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Edizioni don Giulio Gabanelli, stampa Carminati Stampatore, Almè - Zogno

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Nuove scoperte sulla storia di Zogno:
Una roggia non meno importante ed antica della Roggia Traini
(n.1, febbraio 1986)
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(Nota preliminare : questo saggio storico è stato raccolto nel volume dello stesso autore “Le Rogge di Zogno”, capitolo : Roggia Acquada) 

Il diciannovesimo secolo si apre con un fatto che lasciò dietro di sè un lungo strascico di polemiche e che turbò gli animi delle tranquille ma operose comunità di Ambria e dell'Acquada.
Nei giorni 16, 17 e 18 aprile 1811 durante il trasporto di un grosso quantitativo di legne lungo il fiume Serina verso il Brembo e quindi verso le ghiaie di Almenno fu distrutta totalmente la presa dell'acqua, o chiusa, della roggia in esame e fu gravemente danneggiato il tratto iniziale del canale che in quel tempo era formato da tavole di legno.
Tutti gli opifici che utilizzavano la roggia rimasero in secco per più di tre giorni. I proprietari degli opifici che avevano alle proprie dipendenze degli operai furono i più pronti a reagire alla situazione e inviarono le loro proteste scritte al Prefetto di Bergamo chiedendo nello stesso tempo di essere risarciti da chi aveva procurato tanti guai.
Il trasportatore delle legne fu perciò convocato immediatamente in prefettura a Bergamo per riparare alle sue colpe ma egli in compagnia di alcuni suoi operai, che firmarono una deposizione scritta, sostenne che la caduta della chiusa era da attribuire alla piena del fiume e non alla scarsa diligenza nello svolgere il proprio lavoro.
Ad una contro risposta sottoscritta in qualità di testimoni da quasi tutti gli utenti della roggia il problema finì davanti al giudice in tribunale. Si innescò in tal modo un processo civile che durò quattro anni durante il quale più di una volta gli artigiani di Ambria e dell'Acquada dovettero recarsi a Bergamo con non pochi disagi per loro stessi e le loro attività. E' interessante ripercorrere brevemente gli atti di questo processo poiché contengono numerosi dettagli che permettono di capire secondo quali tecniche e in che misura si svolgevano alcune attività economiche in questo periodo storico, il che è sempre stato abbastanza trascurato dagli studiosi di storia locale.
Da tali atti (1) si rileva dunque che il 22 febbraio 1811 "il signor Pietro Gritti proprietario domiciliato in Almenno S. Salvatore" chiese al "signor Consigliere Prefetto del Dipartimento del Serio" la concessione di "poter condurre alla prima piena del fiume della valle Serina chiamato Ambria nel Brembo fino alle ghiaie di Almenno una grossa partita di legnami". Questa "condotta" sarebbe incominciata dal territorio di Bracca e avrebbe percorso "le fronti delle comuni di Endenna, Stabello, e Sedrina da una parte, e di Zogno, Ubiale ed Almenno dall'altra...". Tale partita di legne sarebbe stata così composta " ...cerca due mila pezzi di peghera (abete) fra borre e tronchi comprensivamente ad un centinario di borelli di noce...".
Il prefetto dopo aver esaminato la richiesta concesse il permesso e fece stampare un documento d'avviso perchè fosse esposto in tutti i comuni toccati dal passaggio dei tronchi in modo che i proprietari dei terreni vicini alle rive dei fiumi potessero essere risarciti in caso di danneggiamenti. Il prefetto avvisò inoltre il Gritti che egli avrebbe potuto dedicarsi ai preparativi solo dopo che tale documento fosse stato esposto in tutti i comuni interessati secondo le antiche consuetudini.
All'avvicinarsi delle piogge primaverili e con lo sciogliersi delle nevi sui monti il 13 marzo 1811 il Gritti si recò ad Ambria da Francesco Giuseppe Binda e da Pietro Zambelli proprietari rispettivamente della "Cartara"  e della "Pelletteria e molino" per chiedere loro di chiudere momentaneamente la roggia e di lasciar scorrere la loro acqua, non poca, nell'alveo del fiume "per aiutare il passaggio de' miei duemille legni". A fronte di una risposta negativa il Gritti promise comunque che avrebbe usato la massima cura nel far discendere i tronchi lungo il  fiume impiegando  40 operai "borellieri" giornalieri cioè assunti solo per alcune giornate. L'effettivo trasporto dei tronchi avvenne un mese più tardi in occasione di una piena verificatasi durante i giorni 16, 17 e 18 aprile. Nonostante il ricorso a tanta manodopera e il prodigarsi del Gritti non fu possibile però evitare le spiacevoli conseguenze sopra illustrate.
Ora può sembrare al lettore che la causa vera del disastro fosse la quantità di legne sproporzionata alle dimensioni piuttosto modeste del fiume. In realtà per le possibilità di galleggiamento offerte dal fiume Serina in piena la partita di 2000 tronchi rientrava nella normalità. Basti pensare, per fare un raffronto, che il 29 gennaio 1812 la ditta Fratelli Steffani di Bergamo chiese ed ottenne dal prefetto la concessione di condurre lungo il fiume Brembo "dal comun di S. Pietro d'Orzio (presso S. Giovanni Bianco) al porto di villa d'Almè e alle ghiaie d'Almenno 33 mila legne da fuoco" (2) con l'ausilio di oltre "200 borellieri" dislocati lungo tutto il percorso!
La vera causa della distruzione della chiusa stava dunque nella decisione troppo tempestiva del Gritti di iniziare le operazioni quando la piena del fiume non aveva ancora raggiunto il massimo livello e quindi nell'impossibilità per i tronchi di scavalcare, galleggiando, l'ostacolo. Non a caso il 13 febbraio 1815 il giudice condannò il Gritti a pagare la somma,  per quei tempi non piccola, di 7 lire e 50 centesimi.
Tra gli utenti della roggia l'oppositore più deciso nei confronti del Gritti risultò essere il proprietario della cartiera, Francesco Binda, il quale lamentò sempre di essere stato completamente fermo per tre giornate intere e di aver perso un'altra mezza giornata per rimettere in moto a regime normale i suoi macchinari produttivi tra cui vi erano "tre tine e un cilindro d'Olanda". In effetti la cartiera di Ambria già nei primissimi anni del XIX secolo aveva raggiunto le caratteristiche di una industria vera e propria il cui fermo totale significava un grave danno sia per il proprietario che per gli operai i quali in simili situazioni rimanevano senza stipendio. Essa contava 26 dipendenti e nel corso della sua storia aveva sviluppato un processo produttivo abbastanza sofisticato non inferiore, tecnologicamente parlando, a quello in uso nella cartiera di Zogno e nelle cartiere più famose e potenti situate in valle Seriana.
Tale processo si componeva di diverse fasi.
Dapprima veniva fatta una cernita e una suddivisione dei vari tipi di stracci e stoffe vecchie con la relativa riduzione in brandelli aventi dimensioni di 30-40 centimetri. Tale operazione era totalmente manuale e veniva svolta per lo più da donne usando forbici e coltelli. In seguito i brandelli venivano spappolati dentro una macchina mossa dall'acqua detta "cilindro d'Olanda" così chiamata perchè fu inventata in Olanda attorno al 1760. Dalle descrizioni generali contenute nei documenti che si son potuti trovare risulta che il meccanismo usato nella cartiera di Ambria era costituito da un cilindro metallico dotato di una dentatura longitudinale il quale ruotava a stretto contatto di altri due cilindri di metallo o di pietra (foto 2). Il tutto si trovava all'interno di una vasca pure di pietra riempita fino a metà di acqua e brandelli di stoffa.
La veloce rotazione di questi rulli aveva lo scopo di ridurre i brandelli bagnati a una sorta di poltiglia quasi liquida (pasta). Alla fine di questa fase tale pasta conteneva però quà e là ancora dei grumi di stoffa sia pure piccoli. Per ridurre questi grumi a dimensioni di granelli di polvere la poltiglia veniva versata in altre vasche di pietra circolari (tine) con l'aggiunta di acqua e di speciali sostanze chimiche. Dentro le tine pesanti macine mosse dall'acqua o da una coppia di muli accecati, costretti a camminare sempre in tondo, trasformavano il tutto dopo qualche ora in un amalgama perfetto (raffinazione). Il liquido ottenuto era poi lasciato riposare per un certo tempo più o meno lungo durante il quale le particelle di stoffa annegate nel liquido stesso, ormai divenuto colla, si saldavano tra loro. Questa fase e la precedente, la raffinazione, erano le più delicate e il loro buon esito dipendeva dall'esperienza e dalla conoscenza di alcuni rudimenti di chimica (ma forse sarebbe più giusto dire alchimia) del proprietario della cartiera.
Successivamente con questo liquido venivano riempite delle tavole per formare i fogli di carta i quali, dopo essere stati compressi con un torchio a vite per espellere l'acqua residua, venivano stesi ad asciugare all'aria.
E' abbastanza curioso e interessante segnalare che durante i primi mesi del 1815 il Binda fu sospettato dalla polizia austriaca di vendere fogli di carta recanti le insegne prestampate del cessato governo napoleonico (3). In effetti il Binda, come probabilmente altri proprietari di cartiera, a causa del cambio repentino del governo aveva dovuto smaltire in fretta e furia e a prezzo ribassato il suo deposito di carta già confezionata e pronta per essere venduta. Grazie al buon senso delle parti in causa i sospetti non si trasformarono però in accuse ma solo in un ammonimento ed il fatto non ebbe un seguito.
Un ruolo importante nella contesa sopra indicata fu svolto anche dal proprietario della "Pelletteria o Confettura di pellami" : Pietro Zambelli. Egli insieme ad un socio di nome Ruggeri e con l'aiuto di alcuni operai aveva portato la produzione di questa conceria ad un livello molto buono. Basti pensare che già nell'anno commerciale compreso tra la metà del 1803 e la metà del 1804 la conceria aveva trattato 200 pelli di manze, 400 di vitello e 450 di montone (4) superando, anche se di poco, la produzione della conceria posta a Villa d'Almè, sull'antica roggia Scotti, la quale diventerà più famosa e più capace solo verso la metà del XIX secolo. 
Il confronto fatto con tutte le altre concerie della provincia di Bergamo in questo periodo dice che quella di Ambria era di dimensioni medie. Inoltre in essa "la manifattura è portata a grado di perfezione" cioè le pelli non solo erano trattate e conciate ma lavorate fino allo stadio finale per ottenere in gran parte scarpe e stivali di cuoio ma anche rifiniture per cavalli e per bestie da soma, il che non avveniva in tutte le concerie.
La vendita dei prodotti finiti si svolgeva in una bottega annessa, pure di proprietà dello Zambelli, e dai documenti citati alla nota precedente si apprende che i compratori provenivano da tutte le valli bergamasche  attraverso "i passi montani".
Il maglio da ferro sito in Ambria richiedeva invece una gestione con caratteristiche più famigliari. Tuttavia il proprietario per poterlo tenere in funzione si avvaleva di tre braccianti.
A tal proposito si deve ricordare brevemente che anche il bisnonno Risi, il costruttore del maglio all'Acquada come descritto nella prima parte di questa ricerca, aveva alle sue dipendenze tre operai. Vi era infatti un addetto a mantenere il fuoco alla giusta temperatura poichè i pani di ferro dovevano essere riscaldati in anticipo per un certo tempo; un addetto a rifinire i pezzi con una operazione di limatura che si otteneva con la mola spinta ad acqua o a colpi di martello sopra l'incudine o con l'uso di stampi o morse per dare ai pezzi le pieghe e le torsioni richieste; vi era infine un altro addetto che era di supporto ai due precedenti e a chi era l'artista della situazione: il proprietario del maglio che con la sua abilità, muovendo il pezzo sotto il percussore, lentamente dava al blocco di ferro la forma desiderata e quasi definitiva. Nel caso del bisnonno Risi poi la moglie e i due figli giovinetti davano un aiuto nella vendita dei prodotti sul posto, nell'acquisto del carbone per alimentare il fuoco e nell'acquisizione di nuove commissioni di lavoro (produzione di attrezzi nuovi o riparazione di quelli vecchi).
Nel viaggio a ritroso nel tempo che si è intrapreso in questa ricerca ciò che ha sorpreso di più comunque è stato scoprire l'esistenza nel periodo storico in esame di un torchio per la produzione di olio da noci. Esso era di proprietà di un certo Antonio Sonzogni padre di Andrea e Antonio Sonzogni già nominati nel 1853 nella prima parte. Il principio di funzionamento di questo torchio non era molto dissimile da quello di un mulino da grano. Esisteva infatti una macina mossa dall'acqua che triturava una grande quantità di noci liberate dal loro guscio, ottenendo una pasta densa ma molliccia. Questa pasta veniva poi messa a manciate sotto una pressa costituita da una pesante trave di legno azionata da una vite; per schiacciamento si ricavava infine l'olio. La produzione era limitata ma preziosa.
Il Sonzogni in questo periodo era proprietario anche di un mulino da grano e di una segheria ad acqua ed il suo complesso di costruzioni costituiva una unità produttiva che oggi si direbbe integrata. Egli infatti era in grado di produrre e vendere farina, olio e tavole di legno pronte per essere usate in svariate attività artigianali: in pratica alcune tra le risorse più importanti di una civiltà contadina. Gli altri edifici sin qui visti erano invece proiettati verso una società più moderna avendo delle caratteristiche che si possono definire senza alcun dubbio protoindustriali.
Per riassumere, la situazione della roggia e degli opifici nel 1811, con riferimento allo schema proposto (foto 5), era la seguente:
"A"  "casa per concia pelli ad acqua con molino e negozio" di proprietà di Pietro Zambelli originario di Zogno.
"B"  "cartiera con pile ad acqua" di Francesco Binda.
"C"  "cartiera con pile ad acqua con casa" di Francesco Binda.
"D"  questo edificio era composto da due corpi di case: in quella ad Est si trovava un "molino da grano", in quella ad Ovest il "torchio da ollio"; entrambe le costruzioni erano di Antonio      Sonzogni.
"E"  "sega da legnami ad acqua" dello stesso Antonio Sonzogni.
"F"  "maglio da ferro con mola ad acqua con casa" di Gabriele Ceroni originario di Zogno.
"H"  "molino da grano ad acqua con casa" di Giovan Battista Lazeroni originario di Zogno.
"I,L" "molini da grano" dei quali non si è potuto conoscere il nome dei proprietari. 
E' da notare che in questo prospetto mancano i numeri di mappale poichè prima del governo austriaco non esisteva il catasto tuttavia la dislocazione esatta degli edifici è garantita dagli atti notarili che in media ogni 25 anni per motivi di successione o di compravendita ne danno ampie descrizioni. Nel 1811 inoltre i due rami della roggia erano attivi e le caratteristiche dei canali e il numero delle ruote erano gli stessi già indicati agli anni 1898 e 1853.
Se ora seguendo il metodo sin qui adottato ci si sposta all'indietro nel tempo di altri 50 anni circa e ci si ferma al 1768, sempre facendo riferimento allo schema indicato (foto 5), si ottiene il seguente quadro (5):
"A"  "molino da grano ad acqua"; questo edificio aveva però dimensioni inferiori a quelle che appaiono nello schema (circa la metà).
"B"  "sega da legnami ad acqua".
"C"  "cartiera con pile ad acqua con casa" di proprietà di Giovan Battista Fenaroli e compagni (soci) (6).
"D"  anche in questo periodo l'edificio si componeva di due case di cui quella ad est era un "molino da grano" e quella ad ovest "un torchio da ollio"; il proprietario era certo Sonzogni antenato di quell'Antonio Sonzogni già conosciuto nel 1811.
"E"  "molino da grano ad acqua"
"F"  "follo da pannilani" fermo da qualche tempo per difficoltà di gestione da parte del proprietario.
"H, I, L" "molini da grano".
Come si vede questo prospetto è alquanto diverso dal precedente. La nota di maggior spicco è la massiccia presenza dei mulini che contavano ben 9 ruote. Pure interessante è da sottolineare il fatto che non compaiono quasi ovunque i nomi dei proprietari. Il motivo è da far risalire alle veloci trasformazioni che si verificarono nell'arco di pochi anni nella seconda metà del 1700, sintomi premonitori della nascita anche in valle Brembana di una nuova società, quella borghese basata sulla proprietà privata e sulla iniziativa individuale.
Basti dire ad esempio che l'edificio "A" non molti anni più tardi divenne conceria di pelli, che l'edificio "B" dopo qualche anno di crisi fu incorporato come parte integrante nella cartiera, che "E" divenne una segheria in sostituzione della "B" scomparsa e che "F" tra il 1775 e il 1780 fu trasformato in maglio (7).
Anche la cartiera subì importanti sviluppi non tanto nell'edificio quanto nelle strutture produttive. Si sa per certo ad esempio che tra il 1767 e il 1768  certo Girolamo Sonzogni aumentò le tine da due a tre e che da ogni tina in questo periodo si ricavavano "cerca 200 balle di carta" (8). Per inciso è importante sottolineare che negli stessi anni la cartiera di Zogno sulla roggia Traini, di proprietà di tale Giovanni Volpi, aveva una sola tina!
Non è stato possibile conoscere invece chi introdusse nella cartiera di Ambria il "cilindro d'Olanda" che fu adottato per la prima volta in Italia nel 1768. Prima di quell'anno la spappolatura dei brandelli di stracci avveniva attraverso una serie di martelli di legno mossi dall'acqua come si può arguire dallo schizzo relativo qui riprodotto (foto 6). Il processo era però molto più lento e la poltiglia che si otteneva era ancora ricca di granulosità. Ciò significava che anche il lavoro di raffinazione delle macine dentro le tine era molto più lungo. L'introduzione del "cilindro d'Olanda" ridusse della metà il tempo di produzione della carta il che significò produzione doppia a parità di tempo. Non a caso a cavallo tra il XVIII e il XIX secolo fu ampliato lo stenditoio e furono costruiti altri magazzini. I resti della cartiera così come si vedono ancora oggi ad Ambria risentono in discreta misura di questi interventi (foto 3). A ulteriore conferma di questi incessanti sviluppi c'è da dire poi che nel 1775 il proprietario della cartiera era certo Giuseppe Mayer di origine straniera, quasi sicuramente svizzera (9).
Nel 1705 la situazione degli edifici e della roggia, con riferimento sempre al medesimo schema (foto 5), era la seguente:
"A"  "follo da pannilani" di proprietà di Gerolamo Sonzogno fu Giovanni (le dimensioni dell'edificio erano la metà di quelle che appaiono nello schema (10).
"B"  "sega da legnami ad acqua" di Giuseppe e Giacomo Sonzogno fu mastro Tadeo di Somendenna (11).
"C"  "cartara" di Gerolamo Sinibaldi fu Francesco e dello zio Carlo Sinibaldi originari di Brescia (10).
"D"  questo edificio era composto da due case: in quella ad Est si trovava un "molino da grano" di Pietro Antonio Sonzogno fu Antonio, in quella ad Ovest un "torchio da ollio" di Francesco Sonzogno fratello di Pietro (10).
"E"  "molino da grano" di Pietro Borella fu Camillo di Bracca (fino a pochissimi anni prima questo edificio ospitava però anche una segheria ad acqua! (12).
"F"   "follo da pannilani" a due ruote di Giovanni Sonzogno (13).
"H"   "follo da pannilani" di un certo Gavazzo.
"I,L" "molini da grano" dei quali non si è potuto conoscere il nome dei proprietari.
Le caratteristiche dei canali erano le stesse già viste nei precedenti prospetti; il numero delle ruote era invece inferiore di due unità poichè la cartiera in questo periodo aveva dimensioni più contenute di quelle viste in precedenza sin qui. Non vi sono particolari vicende da segnalare in questo periodo. C'è da ricordare però che man mano si scorre all'indietro nel tempo il processo di produzione della carta si fa più rudimentale e primitivo.
Nel 1728 ad esempio risulta (14) che la materia prima per fare la carta non era più costituita solo da stracci di varie qualità ma anche da segatura e da fibre di legno bollite in acqua. Nella fase di spappolatura inoltre veniva aggiunta della calce mentre nella fase di raffinazione si aggiungeva, per certi tipi di carta, del verde rame!
Vi erano inoltre cinque qualità principali di carta e la produzione della cartiera di Ambria era orientata verso le fasce medio-alte. E' curioso osservare infine che dagli stracci e dalle fibre di legno più grosse si ricavavano anche cartoni dello spessore di un centimetro circa che servivano per costruire diversi tipi di contenitori (scatole) ma anche suole per fare scarpe!  


BIBLIOGRAFIA
1) Archivio di Stato di Bergamo (= ASBG). Fondo Dipartimento del Serio, Serie: Acque, cartella 12.
2) Come nota 1) ma cartella 20.
3) ASBG. Fondo Dipartimento del Serio, Serie: Commercio, cartella 559.
4) Come nota 3).
5) Biblioteca Civica A. Maj, Bergamo. Catalogo Nuovo. Voce: Bergamo-Provincia (anagrafe) Anagrafe Veneta 1766-1789 (vedi il quinquennio 1766-1770).
6) Archivio di Stato di Venezia. Fondo: 5 Savi alla Mercanzia, Voce: Lettere da Bergamo, busta 577.
7) Come nota 5). Confronta però i quinquenni 1771-1775 e 1780-1785.
8) Come nota 6).
9) Come nota 6).
10) ASBG. Fondo notarile: Notaio Grazioli de Tognini Bortolo fu Giovanni di Piazzo (S. Pellegrino Terme), cartella 5109.
11) Come nota 10) ma cartella 5107.
12) Come nota 10) ma cartella 5108.
13) Come nota 10) ma cartella 5111.
14) Come nota 6) ma busta 576.


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