifiche della prima metà del secolo scorso, promosse dalla cultura razionalista dell'Illuminismo, erano penetrate abbastanza presto anche in valle Brembana.


BIBLIOGRAFIA
1) Archivio Storico Comunale di Zogno.  Fondo: Lavori Pubblici, titolo 10, cartella 90. 
2) Durante la fase di stampa del presente articolo ci è giunta la notizia che questo mulino, pur esistendo ancora, ha cessato l'attività alla fine del 1992.


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