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Edizioni don Giulio Gabanelli, stampa Carminati Stampatore, Almè - Zogno

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L'inverno e la maschera

(n. 1, febbraio 1992)


E' il titolo del recentissimo libro scritto dall'amico prof. Claudio Gotti di Stabello e pubblicato dal Sistema Bibliotecario Urbano di Bergamo. E' una raccolta delle testimonianze dei riti e delle espressioni teatrali popolari della valle Brembana agli inizi di questo secolo da ritenersi tramandate ragionevolmente immutate durante i tre o quattro secoli precedenti e oggi purtroppo scomparse.
Queste testimonianze riguardano le manifestazioni popolari religiose e civili che si svolgevano soprattutto nel semestre invernale. In questo periodo dell'anno infatti le attività agricole subivano una lunga pausa e permettevano anche al semplice contadino di abbandonarsi a qualche riflessione e di esprimersi attraverso queste manifestazioni, sostanzialmente giocose, sul senso della vita e sulla fatica di vivere, in altre parole sulla propria difficile condizione umana.
Lo spunto per esprimere questi pensieri nasceva spesso da feste religiose che scandivano significativamente, e non a caso, il progredire e il terminare della cattiva stagione. Vi erano pertanto manifestazioni associate alla celebrazione dei morti (che rammentavano in modo un pò pagano la morte della natura all'inizio dell'inverno); alla festa di S. Lucia (forse l'unico giorno di spensieratezza piena per il piccolo contadino che riceveva poveri doni senza corrispondere fatica); al Santo Natale (quando si percepiva il primo timido allungamento del giorno cioè la presenza del sole della futura stagione o anno nuovo).
Alcune manifestazioni erano associate all'Epifania; altre alla festa di S. Antonio Abate (protettore degli animali); altre, numerosissime, al Carnevale il cui inizio effettivo è sempre stato indefinito e indefinibile ma il cui termine era segnato con certezza da un'altra significativa celebrazione religiosa: il giorno delle ceneri (questo poneva termine ad ogni allegria dando l'avvio alla Quaresima e indirettamente invitava gli uomini a prepararsi di nuovo alle fatiche per la stagione estiva in arrivo).
Non è compito di questo scritto riportare gli esempi di tanti proverbi antichi, delle scenette popolari svolte all'interno delle stalle o in mezzo alle contrade o nelle case di alcune persone alle quali si voleva indirizzare un messaggio sia pure in tono burlesco, oppure delle forme teatrali più compiute come le mascherate attraverso le quali si esprimeva la cultura semplice ma schietta e vivacissima del mondo contadino. L'autore tra l'altro mostra come lo stesso rito a volte veniva interpretato e quindi personalizzato in funzione delle caratteristiche sociali tipiche di ogni paese della valle Brembana. Si esorta pertanto il lettore a fare riferimento al libro per approfondire questi ed altri particolari.
Sembra più importante segnalare qui alcuni aspetti tecnici e alcuni metodi veramente originali di questa ricerca.
Innanzitutto le testimonianze raccolte e ritrascritte rigorosamente nel dialetto bergamasco e nelle sue varianti che si sono imposte nei differenti paesi. Questo fatto se da un lato rende la lettura meno facile (ogni brano in dialetto è seguito però dalla traduzione in italiano) dall'altro dà al racconto un'immediatezza e una vivacità non comuni. Gli anziani che raccontano le feste popolari viste e vissute in prima persona, durante il racconto ridiventano di nuovo attori come 60 o 70 anni prima.
Leggendo questo libro non si coglie la sensazione dello svilupparsi della storia di una sola persona o di un solo gruppo famigliare, ma si percepisce lo svilupparsi di tante storie, di tante persone diversissime e lontanissime, di tante avventure come sfaccettature molteplici e coloratissime dello stesso vasto mondo. Il lettore non ha l'impressione di leggere un libro ma un canovaccio teatrale e di essere partecipe della grande rappresentazione scenica che si sta svolgendo attorno a lui. E' di certo la coralità dei personaggi e delle presenze di ogni genere una caratteristica di spicco di questo scritto.
Un altro aspetto interessante è la miriade di oggetti e strumenti semplici, poveri ma funzionali ed accostati in modo armonioso che contribuiscono a costruire la scenografia e che a volte sono l'argomento in discussione nella rappresentazione scenica: campanacci, pezzi di spago, sedie rotte, stracci, abiti smessi, cenere per dipingere e realizzare una maschera direttamente sulla pelle, scope, vecchie pentole, tric trac di legno, catene di ferro, valigie e borse, peluria delle pannocchie di grano per imitare la barba di un adulto, attrezzi agricoli quali falce, martello, accetta, scure o di altri antichi mestieri quali lanterne e picconi da minatore, badili e carriole da muratore oppure bastoni e cappelli da mandriani.
Questi elementi ed altri che identificano immediatamente la cultura materiale del mondo antico vengono sfruttati, secondo le circostanze, in modo veramente ingegnoso per esprimere in maniera più concreta un pensiero, per dare più forza ad un discorso con un  gesto legato all'uso di uno di questi oggetti o per evocare qualche idea di cui l'oggetto può essere un simbolo.
Tutti questi strumenti nell'ambito delle scenette improvvisamente si animano e recitano una loro parte ben precisa, non trascurabile, al pari degli attori in carne ed ossa. Certamente questi oggetti primordiali, strani e a volte incomprensibili alla sensibilità moderna contribuiscono non poco ad evocare un'atmosfera di mistero e di magia.
E forse è proprio questa la caratteristica più saliente del libro: la capacità di far vivere nei racconti tutti gli elementi della natura. Accanto all'uomo gli animali, gli alberi, i fiori, gli oggetti e persino una  pietra hanno per così dire una loro personalità, un ruolo attivo da svolgere. L'uomo non è visto come un qualcosa di diverso, di contrapposto all'ambiente naturale ma come uno dei tanti componenti, senza dubbio importante ma mai prevaricatore, della natura. Questo immedesimarsi dell'uomo con la natura che fa concepire l'Universo come un tutt'uno inscindibile, equilibrato e armonioso è tipico della cultura del mondo contadino.
Claudio Gotti dimostra di conoscere e vivere queste problematiche dal di dentro, grazie in parte anche alle origini della sua famiglia, e forse, inconsapevolmente, il suo scritto vuole essere un monito al lettore moderno di adottare un pò del buon senso, della serenità d'animo fondata su principi di vita semplici e dignitosi, del rispetto e della ragionevolezza, in altre parole dell'umanità del mondo antico che la società attuale, che tutto distrugge e appiattisce come un rullo compressore, ha purtroppo perso.