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Sensazionale scoperta archivistica: la Valle Taleggio nella più antica mappa che si conosca di un territorio lombardo

(n. 2, aprile 1987)


E' abbastanza noto agli appassionati di storia locale che l'esatta definizione della linea di confine tra la Repubblica di Venezia e il Ducato di Milano fu motivo di annose controversie tra i governi delle due capitali.

Diversi studiosi di storia locale quali Bortolo Belotti, P. Tosino ed altri meno noti hanno già trattato la questione sia pure in modo non specifico attingendo le notizie da numerosi manoscritti e da diverse pergamene presenti nella Biblioteca Civica Angelo Maj di Bergamo. Piuttosto rari sono stati fino ad oggi i documenti di tal genere provenienti dall'archivio di stato di Venezia.
Da diverso tempo tuttavia gli autori di questo scritto sono a conoscenza della presenza nell'archivio di stato di Milano di voluminose cartelle contenenti circa 3000 pagine manoscritte che descrivono le controversie confinarie tra gli antichi stati di Milano e Venezia (1). Il novanta per cento di tali controversie riguarda l'incerta linea di confine tra i due stati lungo il territorio della valle Taleggio e si estende temporalmente dal 1400 sino alla fine del 1700 quando la Repubblica veneta e il Ducato milanese cessarono di esistere.
La ricchezza del materiale rinvenuto è tale che permetterebbe di scrivere un voluminoso libro di storia dei costumi dei nostri antenati. In questa sede tuttavia per ovvi motivi ci si limiterà a fornire solo qualche breve indicazione essendo altri gli scopi di questo scritto.
Bisogna dunque sapere che per circa quattro secoli quasi ogni anno scoppiarono "turbolenze" di una certa gravità tra gli abitanti dei comuni di Vedeseta e Fuipiano in valle Imagna, di Vedeseta e Sottochiesa, di Vedeseta e Valtorta, di Valtorta e Cremeno in Valsassina. Mentre Vedeseta e Cremeno appartenevano allo stato milanese gli altri paesi appartenevano allo stato veneto.
Le cause delle "turbolenze" erano varie e molteplici.
In generale i pastori milanesi e bergamaschi si accusavano di aver fatto pascolare le mucche o le pecore in territori che erano al di fuori delle giurisdizioni dei rispettivi stati invadendo reciprocamente gli uni i pascoli degli altri. In altri casi le liti scoppiavano perchè si portavano i quadrupedi ad abbeverarsi presso sorgenti in alta montagna ritenute proprie da entrambe le parti. Altre volte le accuse in direzioni opposte riguardavano il taglio dei boschi per fare la legna da opera o da ardere. Infine, ma più raramente, era il taglio dell'erba per fare fieni che poteva dar luogo alle dispute.
Le località contestate erano "il monte de' Piazzoli", "il Grasello" e "li Canti" per ciò che riguarda le controversie tra Vedeseta e Fuipiano Imagna. Queste località si ritrovano ancora oggi indicate nelle cartine geografiche di tipo militare e costituiscono una parte dei ricchi pascoli che stanno alla testata della valle Imagna più noti col nome di Costa del Pallio (foto 2).
I luoghi oggetto di rivendicazioni tra Vedeseta e Sottochiesa comprendevano diversi fondi attorno alla chiesetta di S. Bartolomeo che si trova a metà strada circa tra Olda e la contrada Reggetto di Vedeseta e una parte del "monte Concoli che è di grande estensione di pascolo". Questo monte era particolarmente ambito poichè sulle sue pendici si trovavano diverse baite dette "de Concoli, delle Moje, di Campo Fiorito e di Cantello" che si ritrovano pure oggi sulle carte a grande fattore di scala (foto 2).
Poichè "il monte Concoli confina a mattina (verso est) con Aral Olta (l'odierno monte Aralalta)" è evidente che si tratta della montagna oggi nota col nome di Sodadura. D'altra parte le pendici settentrionali del "monte Concoli" erano lambite dal comune di Valtorta per cui spesso e volentieri Vedeseta doveva difendersi dalle presunte ingerenze sia dei "malghesi" di Sottochiesa che di Valtorta. Valtorta infine era in lite anche con Cremeno in Valsassina per reciproche scorrettezze nello sfruttamento dei vasti piani di "Bobio" i quali comprendevano nella dizione antica anche la parte più alta dei pascoli di Ceresola, la località ove è stata aperta recentemente una nuova stazione sciistica.
Per l'occupazione reciproca dei terreni in tali luoghi erano volate parole grosse tra Bergamaschi e Milanesi già nella seconda metà del 1400. Nel corso del 1500 le "turbolenze" si erano poi aggravate perchè dalle minacce si era passati ai fatti con "la pignoratione (sequestro)" delle bestie trovate a pascolare fuori dei rispettivi confini anche per pochi metri. Tuttavia al sequestro di una ventina di mucche effettuato dai Milanesi a danno dei Bergamaschi era seguito qualche giorno dopo un corrispondente sequestro in senso opposto. Si era innescato così un processo senza fine, una sorta di faida, che toccò in certi momenti livelli vergognosi. Risulta ad esempio che più di una volta un gruppo di quattro o cinque uomini armati con l'approvazione del "vicario (sindaco)" del proprio paese si recarono a sequestrare le bestie quando queste erano custodite solo "da tre done, un tosetto e una tosetta" mentre i mariti o i padri erano a lavorare nei campi a fondovalle. A fronte di queste azioni poco edificanti seguirono spesso e volentieri dei "blitz" effettuati di notte nelle stalle situate lontane dalle contrade con lo scopo non solo di "compensare" le mucche o le pecore perse ma anche di punire gli avversari rubando i muli e soprattutto i cavalli.
Alla metà del 1500 lo stato di tensione tra Milanesi e Bergamaschi in valle Taleggio aveva raggiunto un limite insopportabile. Onde evitare guai peggiori i governi di Milano e di Venezia promossero un incontro solenne di rappacificazione tra le parti durante il quale alla presenza dei rappresentanti delle due capitali, di vari notai e "agrimensori (geometri)" con una "sentenza arbitramentale" si precisarono meglio i confini, si conficcarono nel terreno dei pilastrini recanti l'incisione da un lato della lettera "M" (Milano) e dall'altro della lettera "V" (Venezia). Infine fu dichiarato che un'ampia zona attorno alle vallette di "Sfrino e Canino" sulla destra orografica del torrente Enna, a mezza strada circa tra la contrada Lavina di Vedeseta e il paese di Peghera (foto 2), era accessibile per il taglio della legna sia ai Milanesi che ai Bergamaschi. Ciò avvenne il 2 luglio del 1583 (2).
Per qualche tempo gli animi sembrarono placati ma all'inizio del 1600 si registrò una ripresa delle ostilità suscitate dalla voce diffusa da ignoti che i pilastrini indicanti i confini erano stati spostati di notte e che non si trovavano più nelle posizioni stabilite sulla carta nel 1583. Durante il corso del 1600 vi fu pertanto un crescendo continuo di atti di vandalismo, di minacce reciproche e di "archibuggiate (fucilate)" a salve cioè intimidatorie. Ma nel 1732 una "archibuggiata" ferì mortalmente un certo Antonio Buttoni di Sottochiesa. Dell'assassinio fu accusato niente di meno che uno dei consoli di Vedeseta, un certo Benedetto Arrigoni, che fu bandito dallo stato. Nel frattempo, poco prima, "era scappato il morto" anche nelle dispute tra Valtorta e Cremeno. Come conseguenza di ciò una mattina quasi tutte le baite che si trovavano sul "monte Concoli" furono ritrovate bruciate o rase al suolo.
Per porre fine a questi disordini ed anche per precisare meglio la linea di confine tra lo stato di Milano e quello di Venezia lungo il fiume Adda e la pianura cremonese si giunse al trattato di Mantova del 16 agosto 1756. Con questo trattato la linea di confine tra i due stati in valle Taleggio fu leggermente modificata, si decise di conficcare nel terreno pilastri abbastanza voluminosi e ravvicinati tra loro che recassero incise da un lato le sigle "S.M." (Stato di Milano) e dall'altro le sigle "S.V." (Stato di Venezia) con l'anno di impianto dei pilastri stessi. Il che avvenne nel corso dell'anno 1760: questo è il motivo per cui vari termini di questo genere che si ritrovano ancora oggi in valle Taleggio recano questa data (foto 4). Nel trattato si  stabilì pure che ogni due anni appositi rappresentanti di ciascun stato dovessero recarsi insieme a verificare l'esatta posizione di tali pilastri. Ma già al primo controllo ufficiale avvenuto nel 1764 (2) parecchi di questi termini in tutta la valle Taleggio furono ritrovati spaccati e "spiantati". Sicchè ben presto riprese il ciclo delle reciproche accuse e vendette.
Nel 1777 il governo di Milano, su esplicita richiesta di Maria Teresa d'Austria, decise di risolvere definitivamente la questione incaricando il "Consigliere e Delegato sopra de' Confini Gaetano conte Roghendorf" di indagare giuridicamente con il supporto di eventuali documenti antichi quali fossero i giusti diritti delle popolazioni bergamasche e milanesi in valle Taleggio. Nel 1778 e negli anni seguenti il Roghendorf presentò varie e circostanziate relazioni al governo di Milano corredate di numerosi documenti risalenti al 1400, in parte originali in parte come copie manoscritte degli originali ma con l'attestato notarile che le copie erano conformi all'originale.
In sintesi il Roghendorf attribuiva l'origine di tutti gli incidenti sopra illustrati alla innaturale spartizione del territorio della valle Taleggio tra la Repubblica di Venezia e il Ducato di Milano conseguente alla pace di Lodi del 9 aprile 1454 che poneva termine ad un periodo di guerre durato dieci anni.
Il capitolo 13 della pace di Lodi assegnava al duca di Milano, Francesco Sforza, La Valsassina, Lecco e i cosidetti "piani di Lecco" fino a Brivio mentre assegnava al doge di Venezia, Francesco Foscari, una parte (Val d'Erve) della valle S. Martino che prima di allora era milanese. Bergamo e le valli Imagna, Brembilla, Brembana e Averara, che per l'andamento delle ultime battaglie erano sotto il controllo delle truppe venete, furono attribuite definitivamente a Venezia.
Era incerta invece la posizione della valle Taleggio che non era sotto il controllo diretto degli eserciti milanesi o veneti ma sotto il controllo di condottieri o signorotti locali che parteggiavano chi per Milano chi per Venezia. Per questo motivo sia il Duca che il Doge desideravano inglobare nel rispettivo stato la valle Taleggio nella sua intierezza asserendo, a seconda dei punti di vista, che essa era una pertinenza territoriale della Valsassina e quindi di Milano o della città di Bergamo e quindi di Venezia.
Per troncare ogni ulteriore disputa le diplomazie suggerirono allora che la suddivisione della valle Taleggio dovesse essere lasciata alla volontà di tali condottieri sulla base delle porzioni di territorio da essi effettivamente occupate. Le nobili famiglie Arrigoni, Quartironi, Amigoni e Rognoni che abitavano a Vedeseta si sottomisero spontaneamente al duca di Milano offrendo i luoghi di Vedeseta, Lavina, Avolasio, Canto, Pratozunio, Pianchello, Almentarga e la chiesetta di S. Bartolomeo (2). I Fanioni, i Belaviti ed altri che controllavano Pizzino e Sottochiesa si consegnarono invece a Venezia. Questa decisione venne sancita in un congresso a Milano con "istromento" di ratifica il 4 agosto 1456 (2).
L'origine delle "turbolenze" sopra descritte derivava dal fatto che le parti di territorio cedute da questi condottieri non erano definite nei dettagli e soprattutto non coincidevano con i limiti delle antiche giurisdizioni comunali dei paesi coinvolti nella spartizione. Per altro risulta che le relazioni del conte Roghendorf non ottennero alcun risultato poichè attorno al 1790 erano in corso ancora delle liti tra Vedeseta e Fuipiano.
Tra i documenti originali antichi recuperati dal conte Roghendorf e relativi per il contenuto alla pace di Lodi vi è la mappa senza data e in carta ad uso pergamena ritratta alle pag. 16 e 17 con dimensioni reali di cm. 60 x 41.
Essa non rappresenta gli effetti della pace di Lodi ma la situazione politica della valle Taleggio qualche anno prima della pace di Lodi in quanto è indicato il possesso territoriale della valle da parte di alcune famiglie nobili locali. Per tali caratteristiche questa mappa servì senza dubbio come importante supporto alla definizione e alla ratifica delle condizioni della pace di Lodi.
Il disegno rappresenta quanto segue. Nel cerchio sta indicato il territorio di tutta la valle Taleggio che rispetto a Milano e a Bergamo, e quindi a Venezia, era in condizioni di sostanziale neutralità politica in quel momento storico. Esso è suddiviso correttamente da nord a sud dal "flumen Salzane" = torrente Salzana.
Nel semicerchio di sinistra si leggono le scritte "Taegium" = Taleggio; "Pra de Zugno" = Pratogiugno (localita' ancora oggi esistente); "Avolasco" = Avolasio; "Placellum cum ulmis posterga, nunc derupatum" = (castello di) Pianello con olmi tutt'attorno, ora semidistrutto (corrisponde alla località Pianchello più volte citata nei documenti); "hic morabant Arigoni, Quartironi, Amigoni et Rognoni" = qui abitavano gli Arrigoni, i Quartironi, gli Amigoni e i Rognoni; "terra Vedexita derupata" = terra di Vedeseta semidistrutta: "Canto" = Canto; "La Lavina" = Lavina (contrada di Vedeseta); "Olda que nunc tenet perventos" = Olda che ora ospita i nuovi arrivati (probabilmente abitanti della valle Taleggio che avevano deciso di stare con Milano).
Nel semicerchio di destra si leggono invece: "Taegium" = Taleggio; "Pizinum" = (castello di) Pizzino; "Furcula" = Forcola (località ancora oggi esistente); "hic morantur Fanioni et Belaviti" = qui abitano i Fanioni e i Belaviti; "terra Subeclexia" = terra di Sottochiesa; "Forzela Pegaria" = Forcella di Peghera (oggi nota col nome di Forcella di Bura).
Esternamente al cerchio stanno indicate: "Leuchum" = Lecco; "valis Mortaroni" = valle di Morterone; "Brumanum" = Brumano (le località sono al di là e al di qua della Costa del Pallio alla testata della valle Imagna; "territorij Leuci" = territori di Lecco (con riferimento a Morterone e a Brumano); "Valissasina, Rocha Baiadi" = Valsassina con la (strategica) rocca di Baiedo; "Valistorta" = Valtorta; "Averaria" = (valle di) Averara.
Tutti questi territori sono contrassegnati dalla sigla M che sta a indicare la pertinenza di Milano. Continuando si presentano: "Laplaza" = Piazza Brembana; "Valis Brambana" = Valle Brembana; "Valis Brambila" = Valle Brembilla; "Valis Jmania" = Valle Imagna.
Tutti questi territori sono siglati dalla lettera P (Pergamum) che indica la pertinenza della città di Bergamo.
Infine in basso si leggono: "Valis Sancti Martini" = Valle di San Martino; "Pergamum" = Bergamo. Poco al di sotto delle casette che indicano Lecco si trova un commento molto importante ai fini della datazione della mappa: "Petunt Arigonos et Quartironos, valem Mortaroni et Brumanum debere sibi fore subditos" = gli Arrigoni e i Quartironi, la valle di Morterone e Brumano chiedono essi stessi di diventare sudditi (di Milano).
I piccoli rettangoli che compaiono nella parte inferiore del disegno con le sigle M e P su lati opposti indicano infine i limiti delle pertinenze rispettive di Milano e Bergamo (Pergamum) su quei territori.
Sorprendenti sono le caratteristiche e le novità contenute in questa mappa. Innanzitutto si deve sottolineare la notevole correttezza della rappresentazione geografica del territorio nonostante la forma semplice e schematica del disegno. Per convincersi di ciò basta confrontare questa mappa con una carta geografica attuale della zona (foto 2).
Secondariamente fa sensazione scoprire che al di sopra di Vedeseta esisteva anticamente un castello di cospicue dimensioni. Esso si trovava su un terrazzo naturale strapiombante su Vedeseta da una altezza di 150 metri nella località ancora oggi detta la Torre (foto 5).
Tuttavia prima di oggi si credeva comunemente che dovesse trattarsi di una torre di avvistamento, di modeste dimensioni, come ancora se ne vedono qua e là in valle Brembana. Ora invece bisogna dire che anche Vedeseta era dotata di un castello vero e proprio non inferiore per dimensioni, qualità e importanza a quello più noto di Pizzino e in grado di ospitare qualche manipolo di soldati e la famiglia del signorotto locale di turno.
Tra le altre cose vi è da dire che dalla località Torre, sopra Vedeseta, si può vedere in faccia e alla stessa quota la rupe su cui si trovava anticamente il castello di Pizzino e dominare l'intera valle con lo sguardo, proprio come appare nel disegno.
Non è trascurabile nemmeno il fatto che questa mappa offre la rappresentazione più antica che si conosca del castello di Pizzino di cui sino ad oggi esistevano solo brevi cenni in alcuni documenti.
Un'altra importante notizia è il fatto che il castello di Vedeseta e Vedeseta stessa al momento in cui fu fatto il disegno risultano essere "derupati" cioè semidistrutti. Storicamente è accertato che dopo la conquista di Bergamo da parte di Venezia nel 1428 vi fu, dopo alcuni anni di tregua, una riscossa di Milano che rioccupò i territori perduti tra cui parte della valle Taleggio. Durante questi scontri Vedeseta fu quasi completamente rasa al suolo dai Veneti attorno al 1430 (3) il che significa che tale mappa fu disegnata dopo questa data. Questa fase della guerra terminò con la pace provvisoria di Cremona nel 1441 che segnò una momentanea vittoria di Milano su Venezia. Il Ducato di Milano infatti in virtù di questo accordo si trovò a controllare in modo completo la città di Lecco, la Valsassina, la Valtorta, la valle Averara e buona parte delle valli Imagna e Brembilla, il che coincide rigorosamente con il quadro politico rappresentato nella mappa in questione. Ciò dimostra con certezza che questo disegno fu eseguito tra il 1441 e il 1454.
Infine si devono spendere alcune parole sulla forma straordinaria del disegno, l'aspetto più importante della scoperta.
A uno sguardo superficiale questa forma appare ingenua, quasi infantile; in realtà essa rivela le particolari concezioni dell'universo, della Terra e della vita che avevano gli uomini di oltre 500 anni fa.
Non bisogna dimenticare infatti che in quel periodo storico non erano ancora state scoperte le Americhe e che la Terra era concepita come un disco piatto incastonato nel centro di una enorme sfera, l'Universo, piena di una sostanza impalpabile e trasparente detta etere. Nelle arti grafiche la circonferenza era considerata un segno geometrico perfetto per non avere nè un principio nè una fine e per questo motivo adatta a rappresentare la perfezione di Dio. La Terra o una qualunque sua parte era concepita come la materializzazione di una idea divina, cioè come la proiezione della volontà creatrice di Dio. Il cerchio nel quale è racchiusa la valle Taleggio vuole dunque indicare quel territorio e il suo ambiente come un dono che Dio ha fatto agli uomini per arricchire la loro vita.
I territori circostanti a quello centrale, i meno rigorosi per quanto concerne la loro collocazione geografica, sono rappresentati sotto forma di punte distribuite in modo tale da originare nell'insieme una figura solare. Ma nel periodo storico in esame il sole, fonte della vita fisiologica grazie alla sua luce e al suo calore, era anche simbolo di luce spirituale, di Verità divina cioè di Rivelazione di Dio agli uomini e quindi fonte anche di vita spirituale. L'essere vivi spiritualmente significava stare o sforzarsi di stare nella grazia di Dio e nella comunità della Chiesa opponendosi alle leggi e al mondo del male (Demonio) rappresentato non a caso dalla negazione della luce, cioè dal buio. Da questo punto di vista i raggi dell'immagine solare possono anche indicare la diffusione della luce divina o della Verità in tutto il mondo come fine supremo verso il quale gli uomini devono tendere durante la loro vita terrena. Questi raggi d'altra parte ricordano molto da vicino per il loro aspetto anche le numerose cuspidi che caratterizzano le chiese del periodo gotico nel quale, per ciò che riguarda il contesto lombardo, questo disegno si può far rientrare. Tali cuspidi, proiettate verso il cielo, simboleggiavano gli slanci di fede degli uomini verso Dio ad ammonire che per la diffusione della verità religiosa non bastava la volontà divina ma era necessario anche il contributo generoso, di dedizione, degli uomini.
Questo disegno pertanto pur realizzando la funzione primaria di descrivere geograficamente un territorio è permeato di profondi significati religiosi e svolge perciò anche una funzione ideologica affermando e magnificando la concezione cristiana della vita attraverso il continuo riferimento simbolico ai suoi valori fondamentali. Dietro apparenti e semplici forme geometriche questo disegno nasconde dunque una lezione di teologia e cosmologia medioevali. Esso rivela anche attraverso quali filtri inconsci, provenienti dal profondo del suo essere, l'uomo antico percepiva se stesso e i fenomeni della natura.
La capacità di rappresentare in modo oggettivo l'immagine di sè e della realtà circostante, svincolandosi da sovrastrutture religiose e mitologiche, sarà acquisita dall'uomo solo nel corso dei secoli successivi a partire dall'epoca del Rinascimento grazie ad ulteriori sviluppi delle sue facoltà razionali ed affettive.


BIBLIOGRAFIA
1) Archivio di Stato di Milano: Fondo Confini, parte antica: cartelle 288, 289, 290. 
2) Come nota 1) ma cartella 290.
3) Giuseppe Arrigoni: Notizie Storiche della Valsassina e delle terre limitrofe. Ed. "Il Piccolo" Introbio, 1850.