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Edizioni don Giulio Gabanelli, stampa Carminati Stampatore, Almè - Zogno

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A proposito del volume "Una strada una valle una storia"

(n.3, maggio 1989)

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Altre testimonianze che dimostrano l'ampiezza dell'intervento austriaco nella ristrutturazione della strada della Valle Brembana, agli inizi del XIX secolo, si riscontrano a S. Pellegrino Terme e a  S. Giovanni Bianco. 
Nel primo paese le pareti interne dei noti Portici della Caneva furono rese "filanti", per usare un'espressione dell'epoca, eliminando gli spigoli di varie case che sporgevano verso la sede stradale rendendo quel tratto di strada simile a un percorso di guerra vale a dire una lunga galleria semibuia con andamento a zig-zag. Anche le volte dei portici furono rialzate in vari punti di circa mezzo metro per permettere il passaggio ai carri carichi di fieni e di legne. 
La ristrutturazione più consistente avvenne tuttavia nella località Cantarana una contrada, oggi indistinguibile dal resto dell'abitato ma a quel tempo significativa, che formava il paese di S. Pellegrino Terme. Essa corrisponde al luogo dove ha sede l'attuale filiale della Banca Popolare di Bergamo.
In quella località, a cavallo della strada, sorgeva un vasto caseggiato composto da circa 20 stanze su più piani di proprietà di un certo Domenico Invernizzi e di un altro signore rimasto sconosciuto (foto 1, 2, 3).  L'edificio connesso al muro di un orto-giardino di un terzo proprietario creava una strettoia lunga oltre 20 metri, larga 2 metri scarsi. La rimozione dell'ostacolo fu radicale. Nel corso del 1821 la casa fu in pratica ricostruita con il rifacimento di 10 locali di cui due erano stalle a pianterreno, sei camere su più piani, due solai per "l'asciugamento delle granaglie". Nonostante la nuova larghezza utile (3 metri), la lunghezza eccessiva di quel portico poteva costituire ancora un ostacolo nel caso in cui accadesse a due vetture di incrociarsi là sotto. Per evitare questo inconveniente si decise di costruire all'ingresso di quel corridoio, da nord, una "piazzetta di cambio" in cui una carrozza o un carro potesse vedere l'arrivo dell'altro veicolo e attenderne comodamente l'uscita dal portico.  Per ottenere questo scopo fu anche spostato il canale di una roggia che scorreva nelle vicinanze. Al termine dei lavori il compenso ai proprietari danneggiati sfiorò le 2000 lire austriache, una cifra considerevole per quei tempi.
Ancora più radicali furono le trasformazioni a S. Giovanni Bianco come accennato nel volume in questione (1).
Il primo ad essere demolito fu il portone all'ingresso del paese, posto all'inizio dell'odierna via Gratarolo in fregio al Brembo. Era un portone dalle dimensioni ragguardevoli: basti pensare che l'apertura interna era larga metri 1,60 circa (inaccettabile quindi per qualunque tipo di carro o carrozza del tempo), che gli stipiti erano pilastri quadrati di metri 0,90 di lato e che l'arco sovrastante toccava l'altezza di metri 5,40! Si trattava dunque di un'opera monumentale. Si sa che anche all'ingresso di altri paesi della Valle Brembana come Sedrina, Zogno, Lenna e Olmo in quel tempo esistevano portoni di origine assai antica (2) ma per nessuno di questi è stato possibile conoscere con esattezza le dimensioni.
In un primo momento "l'Imperiale Regia Delegazione Provinciale" di Bergamo aveva pensato di ricostruire a proprie spese il portone di S. Giovanni Bianco con una maggiore apertura e in pietra viva a bugnato. Successivamente constatato che si trattava soltanto di "un'opera di decoro utile al comune di S. Giovanni Bianco" affidò la ricostruzione del portone alle cure di quel comune il quale tuttavia pensò bene di far cadere nell'oblio questo impegno. La grande mole di pietre lavorate ricavate dalla demolizione del vecchio portone furono così riutilizzate nella sistemazione di tutta l'odierna via Gratarolo.
Oltre il ponte sulla Valle Taleggio, nel centro storico, fu rifatta completamente la "botega da fornaio" di un certo Guerinoni che rendeva difficile l'ingresso al ponte da nord; fu asportata una considerevole parte del sagrato della chiesa parrocchiale e fu "smussata" la bottega di un certo "Giovan Maria Grattarolo fabricante di cappelli". 
L'opera più importante realizzata da queste parti è tuttavia la ristrutturazione della casa padronale di un certo Francesco Invernizzi all'inizio dell'attuale via Corserola. Bisogna dunque sapere che questo signore era proprietario di vari caseggiati di cui uno a sinistra e uno a destra della via Corserola. In quello a sinistra della strada, salendo lungo la valle, si trovavano tre portici che precedevano in modo contiguo quelli ancora oggi sovrastanti questa via. L'intero complesso formava una galleria lunga circa 40 metri.
Quando l'Invernizzi venne  a sapere che per  la sistemazione della strada della valle era stato deciso di abbattere una parte di quella sua casa presentò un ricorso "all'Imperiale Regia Delegazione Provinciale "  chiedendo vivamente che l'allargamento della strada fosse ottenuto in modo diverso. A causa di questo scritto le autorità presero tempo nell'approvare il progetto poichè l'Invernizzi apparteneva ad una notabile famiglia di S. Giovanni Bianco. Tuttavia nei mesi successivi l'interesse pubblico prevalse su quello privato. Infatti nel maggio del 1822, vista l'incertezza delle autorità a procedere, i maggiori possidenti del paese (oltre 20) scrissero una lunga lettera "all'Imperiale Regia Delegazione Provinciale" nella quale si dimostrava che "gli Invernizzi possedevano altri appartamenti più commodi e vantaggiosi di quelli" e che l'abbattimento di parte di quell'edificio si rendeva indispensabile non solo per motivi di viabilità ma anche per motivi di salute pubblica.  Sotto quei lunghi portici infatti, semibui anche in pieno giorno, erano presenti numerosi anfratti che offrivano l'occasione a persone incivili di lordare durante la notte la via rendendo "l'aere insalubre a tutte le famiglie vicine". Con simili presupposti le autorità non esitarono ad approvare definitivamente il progetto che oggi si potrebbe definire di risanamento urbano e sociale.
Esiste un disegno (3) che mostra questa casa mentre i lavori di ristrutturazione sono circa a metà (foto 4).  In esso risalta in maniera immediata la possente struttura dell'edificio che ne fa risalire l'origine al XV secolo se non prima. Anche in altri documenti a proposito dei portici abbattuti si afferma che uno dei motivi della loro demolizione risiedeva nella loro pericolosità dovuta alla grande antichità. Ora se si pensa che il lato occidentale di questa casa è delimitato dall'antica mulattiera (sovrastata ancora oggi da un portico) che saliva in Valle Taleggio passando per le contrade Pianca e Cantiglio, nasce spontanea l'ipotesi che anticamente questo edificio fosse usato per controllare le strade dell'alta Valle Brembana e della Valle Taleggio che confluivano non a caso al ponte sul Brembo in direzione di Dossena per un verso, e al ponte sulla Valle Taleggio in direzione di Zogno e Bergamo per l'altro. Non è da escludere nemmeno che in tempi remoti il paese di S. Giovanni Bianco si sia sviluppato attorno a questo primitivo edificio avente la funzione di controllo militare.
Al termine delle ristrutturazioni in oggetto (fine del 1823) il compenso ai proprietari danneggiati nel solo centro di S. Giovanni Bianco superò abbondantemente le 2.000 lire austriache. Come si vede dunque il governo austriaco non lesinò nè risorse economiche nè tecniche nè umane per raggiungere un obiettivo condiviso all'unanimità dalla gente brembana. Si potrebbe continuare all'infinito nell'elencare gli esempi del buon governo austriaco. Oltre a quelli illustrati nella pubblicazione più volte citata, alla quale il lettore può riferirsi, se ne indicheranno qui altri tre per la loro importanza: uno interno all'ambito brembano, due esterni per stabilire un legame con il contesto più vasto della Lombardia. 
Il primo è la costruzione in vari paesi brembani (tra cui Zogno) degli acquedotti, lunghi in genere un  chilometro, per rifornire in modo stabile, al contrario del passato, le fontane pubbliche; il secondo è la costruzione (1818) del grandioso ponte in pietra sull'Adda, tra Canonica e Vaprio, dopo che per tre secoli era stato solo una passerella di legno gettata sopra barche che periodicamente le piene del fiume distruggevano; il terzo è l'inaugurazione (1847) della ferrovia Milano-Treviglio (terza in ordine di tempo in Italia) come parte della linea Milano-Venezia.
Dopo tutto ciò che si è visto risulta difficile dare un giudizio negativo sull'operato del governo austriaco. La cacciata degli Austriaci non fu una lotta di popolo che odiava un altro popolo ma soprattutto la lotta del Regno Piemontese contro l'Impero Asburgico che meglio di altre forze interpretava le esigenze economiche e culturali del tempo tendenti a fare dell'Italia un solo paese e non una miriade di staterelli.  Tuttavia i documenti d'archivio ci dicono che dall'Unità d'Italia all'inizio della seconda guerra mondiale nessun governo seppe gestire la cosa pubblica in modo così efficiente, intelligente e pronto, anche se un pò severo, come quello austriaco. 


BIBLIOGRAFIA
1) Vedi pag. 106 e ss. 
2) Sempre del volume in oggetto vedi: pag. 180 e ss.; pag. 286.
3) A.S.BG.: Imperiale Regia Delegazione Provinciale,  Pubbliche Costruzioni.


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