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Edizioni don Giulio Gabanelli, stampa Carminati Stampatore, Almè - Zogno

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La leggenda si fa storia

(n. 3, giugno 1991)


Nello scorso mese di aprile il nostro parroco Don Giulio Gabanelli ha ricuperato a favore del museo della Vicaria di S. Lorenzo di Zogno, sottraendola a sicura perdita o distruzione, una singolare ed antica scultura in legno raffigurante un animale mostruoso. Il corpo di tale animale presenta infatti in parte la forma di serpente, in parte di drago alato con la testa circondata da una folta criniera e dotata di una cresta sulla nuca, in parte di cane poichè il muso e il naso hanno sembianze canine. Completano il tutto due zampe anteriori da grifone e due corna ben evidenti sulla fronte che individuano senza dubbi l'identità del mostro.
La scultura rappresenta infatti una figura demoniaca componente quasi certa della raffigurazione di una delle tentazioni di S. Antonio Abate. Il manufatto proviene dall'antico oratorio di S. Antonio Abbandonato, il paesetto sui monti a cavallo tra Brembilla e Zogno. Questo oratorio fu trasformato in chiesa parrocchiale solo nel 1887 divenendo una cappella laterale della chiesa stessa come si può constatare ancora oggi (1).
Come l'antica chiesetta anche la recente parrocchiale è dedicata a S. Antonio Abate il monaco asceta che visse in Egitto a cavallo tra il 200 e il 300 dopo Cristo e che con il suo esempio di rinuncia totale alle ambizioni e alle bramosie terrene costituì un supporto fondamentale alla diffusione del Cristianesimo nell'epoca della decadenza dell'Impero Romano.
Narra la storiografia cristiana che questo santo, interpretando con rigore assoluto i principi della nascente religione cristiana, visse nel deserto in solitudine, accompagnato solo da qualche animale domestico, in estrema povertà, dedito alla preghiera e alla meditazione e sottoponendosi ad ogni sorta di mortificazioni della carne, talora durissime, per ricercare una comunione più intensa con Dio ed innalzarsi verso la santità. Durante la sua esistenza egli combattè e vinse in modo esemplare le tentazioni della vita terrena rappresentate sotto forma di una varietà quasi infinita di animali mostruosi, simboli del peccato cioè del demonio. Per contrasto, dopo la sua morte, egli divenne col tempo il protettore di tutti gli animali buoni e reali, non fantasiosi, amici dell'uomo e utili alla sua vita.
Questo santo fu particolarmente venerato e preso ad esempio nel Medioevo quando la pratica religiosa consisteva in modo esclusivo, o quasi, nel rispetto assoluto dei comandamenti divini e quindi nella capacità (virtù) di superare tutti gli ostacoli che distoglievano la persona dall'assolvimento dei propri doveri.
Nel Rinascimento allorchè i costumi di vita si rilassarono la figura di questo santo si stemperò, tuttavia rimasero vive nell'immaginazione di tutti i popoli cristiani le leggende, e forse i miti, dei mostri vinti da S. Antonio Abate.
I più celebri pittori fiamminghi, prima e meglio di altri, tra il 1450 e il 1550 si inspirarono alle vicende della vita di questo santo dipingendo quadri diventati capolavori. In questi dipinti tuttavia ciò che è straordinario non è l'ispirazione divina del santo intento a combattere il demonio ma l'aspetto orribile del mostro espresso con una ricchezza di dettagli e di immagini fantasiose a dir poco spettacolari (2).
E' risaputo in modo generale che le forme animalesche con cui sono descritte le figure demoniache in questi dipinti rivelano la conoscenza da parte di questi pittori di antiche leggende popolari nordiche ambientate in paesaggi dalla natura selvaggia, possente, misteriosa e cupa, fonte di timori di vario genere per l'uomo. Questi pittori dunque hanno saputo fondere mirabilmente il timore sacro (il peccato) e quello profano (la malattia e la morte). 
La nostra scultura lignea, benchè a livelli assai più modesti, risente di queste influenze. E' tutta dipinta di nero con macchie di colore verde e rosso cupo, con sottili e rare striature bianche che esaltano l'aspetto rutilante e mostruoso della creatura. Gli occhi neri e vuoti e la grande bocca spalancata, priva di denti solo perchè andati perduti, completano l'aspetto infernale. Sono proprio queste caratteristiche abbinate allo stile scultoreo e al tipo di legno usato (castagno) a far risalire questo manufatto con buona approssimazione alla fine del 1500 o, al più, ai primi anni del 1600 ed a certificare la sua origine locale.
Certamente le sembianze di questa figura devono aver alimentato nel passato tra la popolazione di Zogno e delle sue contrade vaste fantasie sull'esistenza effettiva di mostri infernali, il che deve aver contribuito non poco a trasmettere il senso dell'obbedienza religiosa, ma non solo quella, dapprima tra i bambini e poi tra gli adulti. Tuttavia a uno sguardo più attento questa figura demoniaca non appare poi tanto terrificante.
Come nelle pitture fiamminghe il senso dell'orribile è parzialmente mitigato e superato dal senso dello spettacolo. Il grande muso della nostra scultura, ricco di particolari coloriti, di forme imprevedibili e strane, in parte incomprensibili, crea un gioco di immagini e sensazioni piacevoli. Più si guarda questo faccione (il termine muso forse è improprio perchè non mancano tratti umani) e più si ha l'impressione di vedere una maschera carnevalesca. Sembra quasi che l'artista-falegname abbia scolpito questo mostro senza subirne il terrore, ma giocando quasi con esso, tradendo un certo grado di confidenza, come se lo conoscesse da lungo tempo. Questa conoscenza derivava probabilmente, come per la cultura fiamminga, oltre che dal contatto quotidiano con la natura anche da leggende locali miracolosamente giunte sino a noi che descrivevano i monti della valle Brembana popolati da innumerevoli animali mostruosi.
Tra queste una in particolare merita di essere citata perché coinvolge, non a caso, i luoghi certi di origine della scultura in esame. La leggenda è quella del serpente dalla boccia d'oro che da S. Antonio Abbandonato e dalle cime della Corna Rossa di notte volava, tenendo in bocca una boccia d'oro, sopra la conca di Zogno e poi verso il Canto Alto ritornando alla Corna Rossa dopo essersi fermato a bere all'antica fonte del Boèr, presso l'Inzogno. Chiunque avesse tentato di catturare il serpente per impossessarsi del gioiello sarebbe rimasto pietrificato all'istante.
Serpente volante dice la leggenda che usa un linguaggio popolare, semplice e immediato; drago alato dice lo studioso che usa un linguaggio meno fantasioso ma più tecnico ed appropriato. Del resto è accertato che già da tempi immemorabili presso popolazioni delle alpi francesi e svizzere si narra di serpenti o draghi volanti con una pietra preziosa in fronte che di notte volavano tra le cime dei monti e di giorno si rintanavano nelle grotte naturali delle montagne (3). 
Non sembra dunque una forzatura affermare che vi è uno stretto legame figurativo e simbolico tra una leggenda popolare le cui origini si perdono nella notte dei tempi e un racconto sacro che, pur arricchito dall'immaginazione nel corso dei secoli, si riferisce ad un fatto realmente accaduto.
L'eccezionale forza d'animo di S. Antonio Abate non poteva essere meglio rappresentata e spiegata a livello popolare che riesumando concetti elementari e tipici della cultura popolare cioè ricorrendo a figure leggendarie e mitologiche. I mostri mitologici infatti, al di là delle mille interpretazioni dettagliate che possono suggerire, a volte diversissime da studioso a studioso, hanno tuttavia presso tutti i popoli della terra e tutte le culture arcaiche un solo profondo significato: rappresentare le difficoltà, a volte eccezionali, che l'uomo a livello singolo o di gruppo sociale o di popolo ha dovuto superare per emanciparsi, per affermare se stesso, la propria personalità, il proprio essere forza viva intelligente.
Il racconto cristiano storico ed educativo di S. Antonio Abate è reinterpretato perciò alla luce delle più antiche lezioni educative, le leggende e i miti, che costituivano il solo modo di trasmettere le esperienze di padre in figlio quando la storia non era ancora storia, quando l'uomo non era ancora forse uomo e viveva condizioni psicologiche primitive oggi inimmaginabili.
In quelle epoche remote doveva essere abbastanza spontaneo rappresentare le forze soverchianti della natura sotto forma di figure animate mostruose e preparare i bambini, gli uomini del futuro, ad essere forti nell'animo e nel corpo oltre ogni misura. Ma il racconto non poteva avere solo un contenuto terrificante poichè una prova troppo difficile, sostenuta in un momento non adatto, poteva schiacciare chi l'affrontava.
Ecco allora l'orribile stemperato e addolcito da figure fantasiose, ricche di colori forti, straordinarie e spettacolari quasi affascinanti come in un quadro dipinto per dare gioia agli occhi e stimolare la voglia di vedere e toccare. Grazie a questo dualismo fatto di paura e di fascino della paura (rischio) si preparava gradualmente il bambino alle più dure prove fisiche e spirituali della vita.
Anche nella nostra scultura lignea il rapporto tra il mostruoso e lo spettacolare genera un gioco sottile ed accattivante. Si è quasi tentati infatti, per vincere la paura del suo sguardo, di indossare quella maschera cioè di immedesimarsi per dimostrare che giocando e scherzando con essa, si è più forti del mostro. Da questo punto di vista il drago ritrovato di S. Antonio Abbandonato esercita un'influenza educativa ricorrendo a un linguaggio primordiale, immediato e universale, composto da elementi antichi e preistorici combinati in una sintesi di rara efficacia e bellezza.


BIBLIOGRAFIA
1) Il fatto è ricordato da una lapide incisa e osservabile in un muro laterale di questa parrocchiale.
2) Jeronimus van Aeken detto Bosch dalla città natale (1450-1516): Le tentazioni di S. Antonio Abate, museo di Lisbona.
Joachim Patinir (1480-1524): Le tentazioni di S. Antonio A., museo del Prado (Madrid).
Pieter Brueghel il vecchio (1530-1569): Le tentazioni di S. Antonio A., collezione Franck di Londra. 
Pieter Brueghel il giovane (c.1564-c.1635) detto anche l'Inferno per le sue scene demoniache allucinate e allucinanti.
3) Sempre secondo tradizioni gallo-celtiche ai serpenti volanti crescevano le ali, trasformandosi in draghi, con l'invecchiamento. Alcuni tipi di draghi alati inoltre avevano il corpo leonino.
Da " Animali Fantastici " di Jean Paul Clebert, Edizioni Armenia, Milano 1990.